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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Il messaggio nella bottiglia - LA MENTE DEL TESTO

di Rivista Orizzonti

La scorsa volta abbiamo visto che gli oggetti fittizi sono interpretabili come enti che ci sono pur non esistendo. Che dire ora dei sensi del testo? Possono essere trattati come proprietà non proiettive del discorso letterario, alla pari degli oggetti fittizi? Secondo me, sì.
Per illustrare adeguatamente la mia proposta, innanzitutto sarà bene precisare che cosa significhi l’espressione «proprietà non proiettive» riferita ai sensi del testo. Quando ci si rapporta ad un artefatto, come dal mio punto di vista è il testo letterario, alla stessa stregua di un orologio o di un semaforo, ciò che conta è capire che cosa esso comunichi “per-sé”, piuttosto che ciò che potrebbe dire per-noi privatamente. È chiaro che un orologio o un semaforo non dicono nulla se non nel quadro di riferimento di un accordo convenzionale in cui la lunghezza e la posizione delle lancette, in un caso, e la collocazione ed i colori delle luci, nell’altro, assumono rilevanza semantica collettiva. È vero che questa convenzione smentisce in astratto il “per-sé” di qualsiasi congegno predisposto per uno scopo comunicativo, in quanto nessun oggetto dice qualcosa se non per noi (l’ombra di una meridiana è solo un’ombra e non l’indicazione di un’ora, senza qualcuno che sappia vederla come tale), ma pragmaticamente il sistema espressivo messo in gioco oltrepassa sempre la sfera dell’individualità e del desiderio personale che si orientano verso un certo senso piuttosto che un altro: posso anche volere che sia l’una del pomeriggio per smettere di insegnare, ma se le lancette dell’orologio sono disposte entrambe in orizzontale, con quella più corta a sinistra, allora dovrò attendere a scuola ancora a lungo; non posso interpretare quella disposizione come segnale di libertà dalle lezioni, perché non spetta a me decretare il senso delle lancette, ma solo esplicitarlo in conformità con quanto condiviso dalla mia cultura. I messaggi dell’orologio e del semaforo non sono mai a mia piena discrezione, questo è il punto. La qual cosa dipende dal fatto che ci sono regole che garantiscono la correttezza dell’interpretazione del quadrante dell’orologio ed altre norme che condizionano la lettura delle luci del semaforo. Proprio come bisogna saper leggere l’ora sul quadrante dell’orologio e l’indicazione di traffico nelle luci del semaforo, così è necessario saper leggere il senso del testo letterario nel tessuto dei segni verbali e (a volte) anche non-verbali di cui quello è composto. Ciò non toglie che si possa usare il testo per scopi comunicativi personali, come avviene ad esempio con i versi poetici che trascriviamo nei biglietti di auguri, o come dedica dei libri e di altri doni. Ma, anche in questo caso, l’interpretazione privata risente della semantica pubblica, se non altro al livello base della comunicazione: il significato che diciamo «letterale» delle frasi di un’opera poetica, narrativa o di teatro non è mai un’entità discrezionale, anche quando il senso viene stirato a destra ed a sinistra, per questo o quello scopo.
Pertanto sembra corretto affermare che l’essere del testo non è il risultato di una proiezione, ma di un ritrovamento e, come tale, ci precede sempre, nonostante quanto si è detto in altra sede contro il platonismo letterario ed i suoi a-priori. Com’è possibile ciò? Come si vedrà, una buona spiegazione consiste nel pensare il testo come espressione di una volontà significante che però è totalmente formale ed esclude qualsiasi «fantasma della macchina», come direbbero certi filosofi analitici contemporanei. Il testo ha una sua intenzionalità che per principio è determinabile seguendo le istruzioni che lui stesso fornisce per la propria messa-in-opera, più o meno come accade con uno spartito musicale. Quando seguiamo le regole espressive di una poesia o di un racconto, per esempio, ci è dato pervenire, attraverso l’attività della lettura, ad un’identità con cui in qualche modo dialoghiamo. Non si tratta dello spettro dell’autore, perché quest’ultimo potrebbe non aver compreso la sua stessa creatura. L’identità con cui ci rapportiamo leggendo un testo letterario è l’identità testuale in se stessa. Il testo si lascia in parte prevedere e ci asseconda, ma per altri versi oppone resistenza alle nostre anticipazioni semantiche e valoriali. Ed è così che possiamo spesso sorprenderci di ciò che ci capita di rinvenire nelle parole che abbiamo di fronte, che si confermano radicalmente non nostre, benché - ad un secondo sguardo - sia chiaro che senza di noi non avrebbero potuto toccarci ed anzi sarebbero rimaste inerti. Come diceva Sartre, la letteratura è anche un appello.
Il senso del testo letterario è dunque qualcosa che appartiene al testo stesso e non qualcosa che il lettore vi proietta dalla sfera del proprio vissuto personale. Ciò garantisce l’identità ontologica dell’opera letteraria di fronte alle spinte centrifughe dei singoli, ma anche di fronte alle esigenze particolari delle epoche, con tutte le loro predilezioni estetiche e politiche. Ogni generazione leggerà la “Commedia” di Dante a suo modo ed ogni individuo ne saccheggerà i versi a proprio uso e consumo, ma la “Commedia” resterà una e sarà sempre la stessa, perché il senso del poema non è una funzione dell’interprete, e neppure del sistema letterario in quanto istituzione storica, ma piuttosto dipende dall’atto comunicativo che si concretizza nell’iscrizione in oggetto. In breve, il senso della “Commedia” è dato dal testo del poema che parla. Può sembrare un’affermazione poco scientifica, questa. Un testo che parla evoca un’immagine piuttosto bizzarra, decisamente antropomorfica, eppure è necessario assumere che l’opera di letteratura sia in grado di interagire come fanno gli esseri umani. Ogni testo letterario è infatti nello stesso tempo una «cosa» ed un evento. Come «cosa», esso è la struttura semiotica che lo definisce, ossia la “matrice” (anche nell’accezione matematica del termine) di segni intessuti insieme, mediante la quale riconosciamo facilmente il testo in questione, tra altri più o meno simili. In quanto cosa, ogni poesia o racconto è riproducibile senza che le copie così ottenute intacchino l’identità dell’opera. Oggettivamente, quindi, il testo è una realtà piuttosto statica, più vicino all’enunciato complesso che lo sintetizza che all’enunciazione mediante la quale quell’enunciato viene alla luce. Come evento, invece, il testo letterario è un’istanza dinamica ed unica: è “l’atto di dire qualcosa” e non la cosa che viene detta. Un tale atto possiede un’intenzionalità che lo rende simile ad una mente, con i suoi stati psichici, il suo retaggio inconscio ed i suoi richiami emotivi. Nel caso degli altri esseri umani, è chiaro che non abbiamo accesso alla loro mente se non grazie al loro comportamento manifesto, ed in primo luogo al comportamento verbale. Con il testo letterario è lo stesso: i segreti della mente testuale sono accessibili attraverso ciò che il testo stesso esibisce, sia in termini di significati espliciti che in quanto latenze, richiami interni, eco esterne, effetti di feed-back e così via. Basta assecondare le indicazioni strutturali del testo letterario, essendo forniti di un adeguato bagaglio culturale, per scoprire ciò che lui - il testo - intende. E tuttavia il fatto che il senso sia una proprietà reale del testo non implica affatto l’univocità della comunicazione letteraria: come tutti sanno, infatti, le opere poetiche, narrative e teatrali sono in grado di supportare una grande varietà di sensi diversi, talvolta persino in contrasto tra loro. Ma questa è un’altra storia.


(Articolo di Giuseppe Bomprezzi, pubblicato su Orizzonti)
La rivista si trova qui: http://www.rivistaorizzonti.net/puntivendita.htm


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