| Nel film, di Paolo Sorrentino (ambientato ai nostri giorni) e premiato Oscar, “La grande bellezza”, il protagonista è Geppino Gambardella (in arte Jep - Tony Servillo), un giornalista napoletano, di successo, con al suo attivo un unico formidabile romanzo giovanile, che ha svolto la sua carriera a Roma e che al traguardo dei suoi 65 anni di vita intraprende, con se stesso e con l’ambiente romano, una drastica meditazione sul senso del “Bello”; una riflessione molto amara, di pentimento e di autocritica, scaturita dalla consapevolezza di aver svolto una vita all’inseguimento del potere e dell’effimero, vissuta nella vacuità e nel degrado di feste e circuiti altolocati romani, dove i valori spirituali della vita sembrano smarriti, ma in contraltare, gli si affianca, nell’opera cinematografica, la bellezza universale della città eterna, con i suoi intramontabili monumenti, piazze, fontane, piscine, fiume, ponti, opere d’arte ed anche il mare… accompagnati da musiche celestiali, da chiesa mistica.
Alcuni particolari incontri e compagnie favoriscono i contorni della riflessione dell’attore principale Gambardella, come quello dell’amico autore-attore teatrale (Carlo Verdone), trasferitosi a Roma da una vita e mai realizzato professionalmente, sentimentalmente frustrato, deluso dall’ambiente romano, culturalmente degradato, a cui si è inutilmente rivolto (torna, alla fine, al suo paese di origine). Altro soggetto importante per la contemplazione del protagonista, è l’incontro, non a lieto fine (lei muore) con la ballerina di night club (Sabrina Ferilli) che fa riscoprire in Gambardella, dopo una vita arida di sentimenti, l’attitudine rinnovata, a volersi bene.
Altre vicende tragiche incrociano il protagonista come quella di una ex fidanzata giovanile morta, a distanza di molti anni, ancora innamorata di lui, ecc.
Chiave di volta, del film, è l’asceta mistica e santa “La suora”, che incontra Gambardella, che rifiuta l’intervista (“io ho sposato la povertà e la povertà non si racconta, si vive”), che indica a lui, infine, l’importanza delle “radici”... e che lui sembra accogliere, in coerenza con le sue stesse riflessioni. La meditazione di Gambardella è ormai matura, può incominciare a scrivere, dopo molti anni, il suo secondo romanzo, finalmente ispirato, nella consapevolezza che la morte e la vita, legate ad un filo, con sprazzi di bellezza, si avvicendano in un atto trasformativo, con in sottofondo un bla bla quotidiano.
Non mancano nel film sciabolate ad un’arte contemporanea mercificata, privata dei suoi contenuti e mera cronaca di un disagio di vita collettivo; come anche si evincono contrapposizioni tra una chiesa secolare ed una mistica (il Cardinale - La Suora santa) ed anche riferimenti alla corruzione di un mondo del malaffare intrecciato con quello della politica (il Latitante, vicino di casa di Gambardella, poi arrestato). Un film, forse, di triste cronaca quotidiana e, solamente, ammiccante slogan sulla bellezza? Già Sorrentino si presta ad uno spot per la Nuova Fiat 500 (l’Arte e il denaro sono, in realtà, incompatibili… tutti i salmi finiscono in business?); o proprio, paradossalmente, parafrasando la Santa Suora, del film, chi sceglie la Bellezza la testimonia e non la racconta? Oppure una reale intuizione, magari limitata da quel bla bla di fondo, che riferisce, in conclusione, lo stesso Gambardella che, se però troppo preso in considerazione, ci impedisce di cogliere, nella vita-morte-rinascita quotidiana, perenne Bellezza, Profondità e Unità delle cose e che ci condanna ad una vita di oscillazione dualistica? Ad ognuno, di certo, le sue conclusioni; quello a cui, comunque sia, vogliamo credere e che, quest’opera di Sorrentino, e di tutto il suo staff, sia un autentico segnale innovatore ed augurale: un sasso, necessario, che, lanciato nello stagno del grigiore quotidiano, attivi, dopo lunghi e lunghi secoli, finalmente, le acque di una nuova Rinascenza.
Trieste, 5 marzo 2014
Fedele Boffoli
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