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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista a Maurizio Cucchi

di Rivista Orizzonti

Poeta e critico militante, Maurizio Cucchi da anni si pone come interlocutore dei poeti esordienti sulle pagine della Stampa. Ma è anche uno dei più fini interpreti della parola.

Ho incrociato la prima volta Maurizio Cucchi mentre commentava una raccolta di poesie di Luzi.
Poi l’ho rivisto molte volte, sempre con un libro di poesia sotto il braccio e ho capito, da come parlava, dalla passione che riusciva a trasmettere, che Cucchi è uno di quelli che non fa il poeta perché gliene è capitata l’occasione, ma lo è nel suo modo di osservare il mondo, nella tranquilla confidenza con cui discute di poesia, nella volontà di stabilire una via privilegiata di comunicazione.
Chiuso in abiti sempre troppo eleganti per contenere la sua curiosità tentacolare e multiforme, sembrerebbe volersi dilatare nello spazio, per poter essere dovunque, capire, parlare, discutere con chiunque.
Chiede ai suoi lettori solo di seguirlo, nel suo essere se stesso e sempre diverso, nella sua ricerca di strade poetiche poco battute, nelle sue continue metamorfosi.

Domanda - Lei ha pubblicato la sua prima raccolta nel 1976. Dopo circa trent’anni, come considera il suo percorso poetico?

Cucchi- Nella mia opera, così come nella mia vita, ho sempre cercato di fare quello che ho ritenuto giusto e necessario a seconda del momento storico personale che stavo attraversando.
Ho sempre cercato di fare quello che reputavo più aderente alle mie possibilità o ai miei desideri, senza chiudermi in schemi preconfezionati. In effetti questa è l’unica cosa che mi da davvero fastidio, quando gli osservatori esterni hanno commentato la mia opera tentando di ridurla a un percorso predeterminato e sottolineando, senza spirito critico né tentativi di comprensione, i miei cambiamenti.
In fondo reputo che nessuno sia mai uguale a se stesso e i mutamenti della vita si riflettono ineluttabilmente nelle modificazioni della poetica e del linguaggio.

Domanda - La sua poesia è permeata da una forte fisicità, che pure, col tempo si è trasfigurata in una forma quasi trascendentale, in qualche modo quasi un trasumanare.

Cucchi - La fisicità per me è un aspetto molto importante della mia poetica e della mia analisi della vita. Non credo sia possibile concepire, o almeno io non concepisco altre forme di pensiero che non debbano essere ricondotte alla materialità.
In questo senso quando sento parole come Dio o Spirito mi do malato, in quanto reputo che il concetto di trascendenza necessiti di una profonda rivalutazione, oltre ad essere espresso, troppo spesso, con una eccessiva leggerezza.
In ogni caso la discussione riguardo questi termini mi provoca sempre un certo imbarazzo, in quanto reputo che la realtà sia costituita soltanto da materia, movimento ed energia.
Anche il corpo e il rapporto con il corpo andrebbe ripensato in funzione di questo materialismo, che permette anche di superare la dicotomia tra mente e corpo, tra razionalità e sensibilità.
Io sono il mio corpo, e il mio corpo sono io; il mio corpo è il mio strumento di conoscenza, è il mio modo di rapportarmi al resto del mondo, di sentire e quindi anche di comunicare e di scrivere.
Il mondo, attraversando il mio corpo, diventa la forza della mia parola.

Domanda - Un personaggio ricorrente nella sua opera è la Morte, vissuta come un pensiero costante, come un’ombra onnipresente, ma non necessariamente negativa.

Cucchi - Certamente per me la morte è un pensiero costante.
Fin da giovane il pensiero della morte in qualche modo mi ha accompagnato come una certezza, come una madre cattiva.
Per me che amo moltissimo la vita, la Morte è peggio del peggior incubo, una spina nel fianco che è rimasta fin da ragazzo come sottofondo della mia esistenza quotidiana.
Eppure credo che il pensiero della Morte in fondo sia utile alla poesia, perché scrivere in qualche modo è un atto di vita che supera e deride la morte stessa: il fatto che si ami la vita, che si vuole vivere e non morire è spesso ragione sufficiente alla scrittura.
Forse è vero che il senso del termine invita a vivere con maggior completezza di quanto non si farebbe se così non fosse, e in qualche modo questo pensiero ineluttabile mi ha sempre accompagnato.
In ogni caso non reputo la Morte un protagonista delle mie poesie, più che altro è qualcuno che sta lì paziente e con il quale prima o poi, meglio poi, si dovranno fare i conti.
Al di sopra di tutto, nella mia poesie c’è la vita e lo sconfinato amore che provo per essa.

Domanda - Nella sua scrittura è riuscito a creare una terza via tra il verso libero e la tradizione accademica, utilizzando una struttura non fissa, ma verso spesso legati da rime interne o allitterazioni.

Cucchi - Premettendo il fatto che la nostra tradizione accademica è ricchissima, è necessario porre l’adeguata considerazione su come tale tradizione venga veicolata nelle strutture formali del nostro linguaggio, per cui il rapporto con la tradizione è non solo imprescindibile, ma anche necessario.
Ma è anche pur vero che la scelta formale è indice di un momento storico: se per Foscolo scrivere un sonetto era una cosa assolutamente comune, così come era comune che i poeti si esprimessero attraverso le strutture fisse della metrica e della versificazione, scrivere un sonetto oggi ha un valore completamente diverso.
Nell’epoca del verso libero, il richiamo alle strutture codificate può essere una mera imitazione o un tentativo di ritorno all’ordine, ma in ogni caso, non si può non considerare un’operazione intellettuale ben specifica, conducendo a risultati talvolta anche interessanti.
Il vero problema che inerisce la forma della poesia attuale è che il metro della poesia, scioltosi nel verso libero, rischia talvolta di perdere di ritmo.
In altre parole, può capitare, e non troppo di rado, che il verso venga interrotto un po’ a caso.
Dico questo perché reputo che in ogni caso la poesia non possa esistere senza forma.
Se si vuole utilizzare il verso libero, è necessario allora trovare degli altri espedienti che riescano a fornire quella struttura offerta dalla forma metrica.
Personalmente, per quanto riguarda la mia esperienza, l’allitterazione e le figure sonore riescono a sopperire alla mancanza di una struttura predeterminata, senza però farmi sentire vincolato.
In ogni caso, credo che la poesia degli ultimi anni stia cercando una nuova strada e non escludo che tale soluzione possa essere nell’abbandono del verso e nell’utilizzo della prosa poetica.
D’altronde anche Baudelaire auspicava l’avvento del poemetto in prosa, per cui non esclude che il futuro della poesia sia proprio nella prosa.

Domanda - Pur non essendo un ermetico, soprattutto in passato, per esempio nel periodo in cui è nato “Il viaggio di Glenn”, ha utilizzato ambientazioni e riferimenti ermetici. Come mai questa scelta?

Cucchi - Certamente non posso definirmi un ermetico, soprattutto per un fattore temporale, dal momento che l’Ermetismo è una corrente letteraria che è venute ben prima di me, ma, ciononostante, è vero che un periodo della mia vita è stato caratterizzato da una parziale oscurità che si è riflessa nella mia opera poetica.
Lo scopo principale di quella ricerca era il tentativo di rappresentare le situazioni in un modo immediato, raccontando le sensazioni per come venivano vissute.
La chiave interpretativa di molte mie poesie sta nella forza delle emozioni che cerco di comunicare a un livello di comunicazione che si svincoli dai normali canali del linguaggio, e in questo senso possa in qualche modo accostarsi alla struttura narrativa del sogno.
Mi sono però reso conto che questa scelta letteraria recava con sé una difficoltà comunicativa notevole, in quanto era difficile decodificare ogni aspetto delle mie poesie, e questa è stata la ragione della mia svolta successiva verso la trasparenza.
Mi sono reso conto in maniera indubitabile della complessità della realtà, ma l’indagine sul reale è tanto più interessante quanto meno si cerca la semplificazione della stessa, e quanto più si cerca di mantenere e rispettare questa esigenza della complessità. Non di meno, però, altrettanto imprescindibile deve essere la capacità di coniugare questa complessità con la trasparenza della scrittura, con un tipo di immediatezza che non si basa più solo sull’emozionalità del linguaggio ma anche sulla limpidezza comunicativa.
Io cerco di comunicare in maniera semplice la complessità dell’ esistenza, e questo rappresenta al momento la mia sfida alla poesia.

Domanda - Lei si occupa da anni della rubrica “Lo Specchio” della Stampa, un luogo dove i poeti possono inviare le proprie poesie e ricevere un commento, un suggerimento critico. Ma Lo specchio può essere considerato anche un modo per approcciare un pubblico più vasto, quello dei lettori di un quotidiano.
Che riflessioni le suggeriscono le poesie che le vengono inviate e quale crede sia la risposta dei lettori della Stampa?

Cucchi - Sono purtroppo convinto che i lettori dello Specchio raramente si possano sovrapporre a quelli del quotidiano. La maggior parte dei fruitori della Stampa leggono Lo Specchio solo in maniera occasionale o casuale. Sono principalmente interessati invece a questa rubrica coloro che vi hanno scritto, gli aspiranti poeti.
E anche tra essi ci sono in realtà due categorie, quelli che desiderano avere un parere critico sul materiale inviato e quelli che invece desiderano pubblicare e basta.
Il problema di fondo che viene messo alla luce da operazioni come queste e la richiesta di una valutazione critica è la mancanza totale o parziale di interlocutori con cui dialogare.
Moltissimi degli autori che mi scrivono sullo Specchio, chiedendomi di pubblicare dichiarano spesso la loro estraneità dalla lettura della poesia e il loro disinteresse per la tradizione.
Tale mancanza di rapporto con quelle che sono le basi della cultura poetica provoca, inevitabilmente una produzione poetica approssimativa, se mi passa il termine, di bassa qualità.
Non ci si improvvisa poeti, ma è anche vero che è necessaria spesso una guida.
Ovviamente non mi posso reputare una guida per gli autori esordienti, ma credo di poter dare comunque qualche buon consiglio, qualche suggerimento: con il mio lavoro cerco di abbattere le barriere tra gli autori e i lettori e tra i poeti e i critici.
Tento insomma di instaurare un canale di comunicazione.

Domanda - E lei crede che sia possibile che un quotidiano divenga un luogo di incontro, una piattaforma di discussione?

Cucchi - Io credo che sia doveroso che tutti i mezzi di comunicazione tornino ad essere luoghi di discussione.
Fino a qualche anno fa, ad esempio, nel momento in cui veniva pubblicata un nuovo libro che suscitava un certo interesse, almeno negli ambienti della critica, non era difficile che se ne sentisse parlare in radio o nelle trasmissioni televisive dedicate alla cultura.
Oggi come oggi purtroppo non si discute più di nulla.
Da una parte c’è la posizione dei giornalisti che devono fare il loro lavoro di informare, ma dall’altra c’è anche un popolo di lettori che vorrebbero essere informati anche su altro.
Il problema è che l’informazione viene anche indirizzata verso l’interesse dei lettori e dal momento che i fruitori di poesia sono una minoranza, ovviamente la poesia viene relegata in spazi sempre più angusti, con il risultato di coltivare un popolo di persone poco colte.
Sarebbe invece auspicabile che le testate giornalistiche si ponessero in modo critico e costruttivo, tentando di educare i lettori e fornendogli spunti necessari per una crescita culturale consapevole.

Domanda - Lei ha molto criticato le forme che la poesia ha assunto negli anni ’70 e ’80. Cosa pensa delle ultime tendenze della poesia contemporanea?

Cucchi - Ho sempre pensato che la poesia avesse adottato soluzioni diverse alle problematiche dell’epoca in cui è stata prodotta e, in linea di massima i risultati sono stati spesso buoni.
Personalmente mi sembra di notare oggi una grande vitalità intellettuale sia tra i giovani che tra i poeti affermati: Luzi, per citare un nome, ha appena pubblicato una nuova raccolta nella quale emerge una vitalità del suo spirito poetico che l’età non ha potuto scalfire.
In generale mi rendo conto del fatto che c’è una grandissima quantità di lavoro che meriterebbe di essere conosciuta meglio, anche perché da contraltare a questa grande produzione, c’è una attenzione e una diffusione della poesia minima.
Purtroppo il rischio di una situazione come questa è che nel momento in cui la circolazione poetica è così esigua, il lavoro poetico rimane ad esclusivo interesse dei soggetti scriventi.
In altre parole, si scrive per se stessi, se si è fortunati per gli altri poeti.
Ma se la poesia vuole essere una forma di comunicazione e un mezzo per interpretare il mondo, deve assolutamente essere veicolata, deve aprirsi al mondo che vuole tentare di spiegare: l’autoreferenzialità nella poesia è inutile, oltre ad essere frustrante.
Riguardo alla poesia degli ultimi anni, in generale si può riscontare la presenza di una grande varietà di linguaggi e tematiche, anche se manca, o quanto meno vi è una certa carenza, di sperimentazione linguistica.
Un denominatore comune di tutta la poesia contemporanea, e in particolare di quella dei giovani, è l’estremo bisogno di raccontare, e di questa imprescindibile necessità di comunicazione, i giovani rappresentano la parte migliore.

(Articolo di Flavia Weisghizzi pubblicato sul numero 26 di Orizzonti,, Maggio-Agosto 2005)

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