| “Questo testo Tu guardalo con semplicità”. Così il poeta Carlo Bonizi avvertiva il lettore nella sua prefazione alla raccolta di liriche “Alba e tramonto” pubblicata nel giugno 2010. Ed io, ora - lettore per passione e critico per diletto - , con semplicità, ma con determinazione, mi accingo a valutare le nuove liriche inserite nella silloge neonata. Lo stile che rilevo alla prima lettura appartiene al genere della creatività originaria, naive, quasi pascoliana, espressa in sensazioni, intuizioni, fantasie, slanci sentimentali e pensieri intemerati, puri, talvolta aforistici e morali, mai moralistici né altezzosi… Sull’esile trama e sull’integro substrato ideo - affettivo il poeta dissemina germi di lirismo libero da lacci retorici (la punteggiatura è assente; i periodi paratattici o ipotattici sono accostati senza sforzo, quasi per gioco; qualche anacoluto si affaccia timidamente qua e là…). L’autore affida il canto sommesso alla spontanea voce effusa del sussulto del cuore e guidata dal pensiero sicuro e trasparente, apparentemente ovvio ma nella sostanza pieno di buon senso popolare, genuino. Le “recondite armonie” che sottendono le parole permeano ogni lirica e connotano le molteplici raffigurazioni del volto cangiante del mare, delle nave che trasportano le anime sognanti, delle rive raggiunte da onde messaggere di misteri senza tempo. Talvolta si sente la costrizione dei lacci d’amore da cui può scaturire sia la gioia serena, sia il pathos erotico, sia la razionalità idealizzata. Raramente il poeta subisce il ferreo freno dell’arte retorica o la dolce violenza del verso scandito ed esatto, o la reiterazione della rima obbligata oppure il vincolo della strofa geometricamente costrutta. Il metro, la tonalità, lo schema compositivo - volutamente sottratti ai tradizionali schemi accademici - riescono, tuttavia, a trasportare messaggi poetici fruibili da chi li ascolta e spera nel miracolo della parola ispirata e nascente dall’inconscio personale o collettivo. Analizzerò - senza apparire accigliato retore o censore altero - il frammento lirico, il brandello di verità, l’illuminazione fugace che si sprigiona dagli esili versi sparsi, quasi per caso, in ogni lirica. Eccone un’elencazione stringata e ardita, ma fedele, filtrata dalla mia partecipazione emotiva:
- Le vele sono sogni sostenuti dalle chiglie: “aratri del mare”; - L’anima impotente assiste al corpo che si squarta nei mattatoi purgatoriali;
- Il concepimento che avviene nell’ombra dell’ovulo fecondato è l’emblema dell’universo che vive;
- Il colloquio appassionato col mare “consuma chi amo” perché “la spiaggia è l’anima mia”…
- La pioggia è metafora del pianto trattenuto o fluente, raccolto in pozzanghere;
- I pensieri erronei precipitano nel buio degli abissi marini;
- Il male assoluto delle guerre “estirpa l’Amore di Dio”; - L’anima lascerà l’imperfezione della terra e “dall’alto” diventerà amore;
- Ogni strada, dritta, ci porterà lontano, verso traguardi ignoti e “rinnova l’orizzonte”;
- Nel silenzio gli amanti uniranno le loro parole in poesie di sguardi; - L’onda del mare è una silenziosa carezza al mattino, ma a sera si fa rumorosa;
- La morte è il momento in cui “tutto sarà chiaro”; - L’inganno inquina il combattimento fra le promesse vane e le delusioni (“io, dal sole deluso, nel buio avanzo… e grido ancora, t’amo!… ma il cuore ne muore…”);
- Bisogna credere nell’atomo dell’amore, non nell’atomo opaco del male;
- La figura femminile, incontrata nel silenzio, sembra spiaggia consumata e misteriosa;
- La speranza è viva: “oltre l’orizzonte c’è il sole che non tramonta mai”;
- Non si placa il dolore per l’inutilità del pentimento del carcere “dentro a mura che urlano”;
- Non è stato vinto lo schiavismo attuale: esistono ancora “uomini padroni di uomini” e “usurpatori che scivolano come anguille nel fango”.
Infine, con sensibilità intimistica, il poeta disegna la rappresentazione della nave come casa di anime… ma non ci sono, ad allietarla, figli e mogli, madri, amanti. Eppure, l’anima dei marinai continua a navigare come una vela immortale. La delicata trama vissuta nelle liriche, raccolte in silloge dimessa eppur pregna di significati reconditi e di armonie sussurrate a bocca chiusa, mi ha suggerito questi sentimenti e queste riflessioni che affido alla pagina scarna e, forse, troppo presuntuosa e invadente. L’Autore mi perdonerà se ho frainteso qualche suo pensiero o qualche brivido del sentimento che permea le figure poetiche talvolta sfumate, tal’altra definite con vocaboli mai ricercati o desueti. La poesie di Chiunque andrebbero sempre lette, interpretate e cantate con semplicità e umiltà perché ispirate da “Colui che ditta dentro” e perché il messaggero del Dio ignoto ci reca dei doni dal valore inestimabile da distribuire a piene mani nelle menti e nei cuori delle anime belle.
Paolo Giardi
Civitavecchia, 9. 3. 2012
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Carlo Bonizi nasce a Tolfa il 12 Giugno 1943 e vive a Civitavecchia. Laureato in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza” di Roma, è amante della giustizia come verità, del mare, della natura, dell’amore. Da piccino, a Tolfa, nel castagneto di suo nonno, cercava le fate e i maghi. Quando trovava un porcospino o una tartaruga, sentiva che la magia era vicina, nascosta in qualche cespuglio. Il primo giorno d’asilo fuggì e lo trovarono di notte, addormentato sul poggio. Aveva cinque anni quando la famiglia si trasferì a Civitavecchia in una fattoria vicino al mare. Portava le mucche al pascolo e si sdraiava tra i fiori, le farfalle, le api, gli insetti e gli uccelli. Come poteva fuggiva al mare, con il quale aveva un rapporto di sfida e d’amore. La folla lo rattrista, si muove come una moltitudine che non pensa, come un gregge silenzioso che tra i rumori cammina per andare al pascolo. Nasconde la sua natura dentro la calma.
Collana "Gli Emersi - Poesia"
pp.104 €12,00
ISBN 978-88-591-0080-5
Il libro è disponibile anche in versione e-book a €8,00
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