| Giuseppe Cappello, Dì d’infinito, Aletti Editore (2013) nella lettura di Silvia Leuzzi
Mi sono imbattuta nei versi di Giuseppe tre anni fa quando trovai, allegato alla rivista Orizzonti, il suo primo libro di poesie “Il canto del tempo”, di cui rimasi letteralmente affascinata. Ho avuto la fortuna di conoscerlo perché venne a lavorare al liceo di Ladispoli, presso il quale svolgo la mia professione di impiegata. È un uomo simpatico e cordiale, la cui semplicità rende ancora più apprezzabile il suo lavoro di poeta raffinato. In lui è forte la formazione filosofica che ha ricevuto e in cui si abbevera ogni giorno, non foss’altro che per il suo lavoro di insegnante. L'insegnamento in Cappello esce dall'angusta veste di lavoro ed entra prepotente nei versi, si intesse con loro in un gioco di incastri emotivi.
“La danza dei cristalli” è una delle poesie più intense in cui Giuseppe ci regala l'emozione della sua osservazione dell'ambiente classe, dei turbamenti e delle pulsioni che l'attraversano ma facciamo parlare il poeta:
Fra i banchi e la cattedra
Fra i banchi e la cattedra si incontrano voci, movenze e sguardi
Danza di cristalli fra i cristalli
Del concetto che rapisce i cuori che battono nel ritmo degli Ipod
Della pulsazione della fanciullezza nel concetto
Tutto in questi pochi versi centrali, tutto della realtà della scuola, quell'ambiente bistrattato e deriso da questa società ottusa, che coltiva ignoranza in un paese in cui la cultura è l'unica risorsa oggettivamente disponibile come materia prima.
La poetica di Giuseppe tocca, con la delicatezza del filosofo, tutte le tematiche sociali e umane ma non si avvertono echi di impegno politico o civile, che peraltro coltiva, tutto rimane molto ovattato, per lasciare alla poesia il potere suggestivo di ammaliarci con i suoi veli e i suoi sguardi da seducente amante. Correndo estasiata lungo le pagine di “Dì d’infinito”, un meraviglioso libro di poesie, non potendo segnalarvi tutti i versi, che mi hanno lasciato bocconi trasognata, ho però selezionato quelli di più alto spessore e li commentiamo insieme.
Da istanti d’universo:
Su in una stella l'eco luminosa dei discorsi
Non sembra anche a voi di vedere questi discorsi sottili e amanti che si illuminano nel vapore caldo dei fiati? E quell'eco, impercettibile sentire dell'amore, la cui luce ci rende meno temibile il giorno che verrà.
Da Speranza o naufragio:
La parola ci unisce e ci divide
Sintesi estrema di tutto il dibattersi umano. La parola, il verbo, l'espressione sonora che ci illude e ci uccide, speranza e naufragio di sogni. C'è tutto Giuseppe e la sua vita che fanno capolino tra i versi. C'è la meravigliosa bambina nella bellissima “Nei veli di Artemide”, sentite che delicatezza e amore in queste semplici parole:
tra le tue rosee labbra,
fa capolino un fanciullesco dentino bianco
Effluvi per l'estasi nei veli di Artemide
L'amore che sprigionano quelle rosee labbra, delicate e sorridenti di una bambina è in quei veli di estasi, in cui ci lasciamo cullare, estasi effimera come un velo.
Una novità rispetto agli altri libri di Cappello è il tema dell'amore. Giuseppe non si perde in trasognati tramonti, in lacerate carni e calde lacrime ma ferma con il verso il dubbio, prevalente sentire in amore. C'è sempre quel qualcosa che un giorno ci rimprovereremo di non aver detto o non aver fatto. Ma lascio ancora la parola al poeta, da:
Le auree vestali dell'infinito
Se le avessi detto quella parola
…..............................................
se fossi entrato con la mano nell'idea
Il tempo un giorno avrebbe chiesto del nostro amore
Sentite che pathos lacerante si nasconde in queste parole pacate, una rassegnazione filosofica, un'osservazione spietata di quel che forse si poteva fare e non si è fatto. Vorrei farvi notare quel “se fossi entrato con la mano nell'idea”, una metafora intensa, perché nei sentimenti ci si affonda con le mani, non si può credere di poter rimanere ad osservare la vita. Il rammarico è tutto in quella chiusa. Il tempo, grande Cronos, dio degli uomini il vero, l'unico, quello che cesserà di esistere per noi, quando si chiuderanno i nostri occhi; quello cantato dai poeti di tutti i tempi, affascinante e terribile.
La bontà del viso di Giuseppe trova nella poesia La spada spezzata, la sua origine. L'idea, l'alta morale che trasuda da questi versi sono uno dei migliori biglietti da visita, riporto i primi due versi:
Intonare le nostre vite nella parola della carità
Uno dei sogni in cui ho impegnato il mio spirito tutto
Dove ci si richiama alla carità non come sentimento mieloso e stereotipato ma come un impegno dello spirito dell'uomo per la sua e l'altrui gioia.
Altro esempio è” Il volto dell’altruità”, in cui l'altruismo diventa accettazione dell'altro e dove il poeta richiama l'attenzione sulla stupidità dei giudizi:
Capire o giudicare
dov'è il confine!
Poche righe ma taglienti e decise in cui il filosofo, il vate poeta ci ammonisce, e qui la poesia si fa morale e insegnamento, sulla mancanza di confine tra la comprensione e il giudizio. Tutta la poesia attenta e dai versi ben costruiti è un'esortazione alla comprensione dell'altro, del diverso, dell'incomprensibile infinità dell'umanità.
E così potrei continuare per pagine e pagine, perché sono veramente tutte belle ed intense le poesie di questo libro.
Cappello, infatti, ha un verseggiare filosofico, non già per la complessità dei vocaboli, ma per come sono composte le parole, il suono, i colori, i profumi, i continui richiami alla Grecia arcaica e alla sua filosofia, che tanto si intesse con la nostra vita.
Interessante è poi l'utilizzo per alcune liriche, del testo inglese a fronte, sembra quasi che Giuseppe faccia uscire la poesia italiana dalle pastoie retoriche, universalizzandola all'interno del contorto processo globale che tutti ci unisce in una danza a volte insostenibile.
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