| NAPOLI (di Lino Zaccaria) - L’opera prima è sempre circondata da curiosità. In libreria, al circolo letterario, nei caffè à la page, in genere se ne discute. Nel firmamento sempre affollato e vivo della narrativa da qualche giorno compare “L’altra metà del cuore”, il romanzo del debutto di Amelia Pollice (Aletti Editore). Dalla quarta di copertina si scopre che è un’imprenditrice napoletana, laureata in Giurisprudenza, appassionata di criminologia e soprattutto animalista. Convinta. Ma in questo affresco le sue passioni poco rilevano. “L’altra metà del cuore” è storia di almeno tre generazioni, che parte dalla Sicilia e finisce in Sicilia, attraversando il fenomeno dell’emigrazione, con i suoi riti, le sue struggenti tristezze, i suoi umanissimi risvolti. Un racconto che mescola ritratti di civiltà contadina, di cupa miseria, e splendori e ricchezze rutilanti da capitano d’impresa, da self made man che sa anche trasformarsi in sacro vindice contro il prepotente che aveva spezzato il cuore della sua semplice e ignara gioventù. Vito Salina è il personaggio attorno al quale si snoda la storia, l’orfanello che smarrito lascia la terra natìa in compagnia degli amici del padre, anche loro in cerca di fortuna. E che per un incredibile gioco del destino diventa il rampollo prima e il titolare poi di una affermata impresa immobiliare, la più importante di New York, che gli consentirà di diventare miliardario, scacciando i fantasmi della sua grama adolescenza. E c’è posto anche per ritagliare accorate descrizioni del ritorno alle origini, al vicolo dell’infanzia. Un remake, in sedicesimo, delle nostalgie di “Nuovo cinema Paradiso”.
Attorno a Vito girano altri splendidi personaggi, descritti con superbo acume e che rendono il racconto pulsante, denso di ritmo e persino trapuntato di suspence. Il prode Gennarino, avanguardista sulla via della coperta dell’America, è un personaggio che solo accidentalmente acquista la qualifica di comprimario, ma che in realtà informa, con la sua allegria e il suo genuino carattere napoletano, tutto il racconto. Non mancano flash paesaggistici e richiami, riportati in calce ai paragrafi (e talvolta anche nel bel mezzo), a versi di autori celebri che quei concetti hanno scolpito mirabilmente nelle loro opere. Ma quel che sorprende di Amelia Pollice è soprattutto la tecnica narrativa originale, che si snoda attraverso tanti capitoletti, che si inseguono, ottimamente congegnati creando un ingranaggio che è anche un perfetto unicum. Efficaci i dialoghi, parsimoniosamente utilizzato anche il flashback. Ed è quest’ultimo un altro merito che impreziosisce il lavoro dell’esordiente. La storia di Vito è costellata di successi, ma anche di lutti e di dolori. E’ la saga della sua famiglia si conclude con la storia nella storia, quella di Rosa, la bimba rifiutata che si fa strada e che suggella la narrazione con un effetto trilling che è bene qui non dipanare. Al lettore l’onere di catturare, nelle ultime righe, il bandolo della matassa. E anche l’onere di correre in libreria, sapendo a priori che il ricavato verrà devoluto alla causa animalista: La passione che non traspare nel romanzo, ma che infiamma la vita dell’autrice.
Diventa nostro amico su Facebook
www.facebook.com/alettieditore
Seguici su Twitter
www.twitter.com/alettieditore
Visita il nostro Canale Televisivo Youtube
www.youtube.com/alettieditorechannel
|