| Quando ho cominciato a leggere questo libro, dal titolo in verità poco accattivante, che l’amico Andrea mi ha chiesto di presentare, confesso che per un po’ sono rimasto perplesso e alquanto disorientato.
Che libro è? – mi chiedevo. Non è un romanzo (infatti non c’è scritto sulla copertina). È un libro di memorie? E che genere di memorie? È un’autobiografia? O forse un saggio politico? Un trattato? Non credo, non può essere: è troppo dichiaratamente schierato. Comincia infatti (pag. 1, riga 1) con il ricordo della data di nascita del Partito Democratico (27 ottobre 2007) e continua menzionando Veltroni e i problemi connessi con la nascita di quel partito.
Per di più alcune volte esso ha il tono di un’allocuzione rivolta a destinatari non precisati, e talora sembra assumere la forma e lo spirito di una lettera al figlio Antonio (a cui spesso si rivolge come all’erede delle sue battaglie e dei suoi progetti politico-culturali), ma spesso i destinatari diventano i giovani in generale, a cui stiamo lasciando una pesante eredità.
Mi ponevo tante domande, poi, andando avanti, ho cominciato a capire. Il libro diventava sempre più intrigante e mi spingeva ad addentrarmi, sempre più curioso e coinvolto, in un mondo denso di fatti realmente avvenuti, di problemi non risolti, di battaglie vinte e perse (più perse che vinte), di personaggi politici famosi e di gente comune con i suoi affetti, difficoltà quotidiane, esperienze, ricordi.
Ho capito che il libro voleva essere, ed era, la somma di tutte le cose che ho elencato. L’Autore era riuscito a comporre il tutto in una sintesi mirabile e a condurre per mano il lettore nel suo appassionato ripercorrere l’avventura della sua vita, tutta spesa per la scuola e per la politica. E più si inoltra più lo seguiamo con simpatia e partecipazione in questa personalissima Odissea, rivissuta con gli stessi sentimenti, le stesse ansie, gli stessi palpiti della prima volta.
Ho detto che il libro è intrigante, ed è vero. Lo è, a dispetto del fatto che la cornice entro cui si inscrive la grande fiumana dei ricordi e dei problemi, agitati ancora come vivi e pungenti, sia assai esile, non più che un pretesto.
Sono in campo due soli personaggi: Gabriele (l’Autore) e il suo antico compagno di gioventù, Nike, ritrovato dopo circa 40 anni.
Nike ha intenzione di scrivere un libro sull’Abruzzo e perciò va alla ricerca di documenti e testimonianze. Si è rifatto vivo per questo. Ma non ha ancora le idee chiare su che cosa e come deve narrare in questo libro. Sa solo che deve essere storia della nostra regione, dei fatti e della vita vissuta della nostra gente.
Procedendo, ancora alla cieca, in questa ricerca, ha molti colloqui con Gabriele, in casa del quale ora vive.
L’Autore ha modo di parlare, in questa parte dell’opera, di tante cose. E lo fa con piglio nostalgico e appassionato ma leggero, discreto, mai invadente, in uno stile che coinvolge e seduce.
Nei colloqui tra Nike e Gabriele riaffiorano, come trasportati a riva da onde provenienti di lontano, ma con moto calmo e carezzevole, memorie di fatti e persone care:
- gli anni universitari con la loro bohème;
- la maestra Lucia, la suocera amatissima, col suo sorriso, i modi gentili, il profilo affabile che è così caro a noi che l’abbiamo conosciuta, la maestra De Angelis, e abbiamo assistito con tristezza al suo progressivo assentarsi dal mondo;
- il maestro Gianni, uomo probo e dedito, oltre che alla scuola, al bene della comunità popolese col suo impegno politico disinteressato: io l’ho conosciuto e apprezzato ai tempi in cui amministravamo l’ospedale di Popoli, sia pure in partiti opposti;
viene rievocata la figura di Modestino De Angelis e della moglie Maria, i nonni della moglie di Gabriele-Andrea, che porta il nome della nonna, secondo il rito giustamente valorizzato nel libro con accenni affettuosi e talora vagamente ironici (come quando si ricorda che Modesto chiamò i suoi due figli maschi il primo Giovanni Eustachio, in omaggio ai nonni paterno e materno, e il secondo Eustachio Giovanni, a ruoli invertiti.
Tanti altri episodi vengono rievocati in questa storia familiare, a significare, pur senza dirlo esplicitamente, che quella che consideriamo “storia minore” è parte integrante della “storia maggiore”, che non avrebbe senso senza di quella.
E solo dopo quelle rievocazioni, sullo sfondo di esse e con nella mente e nel cuore l’odore e il sapore di esse, viene fuori il quadro della storia maggiore, quella pubblica, sulla quale l’Autore si rituffa “toto corde”, impegnando ancora una volta tutto se stesso.
Ecco allora il terremoto di quel funesto aprile del 2009, con tutti i problemi e le tragedie individuali e collettive.
Ecco soprattutto il ritrovamento di un vecchio diario, risalente al 1973: una cartellina di fogli dattiloscritti, intitolata “Ville e giardini gentilizi”. Erano appunti e considerazioni sul Piano Regolatore Generale di Sulmona e sulle aspre battaglie combattute per esso, conclusesi purtroppo con la cocente sconfitta dell’Autore e della sua parte all’interno della Democrazia Cristiana.
Da qui in poi il discorso si leva alto sul piano politico, economico, etico, e riguarderà non solo Sulmona, ma tutto l’Abruzzo. Anzi la nostra regione diventa il punto di osservazione entro il quale e dal quale è possibile esaminare i modi, i princìpi, gli uomini dell’intera politica nazionale.
Il discorso è politico, ma tutt’altro che riservato agli addetti. Viene messo a nudo, dall’interno e da uno che se ne intende, tutto il coacervo e l’intrico di problemi e di interessi, spesso poco nobili, che hanno segnato la storia della cosiddetta prima repubblica. E ci spieghiamo perché essa è finita in quel modo e perché siamo ancora qui, in mezzo al guado, impantanati come mai si ricorda nella storia della Repubblica, anzi del nostro Paese dall’Unità in poi. È sotto gli occhi increduli e sbigottiti di noi tutti la situazione che si è creata nelle elezioni di pochi giorni addietro.
Il racconto si fa davvero coinvolgente e a tratti assume l’andamento di un thriller. Si leggano, ad esempio, le pagine 106-116, proprio sul PRG di Sulmona: una vicenda romanzesca, narrata con stile e misura, e con una felice caratterizzazione dei personaggi che vi agiscono. Segnalo, fra tutte, la figura del Professore, delineata con perizia ed efficacia. L’Autore non lo nomina mai, ma tutti vi riconosciamo il prof. Bolino, un politico di razza, da lui ammirato, sia pure con qualche riserva.
Dal PRG si passa poi ad altri problemi, di grande importanza per Sulmona e per l’intera regione: l’insediamento della FIAT, il piano industriale della regione, lo stabilimento di Bussi, fatto finire miseramente e con strascichi assai gravi non solo per l’economia e l’occupazione, ma per la salvaguardia del territorio, delle acque, della salute degli abitanti. Viene poi ricordato il rapporto conflittuale, da sempre, tra L’Aquila e Sulmona, nonché il divario crescente tra la costa e le zone interne.
E così man mano lo sguardo si innalza dai politici locali a quelli regionali e nazionali, sempre rimanendo all’interno della DC. Scorrono davanti a noi più volte le figure di Gaspari e Natali in primo luogo, coi loro pregi e difetti e le diverse visioni politiche. E rivivono con profili netti e riconoscibili, oltre a quella di Spataro, figure meno vistose, come Di Giannantonio e Fabiani.
Ma si può dire che ci sono tutti, da Scelba ad Andreotti a Fanfani a Forlani.... Non manca nessuno, ma su tutti l’Autore fa giganteggiare le personalità di don Sturzo, di De Gasperi, specialmente di Moro, verso il quale nutre una speciale venerazione. Perché egli si sente più vicino a quella parte della DC che, ispirandosi al cattolicesimo democratico, approderà prima alla (ri)fondazione del Partito Popolare e confluirà poi nel Partito Democratico. E qui la storia si fa attuale.
Tutto riemerge da quel dattiloscritto ritrovato. Grazie ad esso sarà possibile far scorrere davanti a noi contemporanei, specialmente alle nuove generazioni, il film della nostra storia, un film che vuole dare all’Abruzzo l’onore del primo posto, il ruolo di protagonista.
Gabriele e Nike, per chiudere la cornice di cui parlavo, sono concordi sul fatto che questo dovrà essere “il libro” che Nike voleva scrivere. Era riposto in una scrivania nella casa di Gabriele, ma soprattutto nella sua memoria di protagonista della vita sociale, culturale e politica di Sulmona e della Regione tutta.
Bastava riprenderlo, ricomporre l’ordine delle memorie, riassettarle, per così dire, al fine di consegnarle al figlio Antonio, alle generazioni future e a tutti noi come materiale da utilizzare per una nuova edificazione della nostra vita pubblica.
E forse, se posso permettermi, era così, come quel dattiloscritto, che il libro si doveva intitolare: “Ville e giardini gentilizi”.
Diventa nostro amico su Facebook
www.facebook.com/alettieditore
Seguici su Twitter
www.twitter.com/alettieditore
Visita il nostro Canale Televisivo Youtube
www.youtube.com/alettieditorechannel
|