| Stasera scrivo a lume di candela. Calma; non si tratta di un patetico rigurgito di romantica malinconia: è la cruda necessità della corrente elettrica che ha preso il volo dalla mia strada ed è fuggita verso le stelle (be’, una polverosa invenzione letteraria spero me la perdonerete ogni tanto!). Insomma scrivo a lume di candela ed, ecco fatto, sono di nuovo nell’Italiuccia rurale di quand’ero bambino, molte radio, niente televisioni, acqua alle fontanelle, luce che va e che viene; ecco le facce e i figuri indimenticabili di un paesino di cinquant’anni fa: i soliti notabili, il medico condotto, i contadini, il farmacista, il sindaco (comunista o democratico), poi l’irriducibile fascistone, le bigotte, il prete sanguigno e di spicce maniere. Ecco pronto il teatrino: potrei parlare tranquillamente (come sto facendo) del mio paese, del mio sindaco e del mio prete, ma lo scenario è incredibilmente uguale ai fatti e misfatti di Peppone e don Camillo, gli amatissimi personaggi di un seguitissimo “miniserial” cinematografico iniziato nel ’52 e terminato in pieno “boom” nel ’65. Ed ecco la ragione di tanto affetto e simpatia: perché eravamo proprio così, o perlomeno pensavamo di esserlo. Poteva essere il Salento o la provincia veneta invece della “bassa” emiliana, cambiava il dialetto, ma gli umori, i rancori, le simpatie e le grinte erano sempre quelli. Forse troppo bonomia direte, troppo “buonismo” diremmo oggi; e poi, questo chiacchierare con Cristo facile facile, come un commento all’osteria! Eh sì, troppo facile. E anche troppo bello quel ritrovarsi alla fine tutti d’accordo davanti a un buon bicchiere di vino, un sorriso d’intesa e il buon senso la vince su ipocrisie, carognate e maldicenze.
Sì; troppo bello un prete che s’incazza e mena le mani, ma che poi crede fino in fondo nelle cose giuste e sa quando deve rimboccarsi le maniche, un sindacone “rosso” e stalinista (quando ancora Stalin era una specie di santo laico per i diseredati di mezza Europa) ma che ama la sua terra e la sua gente fino a travisare ingenuamente ideologie e dottrine politiche. Sì, era proprio come un bel presepe, ed era bello ritrovarci tutti nella vecchia sala cinematografica ancora infarcita di spari di cow-boys e scalpiccii di Fred Astaire, delle patrie lacrime di Nazzari e di detective in bianco e nero; ritrovarci in quella casa comune, come sull’uscio d’estate, a questionare di politica o di corna, o nel “circolo” in piazza tra una briscola e uno “chemin de fer” di contrabbando. Era quello il nostro cinema, ed erano Peppone e don Camillo i nostri amatissimi angeli custodi, le maschere affettuose ed esemplari che custodivano, scherzando e bestemmiando, i nostri focolari ed i nostri bracieri: il fuoco benevolo e discreto che ci scaldava, magari fingendo a noi stessi perché la realtà era poi altra, ma in cui volevamo a tutti i costi scaldarci. Perché era la nostra terra, la nostra gente, la nostra speranza per un mondo che sarebbe stato sempre così, nonostante tutto. Sì, era l’Italiuccia dei nostri paesi, dei nostri curati e dei nostri sindaci. Don Camillo e Peppone ci facevano vedere che poteva, alla buona, essere anche così.
La vita è stata dura nel cambiarci, e oggi vi stiamo solo raccontando una favola. Che male facciamo a sognare un po’, ogni tanto?
(Articolo di Luigi M. Bruno, pubblicato su Orizzonti n. 20)
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