| Nella figura dolce e gentile di una ragazza quarantenne è condensato il maggior fenomeno italiano degli ultimi tempi.
A favore di Susanna Tamaro parlano i numeri: sei milioni di copie vendute nel mondo, di cui quasi tre milioni solo in Italia. I suoi libri sono apparsi in oltre quaranta paesi tra cui Cina, Francia, Spagna (28 edizioni di “Va’ dove ti porta il cuore”, 250.000 copie), Turchia, Israele, Grecia. Il paese dove ha venduto di più è stato la Germania con circa ottocentomila copie.
Questo enorme successo della Tamaro è difficile da comprendere e da spiegare: secondo alcuni critici la scrittrice, per conquistare il maggior numero di lettori, ha realizzato dei libri “semplici” e “popolari”: aggettivi, questi, spesso utilizzati per indicarne un aspetto negativo.
Tuttavia, se un libro, come dimostra “Va’ dove ti porta il cuore”, riesce a far breccia in modo così plateale nei sentimenti dei lettori, vuol dire che ha sicuramente in sé qualcosa di profondamente toccante.
[…] Ho avuto il piacere di incontrare Susanna Tamaro nell’austera sala della Biblioteca Angelica, situata a pochi passi da piazza Navona a Roma.
Domanda – Innanzitutto le vorrei chiedere perché ha scelto questo luogo per l’intervista.
Tamaro – Devi sapere che sono molto affezionata a questa biblioteca, perché una volta abitavo qui vicino e ci sono venuta spesso.
Domanda – Che rapporto ha con le biblioteche?
Tamaro – Le trovo fantastiche. Preferisco andare più in biblioteca che in libreria. Entrare in libreria, infatti, è come entrare in una pasticceria dove ci sono quaranta tipi di paste e poiché non si possono mangiare tutte dobbiamo fare una scelta, ma può capitare che se ne scelga una che poi si detesta e se ne rimanga delusi. In libreria, infatti, può capitare di comprare un libro per scoprire poi che non ci piace. In biblioteca, invece, questo non succede: il libro lo puoi assaggiare e, se ti piace, lo mangi fino in fondo.
C’è un’enorme libertà di scegliere e di amare un libro senza un ulteriore peso, anche di tipo economico.
Domanda – Ha qualche aneddoto da raccontare a proposito di questa sua abitudine di frequentare le biblioteche?
Tamaro – Sì, mi ricordo con particolare dolore quando ho letto “I Miserabili”. Avevo preso in biblioteca i primi due volumi, poiché di più non si poteva, e li ho letti in un fine settimana.
Il lunedì mattina ero ansiosissima di andare a prendere gli ultimi due volumi, ma qualcuno poco prima di me aveva preso il terzo volume. Dunque, avevo letto il primo, il secondo, in biblioteca c’era il quarto ma mi mancava il terzo e così non sono mai riuscita a finire “I Miserabili”, perché poi avevo dimenticato la storia: è stata una cosa terribile.
Domanda – Quale tipo di letteratura ha più contribuito alla sua formazione?
Tamaro – Essendo nata a Trieste sono molto legata alla cultura centro-europea. Sono stata influenzata dalla letteratura tedesca, russa e soprattutto da quella di origine ebraica. La letteratura ebraica, infatti, parla molto del mistero dell’anima, a differenza di quella occidentale che è molto più tecnica e divertente, ma poco legata all’essenza dell’uomo.
Domanda – Come prende corpo in lei la decisione di voler narrare una certa storia?
Tamaro – Scrivere è qualcosa di molto affascinante e di molto misterioso. Quando mi viene l’idea di scrivere un libro su un determinato argomento, di solito faccio prima delle ricerche e poi mi metto a scrivere. Spesso però mi capita di scrivere 50, 100 pagine che sono una schifezza, perché non c’è niente di quello che volevo. Questo succede perché c’entra molto l’irrazionale nello scrivere, in quanto la ragione porta spesso a dei vicoli ciechi o a una noia mortale. È l’inconscio, infatti, che fa sì che il personaggio entri nella tua vita e ti dica: “racconta la mia storia”. In quel momento io so tutto di lui, cosa mangia, in che casa abita, chi sono i suoi parenti. Entro perciò nella sua vita, ma senza sapere la ragione precisa. Lo scrivere diventa poi una conseguenza di tutto ciò. A me succede sempre così quando scrivo, e lo ritengo molto affascinante.
Domanda – Perché ha scelto di scrivere i suoi libri in prima persona?
Tamaro – Io scrivo in prima persona per una scelta precisa. Solo così riesco a dare quell’introspezione necessaria per affrontare determinati argomenti, come ad esempio quello dell’anima. È fondamentale per il racconto interiore di una persona.
Domanda – Lei ha scritto alcuni libri per bambini, affrontando il tema della morte. Perché?
Tamaro – Innanzitutto l’ho fatto sempre in maniera programmatica. In “Tobia e l’angelo” ho affrontato il tema della morte e di cosa c’è dopo la morte: questo si può fare utilizzando un linguaggio e delle metafore semplici, ma si deve fare perché i bambini, come del resto tutti noi, sono pieni di domande ed è giusto e bello provare a rispondere, facendo un cammino insieme. È però molto più difficile scrivere per bambini che per grandi, dato che i grandi anche se il libro è una “pizza” lo leggono fino in fondo, perché è probabilmente scritto da una persona famosa. I bambini, invece, se il libro è noioso lo prendono e lo buttano. Ai bambini nessuno parla di certi argomenti, in quanto non c’è un’educazione familiare di tipo religioso classico e quindi bisogna offrire loro un indirizzo di risposta, fornendo degli appigli su cui riflettere. Pertanto io dico sempre che scrivere per bambini è come una palestra di scrittura.
[…]
Domanda – A cosa sta lavorando ultimamente?
Tamaro – A niente. Può sembrare impossibile, ma io faccio molta fatica a scrivere. Ogni mio libro è un viaggio, un’avventura unica e sempre molto rischiosa, per questo faccio molta attenzione. Ho sempre invidiato quegli scrittori che la mattina si mettono a scrivere il loro numero di pagine quotidiane. Per me, invece, scrivere un libro è una specie di follia.
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Articolo di Giulio De Angelis pubblicato su Orizzonti n.13
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