| Crediamo, amore mio, che quei paesaggi
rimasero addormentati o morti con noi
nel tempo in cui li abitammo;
che gli alberi perdessero la memoria
e che le notti andassero via, dando all’oblio
quello che fece loro belle e forse immortali.
Ma basta il più lieve palpitare di una foglia
o una stella che respira all’improvviso
per vederci noi stessi, allegri, riempire
i posti che insieme ci ebbero.
E così ti riveli, oggi, amore mio, al mio fianco
tra l’albero del ribes e le fragole nascoste
alla difesa del fermo cuore dei boschi.
Lì sta la carezza bagnata di rugiada,
i filamenti delicati che rinfrescano il tuo letto,
i silfi incantati di ornare i tuoi capelli
e gli alti scoiattoli misteriosi che spiovono,
sul tuo sonno il verde fittissimo dei rami.
Sono felice, foglia: non avere mai autunno,
foglia che mi hai portato
col tuo tremore piccolo
l’aroma di tanta cieca età luminosa.
E tu, minima stella persa, che mi apri
le intime finestre delle mie notti più giovani,
non spegnere mai il tuo fuoco
sulle tante stanze da letto in cui dormimmo all’alba!
E quella biblioteca con la luna
ed i libri lievemente caduti
e i monti fuori svegli, che cantano per noi.
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