| Sergio Bonelli è indiscutibilmente la voce più autorevole del fumetto italiano. Ma è anche un uomo dal carattere straordinariamente affabile, sempre pronto al consiglio, sempre disponibile ad ascoltare. Il segreto del suo successo in fondo è semplice: un grande amore, una grande costanza e una forte dose di autocritica. E poi, il pizzico di fortuna che aiuta sempre gli audaci.
Eppure, Bonelli non si è adagiato sui suoi risultati, ed è sempre pronto a mettersi in gioco, a tentare, con la stessa scanzonata semplicità con la quale lo puoi trovare a firmare gli autografi per strada, con lo stesso sorriso guascone e divertito col quale svicola tra le folle, senza mai negarsi.
La prima volta che ci siamo incontrati eravamo in quella via Buonarroti, 38 che più di qualcosa dice ai fedelissimi dei suoi albi, poi ci siamo incrociati sempre più spesso, nelle fiere, nelle manifestazioni in giro per l’Italia, da ultimo al Romics, a Roma, che gli ha assegnato il prestigioso riconoscimento del Romics d’oro. Era un po’ stanco, è vero, e aveva il viso tirato, ma si è seduto in un angolo di pace e ci ha raccontato.
Domanda - Sergio Bonelli è sinonimo del fumetto in Italia. È un grande editore e un autore. Ma Bonelli, come vive il fumetto?
Bonelli - Il mio rapporto con il fumetto non potrebbe essere più totale. Il fumetto è entrato nella mia vita da piccolissimo, attraverso mia madre, Tea, che nel 1939 ha assunto la direzione delle "Edizioni Audace" che costituiranno il nucleo iniziale delle futura casa editrice Bonelli e mio padre, che è colui che ha dato vita a Tex e a tanti altri eroi del fumetto italiano. Io parto comunque dalla condizione di voracissimo lettore di fumetti, di molti dei quali sono diventato editore, rendendomi conto di poter coniugare in questo modo la passione e il lavoro, avendo il privilegio di pubblicare ciò che mi piace.
Ciò non toglie che, per fortuna, pur diventando un professionista del fumetto non ho mai smesso di essere lettore: non solo leggo infatti tutti i fumetti che produco, ma leggo anche quelli degli altri, e non solo, come si potrebbe pensare, per controllarli e tentare di superarli, ma prima di tutto per una sorta di richiamo ancestrale che sento nell’edicola di leggerli, per il piacere di conoscerli, per il piacere della lettura. Certamente è anche vero però, che in questo modo, riesco e tenermi costantemente aggiornato e soprattutto, riesco ad avere una sorta di pur vago metro di riferimento della qualità di un prodotto.
Domanda - Bonelli presenta Bonelli. La sua penna si è celata per anni dietro l’alter-ego Guido Nolitta. Cosa ci può dire di lui?
Bonelli - Nolitta è nato che ero già grande. Avevo circa trent’anni quando pensai di mettermi in gioco come scrittore. L’idea di utilizzare uno pseudonimo è nata per il desiderio di confrontarmi con il pubblico direttamente, senza lasciarmi veicolare dal mio nome o da quello di mio padre. Così dopo varie esperienze con altri personaggi (Un ragazzo nel Far-West, Il Giudice Bean, Il ribelle) ho dato vita a Zagor e poi, successivamente, a Mister No.
La volontà di provare a scrivere è stata motivata da molte riflessioni, soprattutto quella di cercare di capire fino in fondo cosa volesse dire essere l’autore di un fumetto, tentare di comprendere, confrontandolo con il mio, il lavoro degli altri, per rendermi conto di quanto fosse difficile scrivere una sceneggiatura. E devo dire che, soprattutto all’inizio l’impresa non è stata facile e non poche volte sono ricorso all’aiuto di mio padre, che mi indirizzava e consigliava come farebbe qualsiasi padre con i compiti a casa del figlio.
Poi, lentamente, il pubblico ha dimostrato di apprezzare il mio lavoro, e mi ha dato il coraggio di andare aventi, pur con la convinzione di essere in fondo uno sceneggiatore della domenica e mai un vero professionista, in quanto comunque la casa editrice, per quanto artigianale fosse allora,assorbiva la maggior parte della mia giornata. La creatività era relegata davvero alle notti e alle domeniche pomeriggio.
In ogni caso non sono mai stato troppo sicuro di me come autore. Certamente il successo tributato prima a Zagor e poi successivamente a Mister No mi ha incoraggiato, ma ho sempre sentito lo scrivere come una cosa estremamente faticosa. Il pubblico invece ha sempre apprezzato molto la sincerità con la quale scrivevo le mie storie, nate con l’intento primario di soddisfare per primo me come lettore piuttosto che avere l’ambizione di scrivere qualcosa di straordinario.
È indubitabile che pensassi con rispetto al pubblico che avrebbe letto i miei albi, ma soprattutto c’era dentro quello che piaceva a me, ed è straordinario riflettere sul fatto che in un certo periodo il contatto tra me e il pubblico è stato molto profondo, e quelle storie che io mettevo giù con tanta semplicità venivano accolte con tanta benevolenza da chi le leggeva.
Mi rendo conto invece ora che sto provando nuovamente a scrivere che quel legame personale si è, non proprio spezzato, ma in qualche modo indebolito e l’aspetto creativo è diventato sempre più difficile. Inoltre io, che sono un po’ il critico degli altri, sono poi il critico più severo di me stesso, per cui straccio e riscrivo molte volte le mie sceneggiature.
In ogni caso credo che essere anche un autore, mettermi in gioco per primo sia un aspetto molto importante della mia vita. In fondo potevo vivere facendo solo l’editore, invece questo provarci, questo mettermi nei panni degli autori, fa capire a me il lavoro che c’è dietro le 98 pagine di ogni albo e a chi mi osserva dall’esterno, la grande passione che io nutro sinceramente per il fumetto.
Domanda - Quando nasce la Bonelli, è caratterizzata soprattutto da saghe western…
Bonelli - Quando sono nate le prime testate di Bonelli, in edicola i titoli italiani erano pressoché tutti western. C’era il Piccolo Sceriffo, il Piccolo Ranger, ma soprattutto era l’epoca d’oro del cinema Western di stampo americano. La televisione non c’era o non aveva ancora quell’impatto mediatico che ha adesso e la storia western era imprescindibile dal desiderio dei lettori.
Così è nato Tex, con le sue ambientazioni un po’ seriose e melanconiche, così è nato poi Zagor, che, con la sua spalla Cico, alterna momenti emotivi e psicologici alla più classica componente avventurosa.
Domanda - Poi qualcosa è cambiato.
Bonelli - Con il passar del tempo sono accadute due cose, contemporanee ma non coincidenti: la prima è stata il ricambio generazionale, che più di tutti è il fattore che spinge al rinnovamento, la seconda è stato il desiderio di lavorare con autori, sceneggiatori, disegnatori che reputavo bravi. È un po’ come il presidente di una squadra di calcio che non resiste all’idea di comprare il fuoriclasse brasiliano.
Ecco quindi che, lentamente, la Bonelli si è aperta a nuove idee e nuove ambientazioni, al poliziesco di Nick Raider, alla fantascienza di Nathan Never, all’archeologia fantastica di Martin Mystère, all’horror di Dylan Dog.
Domanda - Come ha reagito il pubblico all’avvento di testate come Martin Mystère o Dylan Dog?
Bonelli - Martin Mystère è una buona pubblicazione che ha il suo pubblico, anche abbastanza qualificato, ma non è mai diventato numericamente più di tanto interessante.
Per quanto riguarda Dylan Dog, siamo di fronte a un vero fenomeno. Dylan Dog è stato un’esplosione improvvisa, descritta dai giornalisti e dalla critica fenomeno di costume, un fenomeno tutto italiano, perché non ha avuto all’estero il successo che ha ottenuto in Italia. Il motivo del successo di Dylan Dog è da ricercarsi in prima battuta nella perfetta coincidenza tra il personaggio e la generazione dei suoi lettori, che in quel momento aveva le sue stesse ansie e i suoi stessi problemi. Il fatto ad esempio che Dylan fosse anticonsumista coincideva con il nascere dei primi movimenti anticapitalistici.
Dietro Dylan Dog ci sono delle ideologie, anche un po’ utopistiche, come il poco peso che viene dato al denaro, che però lo hanno fatto sentire vicino a quella generazione.
Purtroppo però, come poi era successo anche per Tex, in qualche modo anche il successo di Dylan Dog è stato legato a un periodo e a una generazione, tanto è vero che, proprio con il ricambio generazionale di cui si parlava prima, già oggi l’interesse del pubblico per questa testata è un po’ scemato.
Domanda - Come si è sviluppato il rapporto di cooperazione con editori stranieri?
Bonelli - Ho sempre tentato di instaurare delle collaborazioni internazioni, tentando di proporrequello che veniva pubblicato all’estero e cercando soprattutto di esportare le nostre idee.
Ho importato qualche pubblicazione, non molte a dire il vero, come Asterix e Lucky Luke, mentre ho cercato di proporre le nostre testate il frutto del lavoro italiano. E dico italiano perché mi sembra che in Italia ci sia un sentire diverso rispetto all’estero e per essere più vicini al nostro pubblico ho sempre prediletto autori e collaboratori italiani. Ma abbiamo dato spesso il permesso di tradurre il nostro lavoro. Tornando a Dylan Dog, per esempio, sono uscite edizioni francesi, o turche che però non hanno riscosso il successo tributato in patria.
Certamente fino a qualche anno fa, anche grazie a una coincidenza di interessi, tra l’Italia, la Francia, la Spagna per esempio, questo era più facile, oggi c’è una grande differenziazione tra i gusti dei vari paesi.
Poi c’è stato l’esperimento con la Glénant, con la quale abbiamo creato una società tentando la strada della collaborazione, ma anche in quel caso la richiesta del mercato era orientata verso prodotti che fossero stati pensati propriamente per il mercato francese, libri cartonati, a colori.
Ci siamo resi conto insomma che la nostra proposta editoriale non interessava più.
Domanda - Si racconta che il suo magazzino sia stato vittima di un incendio che ha devastato tutto l’archivio delle pubblicazioni fino agli anni ’60…
Bonelli - La storia dell’incendio è, ovviamente, un falso storico, che ho inventato per giustificare la perdita della maggior parte delle pubblicazioni fino a quegli anni. Ma la perdita in realtà è reale.
Il fatto è che sono un uomo terribilmente disordinato e, nonostante la buona volontà, non sono riuscito a creare un po’ d’ordine nella mia azienda.
Quando i collezionisti mi hanno cominciato a chiedere pubblicazioni degli anni ’50 e ’60, mi sono reso conto di non essere in grado di ritrovarle negli archivi, dove sono presenti migliaia di volumi.
Così ho inventato la storia del grande incendio, giustificando la mia impossibilità di fornire le pubblicazioni richieste con la decisione del fato di volermi privarmi della memoria storica.
Domanda - Da uomo che ha costruito e attraversato al storia del fumetto in Italia, quale reputa sia la situazione presente e le prospettive per il futuro?
Bonelli - Il fumetto versa generalmente in una situazione assai poco positiva, ma tutto sommato, bisogna dire che nel male, in Italia va meglio che altrove. L’Italia sta diventando per il fumetto l’ultimo baluardo dove ci si può difendere.
Ma il problema vero è che gli editori che vogliono investire seriamente nel fumetto sono veramente pochi, e quei pochi temerari, piccoli e piccolissimi che continuano a provarci, si trovano di fronte una realtà priva di organizzazione, senza strutture, senza aiuti. Ecco quindi che, anche sul campo della creatività, ci sono moltissimi disegnatori e sceneggiatori senza lavoro.
C’è stato un periodo, alcuni anni fa, in cui accoglievo sempre con grande fiducia le nuove proposte. Ora mi trovo a dover tirare un po’ i remi in barca, a dover rischiare sempre meno, anche perché gli autori che lavorano per la mia casa editrice sono molti e voglio garantirgli di continuare a vivere in maniera dignitosa.
In Francia, ad esempio, il fumetto va meglio perché ci sono grandi editori che non si vergognano di pubblicare anche fumetti, rischiando anche di guadagnare poco o nulla.
La mia azienda al contrario funziona perché esiste da cinquant’anni: se dovessi cominciare adesso, dubito che saprei come orientarmi.
Eppure, paradossalmente, in un momento in cui mancano editori che abbiano le capacità economiche di rischiare, l’attenzione del pubblico è sempre più viva.
(Articolo di Flavia Weisghizzi pubblicato sul numero 25, Dicembre-Aprile 2005 della rivista Orizzonti)
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