| TINAGLIA, amori e pensieri sulla lavagna del corpo
Studioso di sociologia, saggista e poeta, ha pubblicato «… E me ne vado altrove…» sottotitolato «quasi un romanzo»
Con «… E me ne vado altrove…», curiosamente sottotitolato «quasi un romanzo», Sergio Tinaglia aggiunge alla personale ricca bibliografia un nuovo capitolo, forse il più significativo. Nell’opera, pubblicata dall’editore Aletti, sceglie di allontanarsi dalle scienze sociali, sua prioritaria occupazione, per abbracciare ancora una volta la letteratura.
Ma quanto «… E me ne vado altrove…» è un romanzo? Certamente molto, giacché lo scrivere rimanda a tale diffusa pratica narrativa. È pure un’autobiografia? Verrebbe da rispondere sì con eguale convinzione, nel senso che l’autore racconta della propria vita, senza peraltro artifizi che inducano il lettore a chiedersi dov’è il realmente accaduto e dove prevale l’urgenza poetica. Eppure le ben cinquecento pagine di questo ennesimo cimento di Sergio Tinaglia sono qualcos’altro, difficile da spiegare: magari un memoriale, o una sorta di testamento letterario.
«… E me ne vado altrove…» è il racconto, in prima persona, di un uomo il cui corpo è «una lavagna su cui tutto è stato scritto con il gesso dei giorni e delle notti. E appunto durante la notte di un malinconico capodanno egli si ritrova, solo, nella via XX Settembre della sua Bergamo. Lì, condotto da «ragioni imperscrutabili e oscure» in una strada che solitamente non percorre per raggiungere casa, si sofferma davanti a una vetrina in allestimento: la osserva, la indaga. Dalle pagine di giornale che la tappezzano, dalle immagini che il vetro riflette, dagl’infiniti particolari di quel minuscolo e inanime angolo di mondo prendono così forma ricordi e riflessioni. E i manichini, che «sembrano, inerti, rappresentare i respiri della mia coscienza», divengono allora i muti evocatori di un inteso soliloquio. Esso è abilitato da tanti uomini e donne, svelati nelle corde più intime, guardati con occhi in fondo sempre incantati.
Tinaglia narra di luoghi e viaggi, di incontri amorosi, di attimi fugaci che la memoria però sa proporre con nitida distinzione: emergono, inaspettati e tumultuosi, da un recondito passato per concedersi alle ragioni di un ultimo bilancio esistenziale. Sono persone, vicende e scenari che, verrebbe da dire, tornano ad animare la «vetrina» della vita, talvolta ripresi, lo segnalano le note a piè di pagina, da altre opere dell’autore come fosse, questo, l’estremo commiato o all’opposto l’indispensabile viatico di un misterioso viaggio.
Diviso in tre parti, titolate «La sosta: Ricordi», «L’avvio: Vecchi ricordi» e «L’arrivo: Nuovi ricordi», «…E me ne vado altrove…» si compone in brevi testi, ciascuno hortus conclusus eppure del tutto coerente e quanto lo precede e lo segue. E analogamente la scrittura si articola spesso in un periodare asciutto e cadenzato.
Ecco, la sensazione è che siano proprio i ricordi e i densi pensieri, prima che l’autore, a raccontarsi. Il lettore non troverà altra trama che l’ordito, anche doloroso, della vita.
Il bilancio esistenziale non avrà alcun saldo fra il dare e l’avere, ma s’affiderà infine al senso di giorni distillati, ora per ora, in profonda comunione col mondo. Nella trepidante attesa della nuova alba, altrove.
«… E me ne vado altrove…» (Aletti Editore) di Sergio Tinaglia (500 pagine, € 25,50).
(Franco Ghigini, Corriere della Sera, 14 gennaio 2014)
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