| Come negli ultimi capolavori di William Gibson, la fantascienza postcyberpunk del texano Bruce Sterling si carica di venature decisamente realistiche. L’ambientazione di quest’opera lunga, finalista al Premio Hugo, è la stessa di altri suoi romanzi: il profondo sud degli Usa, come in “Atmosfera mortale” (Heavy Weather, 1994) e “Isole nella rete” (Island in the net, 1988) mentre lo stile è lo stesso di quel delizioso gioiello che è “Fuoco sacro” (Holy Fire, 1996), parzialmente snobbato dai lettori nostrani, impallinati con la space opera e la fantascienza avventurosa.
“Caos Usa” è un romanzo pesantemente politico, ambientato a metà di un XXI secolo in cui gli Usa non hanno più un ruolo di superpotenza, anzi per compattare l’opinione pubblica interna sono costretti a cimentarsi in una guerra fredda contro l’Olanda!
Il panorama politico di Washington si è frazionato in 16 partitini riuniti in blocchi elettorali, i cittadini di origine anglosassone sono diventati una delle tante minoranze, il presidente Two Feathers è addirittura un nativo americano. Il protagonista è Oscar Walparaiso, politico di bassa lega che ha organizzato la campagna elettorale di un senatore del Massachusetts in preda a una depressione psicotica: la trama ruota intorno a una gigantesca installazione scientifica nel Texas orientale, minacciata dalla diminuzione degli stanziamenti federali per la ricerca, e alle mire del governatore della Louisiana che arriva persino ad allearsi con i francesi per contrastare l’ingerenza del potere centrale. Il nostro Oscar rivelerà ben presto quanto ha di “disumano”: non perché sia un personaggio amorale, tutt’altro, ma perché è stato concepito mediante clonazione, e possiede un corredo genetico modificato. Ai nostri occhi, sembra appena uscito da un corso di programmazione neurolinguistica: non gli esce mai dalla bocca un’espressione meno che positiva, possiede una sconcertante abilità nel prevedere gli eventi e nel modificarli a beneficio della propria causa. Il realismo della narrazione scende a un dettaglio stupefacente: intere pagine sono occupate da lunghi dialoghi, si può quasi dire che la narrazione avanza più grazie ai dialoghi che all’azione vera e proprio. Come se non bastasse, spesso i protagonisti proclamano esplicitamente le proprie intenzioni, salvo perseguirne altre di affatto diverse, senza fornire spiegazioni: proprio come succede nella realtà. Non c’è da stupirsi che il lettore medio di science fiction rimanga sconcertato.
Recensione di Franco Ricciardiello, pubblicata su Orizzonti n. 13, Giugno/Settembre 2000
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