| “Mute parole”, è questo il titolo della nuova raccolta di poesie di Nicola Guarino uscita per i tipi di Aletti Editore. Una raccolta agile e penetrante che va spedita a colpire le suggestioni dell’anima; intrigante quanto basta per farsi sfogliare e leggere d’un fiato. Sono poesie, quelle del poliedrico architetto di Teora, da tempo prestato alla poesia piuttosto che alla pittura e alla ceramica, che scavano a fondo la nostra intimità per fare emergere il valore del sapersi ritrovare con sé stessi.
Una robusta chiave di lettura la offre il critico letterario Massimo Pasqualone, il quale, prefando il volume, così dice dei versi dell’amico poeta: «Sono parole scritte sul tramonto, quando i conti non tornano e le dita non bastano». Ma non si commetta l’errore di pensare che è del tramonto della vita che riferisce il critico abruzzese, tutt’altro. È, piuttosto, il tramonto degli aggettivi straripanti, dell’enfasi linguistica, del vuoto argomentare, dei discorsi fini a se stessi. È il funerale del parlare inutile che Guarino celebra con questa crestomazia, solo in parte evocativa di “meditate estroiettazioni nella scorsa raccolta”. E certamente il poeta non si nasconde dietro affabulanti perifrasi per esplicare il senso di umana ragione che in filigrana si ritrova nei suoi versi: «Tutti hanno una diagnosi per tutto, per individuare deficit e carenze del nostro vivere quotidiano, per mettere sotto una lente di ingrandimento quello che non va. Nessuno ha medicine da somministrare ai nostri sentimenti disillusi, alle nostre perdute speranze.»
Ecco allora che arriva il tempo delle “parole mute”, «quelle che sono state scritte in mancanza del tempo che non c’è più, quelle che non necessariamente vanno dette o riferite e neanche sussurrate».
[Estratto dell’articolo di Antonio Vespasiano]
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