| I destini incrociati di tre artisti. Un tratto di cammino insieme, nell’impegno politico.
Articolo di Vanna Antonioni, autrice del saggio «Tina Modotti - Dialoghi di una vita» (Aletti Editore), pubblicato sulla rivista Orizzonti n.41
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Era il 1928, quando Tina Modotti, fotografa apprezzata nei circoli culturali di Città del Messico, veniva dipinta da Diego Rivera, genio creatore dell’epopea del murale messicano. Personaggio carismatico, formatosi alla prestigiosa Accademia di San Carlos, Rivera è dotato di un talento enorme nella pittura e di una ineguagliabile abilità nel disegno. Polemico, a volte contraddittorio o radicale, è appassionato rivoluzionario con tendenze anarchiche, e infaticabile nel suo fare creativo, quasi una necessità biologica, a cui dedicava anche tredici ore al giorno. Un amore viscerale per l’arte, per la rivoluzione, e per le donne!
All’arrivo in Messico, Tina aveva ammirato con stupore lo straordinario murale Fases de la vida mexicana o Vida social de Mexico di Diego Rivera, al palazzo del Ministero della Pubblica Istruzione, situato in Calle Argentina, nel centro storico della capitale: un murale di 1585 metri quadrati, di 116 pareti, distribuite lungo i corridoi dei tre piani dell’edificio, nel quale si succedevano, in maniera incalzante, le scene figurative dei costumi nazionali, il progresso incessante e gli ideali rivoluzionari del contadino e dell’operaio. Rivera, che aveva lavorato ai tre piani dello stabile assieme ad altri muralisti, Xavier Guerrero, Fermin Revueltas e Clemente Orozco, aveva pensato di suddividere i patii lungo le colonnate nei cicli tematici denominati El Trabajo, situato a pianterreno: fra questi il mural La maestra rural; dove Rivera, in accordo con José Vasconcelos, si impegnava a combattere l’analfabetismo, stimolando l’alfabetizzazione rurale, anche delle donne, impegnate nel compito, richiesto dalla Rivoluzione, di rafforzare la propria educazione sociale e politica in un mondo dominato dal machismo.
Al primo piano, nel patio Las Fiestas, era raffigurato il lavoro intellettuale, le scienze e le Arti del Messico. Ma è al secondo piano che Diego dedicava il Murale agli Eroi nazionali delle lotte rivoluzionarie (conosciuto come Los Corridos), esaltandone il coraggio e il valore, rappresentando l’allegoria della Rivoluzione messicana con dipinti gli amici ed i nemici della stessa.
I Murales, dipinti durante i periodi in cui si alternarono i vari Presidenti della Repubblica del Messico, dal 1923 al 1928, rappresentavano un’arte nuova, rivolta al popolo e aperta al pubblico, ubicata sui muri degli edifici pubblici offerti dal Governo. Dopo aver esposto le sue previsioni e prospettive sul Movimento Muralista che si stava producendo fra gli artisti, e sulla sua indiscussa utilità sociale e politica, al Ministro Josè Vasconcelos, che gli aveva commissionato il lavoro e col quale condivideva una chiara idea del contenuto rivoluzionario della pittura murale, Diego Rivera fu inviato a viaggiare per l’intero paese in lungo e in largo, con l’intento di acquisire una profonda conoscenza della popolazione autoctona, dei suoi usi e costumi, la cui storia sarebbe stata riprodotta fedelmente sui muri della capitale, come momento conoscitivo per il popolo.
Studiando i processi murali degli antichi Aztechi e Maya, oltre ai testi degli antichi maestri del Fresco, Giotto, Masaccio, Paolo Uccello e il Mantegna, sperimentando in modo costante e meticoloso i colori naturali e materiali, durante il suo soggiorno in Italia, Diego Rivera si era convertito in un saggio conoscitore del Fresco (metodo di pittura all’acquarello su gesso ancora bagnato).
Convinto che non ci potesse essere «Rivoluzione» senza una partecipazione intensa delle donne, Diego Rivera aveva riunito, nel celebre Corrido de la Revoluciòn o l’Arsenal (nella foto), le due donne più importanti della sua vita, già impegnate politicamente in quel momento storico: la ventunenne Frida Kahlo, con una stella a cinque punte sulla sinistra della camicia rossa, intenta con Tina a distribuire fucili al popolo, che si sollevava in armi per consumare la Revoluciòn! Diego Rivera, nel dipingere la scena di una insurrezione in atto, faceva riferimento agli scontri fra le classi sociali del periodo, quando a Città del Messico si stavano preparando le elezioni di destra, e la scena era ambientata in una fabbrica piena di operai che, impugnando armi ed insegne, falci e martello, incitavano i compagni a combattere a fianco dei contadini, per mantenere le loro terre da coltivare, secondo lo slogan di Zapata «Tierra y Libertad…».
L’attività di «modella» dei Muralisti rappresentò, per Tina, molto più di una distrazione dalla sua attività di fotografa. Fu una condivisione sul piano intellettuale e politico di ciò che rappresentava il Muralismo a quell’epoca: un forte vincolo fra Arte e politica di quegli artisti della post-Rivoluzione, che, organizzati in sindacati ed organizzazioni di vario tipo, si interrogavano su come fare Arte per il popolo; un incontro fra Arte e coscienza sociale e la militanza politica come condizione necessaria per fare dell’artista un promulgatore della lotta di classe.
Una grande simpatia e reciproca stima era nata fra Diego e Tina, al momento del loro incontro, fortemente impressionati l’uno dell’arte dell’altra: una grande sensibilità aveva mostrato Rivera, nei riguardi di Tina, colpito dalla forza emotiva e dal profondo senso estetico delle sue immagini, con numerosi articoli sulla rivista Mexicain Folkways. C’era una sorprendente similitudine e un parallelismo concettuale e formale fra le opere murali di Rivera e la fotografia di Tina, impregnata di compromesso politico: entrambi si servivano di un proprio mezzo espressivo, ma di una comune simbologia allegorica, quali la falce, il martello e la pannocchia, ad indicare l’unione del lavoro operaio con quello del campesino (contadino). Mentre Rivera dipingeva scene della Rivoluzione, rivendicando il diritto a lavorare la terra, Tina fotografava la società messicana, consegnandoci una delle più belle foto della sua produzione: la «Marcia dei Lavoratori con Sombreros» che camminavano verso la piazza, lo Zocalo, a manifestare.
La fotografia di Tina passava attraverso l’analisi della realtà messicana dei Muralisti, di cui condivideva il pensiero e lo stile di vita. Di qui, infine, l’intuizione di Diego Rivera e, non ultimo, del Muralista Clemente Orozco, che i loro Murales fossero fotografati dalla stessa Tina e conosciuti anche all’estero. Doveva essere «un movimento pittorico nazionale, non nazionalista, ma internazionale, al pari di un qualsiasi altro movimento pittorico contemporaneo nel mondo», secondo le parole di David Alfaro Siqueros. L’immagine fotografica diventava il più importante mezzo di investigazione e diffusione del Muralismo, giacché le foto, realizzate da Tina e pubblicate su riviste internazionali, mostrarono al Messico e al mondo intero la qualità e la particolare visione estetica e politica socialista dei Muralisti messicani.
Tina Modotti, con originalità, nelle riproduzioni dei Murales incorporava gli archi, come elementi architettonici di profondità, che delimitavano le enormi dimensioni di queste maestose opere nello spazio e nel loro contesto, come nella foto che ritrae la vista generale della struttura architettonica del Patio de “Las Fiestas”, al Ministero della Pubblica Istruzione.
E Tina, divenuta parte integrante anche di un altro progetto di Rivera - quello di adornare i muri della Capilla all’Università di Agricoltura di Chapingo (luogo dove giovani tecnici agronomi, accanto ai campesinos, lavoravano una terra aspra e seccata dal sole, per far crescere il grano!) - che aveva come tema principale la rivoluzione agraria, nel 1928 fotografava se stessa nel suo nudo allegorico della Terra vergine, plasmato nell’affresco di Rivera sul muro Ovest della Capilla, rappresentante le varie tappe dell’evoluzione biologica e lo sviluppo sociale dell’espropriazione della terra.
È di questo periodo la conoscenza di Tina Modotti e Frida Kahlo; il tramite di questa amicizia è lo stesso Diego Rivera che, di ritorno dall’Europa, nel 1921 aveva incontrato, per la prima volta, una Frida adolescente, mentre stava dipingendo La Creacion, il suo primo raffinato e delizioso Murale, di 109,64 metri, situato all’interno del Colegio de San Ildefonso, definito da Rivera «un condensato sui fatti dell’umanità» e dipinto con la tecnica dell’encaustica, consistente nell’arte di diluire i colori in una emulsione di cera sciolta a bagnomaria con della resina, per poi spalmarli, a caldo, sulle superficie murali.
Tina e Frida erano diventate molto amiche. Una comunione di idee e un sentimento fraterno le legava. Ambedue avevano aspirato ad un mondo migliore, privo di ingiustizie e povertà, e lo avevano manifestato alla propria maniera: Tina per mezzo della fotografia, e Frida, già pittrice di una vita di sofferenza, partecipando a manifestazioni sociali, con profondo sentimento di fratellanza e uguaglianza. Un comunismo umanitario ed idealistico, dal volto benevolo, quello di Frida, all’inizio di una militanza politica sentita ma marginale all’interno del Partito, al contrario di quello di Tina, che, convertitasi in una militante a livello internazionale, accettava acriticamente i dettami di una politica settaria e senza deviazioni di pensiero.
Un’amicizia intensa ed appassionata, di intenti comuni e reciproco affetto, durata solo un anno, che si scontrava, l’anno dopo, nel 1929, con le sordide macchinazioni interne del Partito Comunista, creato dallo stesso Rivera e dal quale veniva espulso, per «le sue teorie antistaliniste» e per aver accettato di lavorare per un Governo della Controrivoluzione, decorando i muri del Palacio Nacional (Il Murale, intitolato Epopeya del pueblo mexicano, un fresco di 1500 metri, completato nel 1935, dove Rivera dipinge la sua versione del Messico prima della conquista spagnola, i suoi tempi, i palazzi, le leggende dei suoi dèi e riti sacrificali, le sue arti popolari e artigiane indigene, fino alla Rivoluzione Messicana).
L’intransigenza politica di Tina si ripercuoteva anche sul rapporto con Frida: nell’allontanarsi da Diego, da lei considerato un traditore e succube di una corrotta borghesia, Tina si allontanava, per sempre, anche dalla sua cara amica.
Con il matrimonio di Frida e Diego, iniziava a Città del Messico l’era dei due più famosi ed eccezionali personaggi messicani, mai esistiti prima di allora: la coppia Rivera-Kalho, che nei ventotto anni di vita in comune avrebbe influenzato la vita politica e culturale della capitale.
Dopo l’espulsione dal Messico, su Tina «la rivoluzionaria», intenzionata a far perdere le sue tracce, non circolarono più notizie e il mondo sembrò davvero essersi dimenticato di lei e della tragedia legata all’omicidio del suo amante, Julio Mella.
Un allontanamento durato dieci anni, durante i quali Frida non seppe nulla di Tina. Non è certo se Tina, combattente vinta e sfinita dagli orrori della guerra civile spagnola, di ritorno in Messico nel 1939, e Frida, straziata nel fisico da un incidente in gioventù e alle prese con un movimentato matrimonio, si siano cercate. È molto improbabile, ma è inevitabile che si siano pensate, dato che i loro destini continuavano ad incrociarsi, per gli eventi politici che non cessavano di affliggere e tormentare entrambe. Infatti, a seguito dell’omicidio di Leon Trotzkj per mano di un catalano stalinista, in Coyocàn nel 1940, Tina viveva isolata e in clandestinità per evitare ripercussioni politiche, giacché il suo compagno di allora, il triestino Vittorio Vidali, veniva accusato di essere ideatore e complice del misfatto. Frida, dal canto suo, per la relazione amorosa con Trotzkj e per l’ospitalità data al leader sovietico nella sua «Casa Azul», veniva arrestata e interrogata dal Governo, che non accettava che i profughi in esilio, a cui il Presidente Lazaro Cardènas dava asilo politico, venissero assassinati!
Le vite insolite di queste giovani muse ispiratrici del Muralismo durarono circa lo stesso tempo; Tina moriva a 46 anni, di attacco cardiaco. Frida, a 47 anni, devastata da interventi chirurgici e da un dolore che non cedeva neppure alla morfina («Attendo con gioia la mia dipartita - appuntava sul suo diario -. E spero di non tornare mai più»). Nel 1954, furono bruciati i resti, e le ceneri, secondo la sua volontà, vennero trasportate nella «Casa Azul» di Coyocàn, dove riposano, depositate in un grosso vaso, posto sul comò della camera da letto.
Nella «Rotonda de los hombres illustres», poco distante dalla tomba di Tina, sta il sontuoso sepolcro di Diego Rivera. Con la sua morte, nel 1957, il Messico soffriva la perdita del più grande creatore universale del Murale, che, per la sua capacità inventiva e per la sua enorme capacità fisica di lavoro, aveva realizzato un’opera di così gigantesche proporzioni da non aver eguali nella storia della pittura nel Secolo XX.
(Dalla rivista Orizzonti n.41)
La rivista si trova qui: http://www.rivistaorizzonti.net/puntivendita.htm
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