| LAWRENCE FERLINGHETTI, editore e padre della beat generation, autore di "A Coney Island of the Mind", uno dei libri più venduti al mondo, presenta «Sulla rotta di Ulisse» la sua nuova "fatica" letteraria: l’opera pubblicata da Aletti, che coniuga pittura e poesia, le due anime dell’artista e editore della beat generation
Un prezioso cofanetto che racchiude il volume bilingue The Sea Within Us (Il mare dentro noi) con poesie ispirate al mare, e le riproduzioni di 19 disegni dedicati al passaggio di Ulisse nello stretto di Messina
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INTERVISTA
Domanda - La Aletti Editore pubblicherà presto The Sea Within Us (Il mare dentro noi), un volume di liriche per la maggior parte inedite che ha il valore aggiunto di inaugurare “Il Paese della Poesia”, nuova collana dedicata alla poesia internazionale.
Ferlinghetti - «Sono contento di inaugurare la collana “Il Paese della Poesia”, che richiama un luogo fisico realmente esistente, il paese di Rocca Imperiale, dove è presente una stele della mia lirica Non ci sono ancora lucciole?. So che la collana presenterà anche le opere degli altri autori delle stele poetiche presenti nel borgo calabrese».
Domanda - Il libro, che ho curato assieme ad Elisa Polimeni, include non solo i tuoi testi ispirati al mare, ma anche le riproduzioni di una serie di disegni dedicati al passaggio di Ulisse nello stretto di Messina. Mi sembra che questa pubblicazione celebri in un certo senso la tua doppia natura di artista pittorico e poeta, sei d’accordo?
Ferlinghetti - «Sì. Il mare dentro noi è una pubblicazione che riunisce l’ispirazione pittorica e quella poetica, presentando da un lato le poesie che ruotano attorno al tema del mare e dall’altro una serie di disegni e dipinti che ho realizzato in Italia e nel mio studio di Hunter’s Point a San Francisco. Il principio è lo stesso che ispira ad esempio la mostra che verrà inaugurata quest’estate al Sonoma Museum of Art, una retrospettiva notevole che si sviluppa a partire dal medesimo concetto: la mostra, come questa pubblicazione con Aletti, mette assieme i miei lavori scritti e la mia arte. A dire il vero, ho sempre cercato di tenere separati i miei dipinti dai miei scritti, ma non riesco più a “resistere” (ride, ndr). Inizialmente la mia idea era che i dipinti non dovessero farsi strada sfruttando la mia reputazione come poeta. Ma non importa quanto e come io resista, sembra che ognuno voglia mettere la mia poesia assieme ai miei dipinti, quindi probabilmente è così che doveva essere».
Domanda - Sì, capisco perfettamente. Ma credo che un punto di forza del libro sia che le due sfere, pur co-esistendo, sono in fondo separate e hanno valore di per sé, tanto più che i dipinti e gli studi preparatori che verranno riprodotti come componente aggiuntiva del libro, andranno a far parte di una mostra che ha la sua propria identità e dignità, indipendentemente dal libro. Alla stessa maniera il libro, al di là delle riproduzioni, ha un immenso valore di per sé.
Ferlinghetti - «Sì, hai ragione. Infatti sono felice per entrambi gli aspetti di questa pubblicazione e sono entusiasta della mostra, anche se non penso di riuscire a vederla dal vivo (ride, ndr)… non credo che riuscirò a venire in Italia quest’anno. Le correnti d’aria sono troppo forti, le ali dell’aereo potrebbero cedere (ride, ndr), no, non credo di farcela quest’anno!».
Domanda - Sai quanto sarei felice se venissi e non ho ancora rinunciato del tutto all’idea. Tornando al libro, da dove nasce il titolo che hai scelto, Il mare dentro noi?
Ferlinghetti - «È un titolo che mi piace e che suggerisce l’armonia dell’intero gruppo di poesie. Viene dai Four Quartets di Eliot, se aspetti, cerco il passaggio esatto. È nella sezione intitolata The Dry Salvages, ecco: “The river is within us, the sea is all about us; The sea is the land’s edge also” (Il fiume è dentro di noi, il mare tutto intorno a noi; / il mare è anche l’orlo della terra). In Eliot è “il fiume dentro di noi”, devo aver modificato inconsciamente il verso nella mia mente».
Domanda - Una delle perle del libro è At Sea, un lungo componimento che hai deciso di dedicare a Pablo Neruda. Come mai questa dedica? Lo hai mai incontrato?
Ferlinghetti - «Sì! L’ho incontrato a Cuba nel 1959, durante il secondo anno della rivoluzione cubana. Alloggiava all’Havana Libre, un hotel che prima della rivoluzione fidelista si chiamava Havana Hilton. Neruda era stato invitato a fare una lettura di poesie nella sala dove il dittatore (Fulgencio Batista, ndr) e i suoi senatori avevano, un tempo, il proprio quartier generale. L’ho incontrato prima del reading, grazie a un gruppo di giovani poeti cubani che lavoravano per Lùnes de Revoluciòn, un supplemento mensile di letteratura allegato al quotidiano Revoluciòn. Li ho incontrati per caso in un bar e in un lampo hanno organizzato un breve incontro con Neruda. Così sono andato in questo hotel. Era a conoscenza dei poeti beat, anche perché Lùnes de Revoluciòn ci aveva pubblicati. Neruda alloggiava al piano più alto, nella suite dell’hotel e ricordo perfettamente la scena: era seduto accanto a una grande finestra e davanti a lui c’era un grande portfolio aperto, alto circa mezzo metro, e lui era lì che scriveva, quasi disegnava, grandi lettere nere. Esattamente in questa occasione - lo cito in una delle mie poesie - esclamò: “Amo la vostra poesia aperta!”. Parlava un buon inglese con un accento marcato. Non so se si riferisse alla mia poesia o in generale alla poesia della beat generation; tuttavia credo che intendesse i beat in generale, lui stesso ne era stato in qualche modo influenzato. Anche la poesia di Neruda è completamente “aperta”. Si è trattato di un incontro breve, solo 15 minuti, perché nel frattempo era arrivata la limousine nera mandata dai fidelisti per condurlo al reading. Sono salito anch’io e siamo arrivati in questa sala enorme dove c’erano 2 o 3 mila fidelisti con indosso le uniformi da battaglia e con in bocca sigari fumanti, seduti sulle stesse poltrone ricoperte di velluto dove sedevano i senatori prima della rivoluzione. E si percepiva una frenesia fantastica, una sorta di euforia rivoluzionaria. Eh sì, erano i giorni della rivoluzione cubana in cui c’era solo euforia e la sala vibrava di energia positiva. L’ho salutato alla porta perché naturalmente non potevo entrare, non ero nessuno, solo un giovane poeta come tanti. Quando entrò ci fu una vera e propria ovazione, applausi e urla, poi salì sul palco e lesse forse per un’ora. Il suo modo di leggere era trascinante e a ogni poesia seguiva una vera esplosione di gioia».
Domanda - Anche se breve, direi che l’incontro è stato intenso. Ma ancora non mi hai detto perché la dedica a Neruda.
Ferlinghetti - «Mi sono dimenticato di dirti la mia risposta alla sua esclamazione. Quando ha espresso la sua ammirazione per la nostra poesia “aperta”, io gli ho risposto: “Bé, senza dubbio tu hai indicato la strada”. Perché vedi, Neruda è stato un vero riferimento per la poesia aperta, spalancata sul mondo, dei beat e non solo. È una poesia che, come quella di Whitman, contiene ogni cosa, abbraccia ogni cosa. Ma la ragione della dedica è un’altra: quando ho scritto At Sea stavo leggendo un suo volumetto di poesie, Winter Garden, e il loro tono in un certo senso ha influenzato il mio. Perché se leggi intensamente qualcuno, finisce che il ritmo e il suono quasi si impadroniscono di te e della tua scrittura».
Domanda - Credi che il tuo rapporto con il mare sia cambiato nel corso degli anni?
Ferlinghetti - «No, non credo. Anzi penso che, in generale, il rapporto dell’uomo con il mare non sia cambiato negli anni. È un rapporto eterno, una situazione eterna che non muta: il mare ci circonda e ci ha sempre circondato.
La situazione è quanto mai peculiare qui a San Francisco, siamo circondati dall’acqua su tre lati, tuttavia di questi tempi nessuno sembra pensare realmente al mare. Le persone passeggiano in riva all’oceano o vanno in barca, attraversano il Golden Gate Bridge e così via, ma non ne hanno coscienza, non possiedono una consapevolezza reale del mare nella vita quotidiana, lo ignorano completamente. Non sembra che il mare influenzi la vita della maggior parte degli uomini, mentre ti immagineresti il contrario visto che circa il 70% della superficie terrestre è ricoperto dall’acqua e il livello del mare continua a salire e gli oceani si impadroniscono pian piano della terra emersa».
Domanda - Invece la tua relazione con il mare è molto più profonda…
Ferlinghetti - «Per me il mare è sempre presente, e non potrei mai modificare il mio rapporto con “lui”. L’unica differenza è che oggi non vado più in mare da marinaio, da uomo di mare. Sono un uomo di mare in pensione, che adesso vive sulla terraferma, ma l’intensità del rapporto non è mai cambiata».
Domanda - Credi che la presenza in molte tue poesie, come anche nei dipinti, della rappresentazione del viaggio per mare dipenda in qualche modo anche dalla ricerca, che hai condotto per tutta la vita, di un legame con tuo padre, o è unicamente legata alla tua esperienza nella Marina?
Ferlinghetti - «Non saprei, ma non credo che abbia a che fare con mio padre. Mio padre, per quanto ne so, non era un uomo di mare e credo che abbia attraversato l’oceano quell’unica volta da immigrante per venire in America. Di certo è decisamente connesso alla mia esperienza in mare».
Domanda - Del resto sei stato comandante di un cacciasommergibili durante la Seconda Guerra Mondiale…
Ferlinghetti - «Sì, sono stato nella Marina poco più di quattro anni, durante i quali sono stato poco o niente sulla terraferma, non facevo che spostarmi da una nave all’altra. Se trascorri quattro anni della tua vita in mare, questo non può non cambiarti in qualche modo…».
Domanda - Di certo cambia il modo di vedere le cose, la prospettiva…
Ferlinghetti - «Sì, esatto. Chiunque è stato in mare per un certo periodo sa che il mare è anche un mostro che può girarsi e morderti in qualsiasi momento (ride, ndr)».
Domanda - Ho sempre pensato a te come a un vecchio lupo che ha nostalgia talvolta della vita in mare.
Ferlinghetti - «Ebbene sì, hai ragione. Nella prima pagina di At Sea c’è un “vecchio lupo di mare che siede scrutando il mare”, naturalmente il vecchio marinaio sono io. E se mi manca? Mi piacerebbe avere una barca e navigare in lungo e in largo per il mondo, sarebbe fantastico, ma a bordo di una nave devi avere un equilibrio stabile, specialmente se sei su una piccola barca a vela (come quella che io potrei avere), devi avere i piedi ben saldi e puntati a terra, non puoi essere un vecchio tipo che barcolla sul ponte (ride, ndr)».
Domanda - Un vecchio tipo? Non conosco alcun vecchio tipo! At Sea è chiaramente una poesia che privilegia la dimensione intima e privata, lo dici tu stesso quando affermi “che è tempo di fornire un resoconto di tutto”, cioè di una vita intera. E per la prima volta affronti temi difficili, come la mortalità, senza ironia.
Ferlinghetti - «È vero, parlo di temi difficili, la mortalità, la precarietà e fragilità della vita umana. L’ho scritta in Belize, tutta d’un colpo, senza interruzioni».
Domanda - Senza interruzioni? Incredibile! Stavo per dirti che sono d’accordo con Jack (Jack Hirschman, che ha scritto la prefazione, ndr) quando afferma che questo poemetto è forse l’opera più importante che tu abbia mai scritto… Possiede una musicalità che ti trascina, come se il mare avesse imposto un ritmo preciso, come se le onde si imprimessero sulla pagina… e a tratti vieni risucchiato…
Ferlinghetti - «Sì, ogni verso è un’onda… ma il mare rimane inscrutabile, non è possibile capire quello che ci sta dicendo. E tutto può svanire in un istante, risucchiato dal mare: la razza umana, gli animali, le città...».
Domanda - Sì, infatti parli di “momento spaventoso”, di “disastroso cambio di rotta”: accanto alla dimensione privata, emerge la tua coscienza ecologista.
Ferlinghetti - «Vedi, è esattamente questo il punto. Il livello del mare continua a salire ed è solo una questione di tempo prima che tutto ciò che è sulla terra venga spazzato via. Non accadrà di certo durante la nostra vita, ma succederà in un futuro non così lontano. E l’uomo continua a fare esattamente le cose che non dovrebbe fare, continua a fare tutte quelle cose che inquinano sempre più l’atmosfera, accelerando lo scioglimento dei ghiacciai e, di conseguenza, la velocità dell’innalzamento del mare. Ogni persona sa esattamente cosa non si dovrebbe fare per evitare il disastro, ma va avanti e lo fa ugualmente. Anche se in questa poesia in particolare, la dimensione ecologica non è quella principale, resta una componente importante, perché l’uomo persiste in un comportamento che assomiglia a un vero e proprio suicidio ecologico. Sono arrivato alla conclusione che l’uomo è troppo stupido, troppo avido, per salvarsi dal disastro ecologico».
Domanda - È vero, ma voglio rimanere attaccata alla speranza che l’uomo possa decidere di salvare se stesso e il pianeta.
Ferlinghetti - «La speranza esiste sempre, anche se oggi la realtà è che, nonostante esista una possibilità, l’uomo continua a ripetere gli stessi errori. E non parlo solo degli Stati Uniti ovviamente, ma di tutto il mondo industriale, inclusi Cina e Giappone. In Giappone hanno dichiarato che non apriranno ulteriori impianti nucleari e che tutti gli impianti di produzione di energia nucleare presenti verranno chiusi. Finalmente tutta la nazione si è resa conto che fare il contrario equivarrebbe a un suicidio ecologico, ma gli Stati Uniti vanno trionfalmente avanti con i loro programmi nucleari e progettano di aprire nuovi impianti».
Domanda - Comunque il Giappone è giunto a queste conclusioni solo dopo un’ulteriore tragedia nucleare, il disastro di Fukushima.
Ferlinghetti - «Sì, purtroppo è vero. Quello che si è verificato a Fukushima è una catastrofe ecologica di dimensioni immani. Avrebbe potuto distruggere l’intera nazione e se ne pagheranno le conseguenze ancora per decenni».
Domanda - Abbiamo parlato della dimensione privata, intima di "At Sea", che è senza dubbio quella preponderante, e abbiamo parlato della dimensione ecologica. Ne esiste anche una politica… Non posso non chiederti di spiegare cosa intendi con “Middle mind of America” (mente Media dell’America…)
Ferlinghetti - «È una frase chiave».
Domanda - Lo so, anche perché ha due significati: è la mente media americana ed è anche la mente della Middle America (parte centrale degli Stati Uniti, ndr).
Ferlinghetti - «Esattamente! È esattamente queste due cose insieme. Sono anni che la televisione sta instupidendo gli americani, è mezzo secolo ormai. Mediamente le televisioni hanno come target bambini di età inferiore ai 9 anni, come se l’intera popolazione fosse ferma a quel livello di capacità intellettiva. La piccola mente americana è anche quella tratteggiata in televisione. Nel secondo senso, gioco un po’ sul pregiudizio che esiste sia sulla costa Ovest, ma ancor di più a New York e sulla costa Est, nei confronti della “Middle America”, quella compresa tra le coste, e il Mid-West in particolare».
Domanda - Tu parli di “mormorio” della mente media americana. Riesci a immaginare degli “uccelli” che cantino più forte di questo mormorio?
Ferlinghetti - «Sì, ne esistono per fortuna! Presumibilmente gli intellettuali hanno una mente più profonda della mente media, ma non sono sicuro che la categoria includa molti poeti. Cioè, quanti poeti partoriscono realmente pensieri profondi? Non mi sembra che al momento ci sia un fermento di vita intellettuale pronto a scatenare l’inferno nel mondo della poesia recentemente!».
Domanda - Andiamo ai disegni e ai dipinti che accompagnano le poesie. L’ispirazione iniziale è il passaggio di Ulisse attraverso lo Stretto di Messina, tra Scilla e Cariddi, tema che tratti con una certa ironia. Come immagini un moderno Ulisse? Che aspetto avrebbe e cosa farebbe?
Ferlinghetti - «(Ride, ndr) Sarebbe forse una stella dell’atletica, o del baseball o del football. Come le stelle del calcio europeo o del football americano, avrebbe moltissimi soldi e trascorrerebbe gran parte del tempo a inseguire le donne, a bere e fare casino. Insomma farebbe quello che il “vecchio” Ulisse faceva, con l’unica differenza di essere sulla terraferma piuttosto che su una barca!».
Domanda - Interessante… E da che mostri dovrebbe scappare?
Ferlinghetti - «Dovrebbe scappare dalla sua stessa celebrità. E penso anche al mio mondo. La fama per un poeta o un artista è un disastro. A dirlo è stato un vincitore del premio Nobel per la letteratura, Samuel Beckett. E credo anch’io che la celebrità sia un disastro totale: distrugge la vita creativa perché all’improvviso esiste un “mondo” esterno da gestire. Quello è il mostro più pericoloso da evitare. Devi evitare la stampa, quando sei famoso, intendo molto più famoso di me, la stampa non fa che chiamarti e cercare di raggiungerti. Magari non puoi neanche camminare per strada che vieni circondato da paparazzi. E poi c’è l’altro mostro che è quello dell’eccesso, dell’abuso di droghe o alcool. Hai tutto a disposizione, un sacco di donne che vogliono dormire con te, hai tutti i soldi che vuoi per comprare droghe e alcol. Molte rockstar o stelle del cinema diventano vittime di questo mostro. È un po’ quello che è successo a Tiger Woods, tra donne e alcool è arrivato a un punto in cui la sua vita è stata un disastro totale. La moglie lo ha lasciato e sul campo da golf non è più riuscito a ottenere il punteggio necessario per entrare nelle competizioni finali».
Domanda - Credo che tu abbia ragione, cioè credo in un senso etico della vita, in una sacralità della vita che l’uomo deve rispettare in qualche modo…
Ferlinghetti - «Pensa a Jack Kerouac, che è stato una delle prime vittime di questo processo. È stato distrutto dalla sua stessa fama. Allen Ginsberg è riuscito a sopravvivere e non è crollato e ci è riuscito attraverso il buddismo. E Allen aveva davvero bisogno del buddismo per calmarsi e rilassarsi. Allen era molto aggressivo nei confronti della vita, sempre attivo, sempre fuori, molto socievole in compagnia, un personaggio pubblico. Anche se, quando andava ai ritiri buddhisti non faceva che scrivere dozzine di cartoline, ma il buddismo gli ha davvero consentito di sopravvivere agli attacchi dei mostri».
Domanda - E qual è la tua soluzione contro i mostri?
Ferlinghetti - «È la soluzione di Samuel Beckett: chiudere con l’intera faccenda e non avere più niente a che fare con essa. Beckett è il mio eroe moderno, ha continuato a scrivere fino alla morte. La sua scrittura è diventata sempre più underground, nel senso letterale del termine. Nell’Ultimo nastro di Krapp, c’è un uomo che sta per morire e guarda indietro a tutta la sua vita… E poi ancora l’Innominabile che è sottoterra, presumibilmente il suo corpo è morto, ma la sua mente funziona ancora. E infine Beckett ha scritto testi che sembrano discorsi di uomini in punto di morte, i rantoli della coscienza residua di un cervello che si sta spegnendo, frammenti che sono incoerenti. Questa è stata la sua soluzione!».
Domanda - Non ho difficoltà a immaginarti a scrivere e dipingere per anni e anni ancora, anche se i tuoi toni sono molto meno cupi, c’è sempre una luce che irradia dalle poesie e dalle tele… Per concludere volevo solo chiederti di Omero.
Ferlinghetti - «Chi, il cane? (ride, ndr)».
Domanda - No, il poeta cieco. (Omero è anche il nome del cane posseduto da Ferlinghetti, ndr)
Ferlinghetti - «È chiuso a scrivere da qualche parte!».
Domanda - Tra i dipinti mi ha particolarmente colpito Ulysses Tied to the Mast (Ulisse legato all’albero maestro). Ulisse è legato all’albero ed è circondato da lettere dell’alfabeto greco, c’è il simbolo dell’euro. Mi è sembrato quasi profetico: lo hai fatto poco prima di uno dei momenti più “caldi” della rivolta giovanile in Grecia. Mi ha fatto venire in mente l’esplosione di rabbia dei giovani greci e in generale delle generazioni giovani a cui è chiesto quasi di non sognare, di non sperare nel futuro…
Ferlinghetti - «Sì, è una situazione drammatica, anche qui negli Stati Uniti. Ho discusso molto della crisi in Grecia con Nanos Valaoritis. Parecchi anni fa insegnava greco all’Università di San Francisco, poi è rientrato in Grecia. Nanos è un poeta ed è il bisnipote del Valaoritis (Aristotelis, ndr) dichiarato poeta nazionale e politico che ha sempre lavorato per la liberazione e l’indipendenza della Grecia e delle isole Ionie. Nanos è il pronipote, ha scritto svariati saggi sulla situazione in Grecia; sto cercando di farli prendere in considerazione dalla stampa americana, li ho mandati a diversi editori. Ora che ci penso, Nanos ha circa 90 ed è come Omero, un Omero moderno».
(Articolo di Giada Diano, pubblicato su Orizzonti n. 41)
Fotografia di Chris Felver
La rivista si trova qui: http://www.rivistaorizzonti.net/puntivendita.htm
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