| «Questo è un libro che ho scritto con tantissimo piacere e divertimento, lo covavo dentro da un po’ di tempo. È nato da un’idea semplicissima - che non vi dico perché preferisco che la scopriate leggendo - che mi è venuta fuori, un giorno, mentre ero in un museo. Piuttosto annoiato, e anche stanco, mi sono seduto su una specie di sofà, da dove guardavo la gente, e poi ho cominciato a guardare anche i quadri che erano lì… e in quel torpore, dovuto alla stanchezza, in cui spesso vengono fuori le idee migliori, mi è scattata questa piccola cellula da cui poi è nato “Mr Gwyn”. Però, come spesso mi succede, ho tenuto dentro, per molto tempo, questi piccoli pezzetti di mondo (che non so nemmeno io perché mi chiamino – è come se avessero delle scintille, rispetto a tutto ciò che vedo passare, per cui li piglio, li fisso in testa e li scribacchio nei miei taccuini, per la paura di perderli). E, questo qui, l’ho tenuto con grande gratitudine, soprattutto nel periodo in cui ho scritto “Emmaus”; un libro, che pure sta nel mio cuore, difficile e sgradevole da scrivere, forse più che da leggere: è stato un lavoro duro, che alle volte mi feriva anche. Mentre scrivevo “Emmaus”, avevo in mente di scrivere “Mr Gwyn”, tant’è che a un certo punto avevo pensato di cominciarne dei pezzettini… poi, però, ho abbandonato quel proposito, perché quando si entra in un libro, in quell’ossessione lì, è meglio restarci. Di “Emmaus”, che per me è stato un libro cupo - benché mi renda conto che altri scrittori sono molto più bravi a scrivere libri “cup”i - nella mia immaginazione vedevo tutte le singole scene in un bianco e nero piuttosto contrastato, acuminato. Mentre giravo questo film in bianco e nero per così dire, avevo in mente ben chiara una certa luce: era l’inizio della storia di “Mr Gwyn”, che ritornava in mente. E così, la sera, nel letto mi rigiravo nella testa “Mr Gwyn”.
I processi creativi sono diversi per tutti. Io ho anche una scuola, ma non insegniamo come nasce un libro nella testa, perché ognuno ha i suoi sistemi. In me, ad esempio, nasce da questi piccolissimi punti di mondo che vedo e che non mi lasciano in pace, mi si attaccano addosso e non mi mollano più. Mi piace vivere con queste piccole cellule che si moltiplicano - non da sé perché niente si muove da sé - e con la mia voglia cominciano ad accendersi in un dialogo, in un embrione di personaggi, che sono staccati e che sistemo quando mi metto al tavolo da lavoro. Così nasce il libro.
Una delle prime cose che ho conosciuto di questo libro è una forma di luce; sapevo che sarebbe stato un libro “illuminato” in un certo modo. La luce in questa storia ha anche una sua componente fisica: è uno dei personaggi, che mi è anche particolarmente caro. È un vecchio artigiano, un po’ scontroso, che lavora in un negozietto di Londra; fa un mestiere strano,
costruisce lampadine a mano, una per una. Nasce come un personaggio secondario, ma poi, siccome mi piaceva, non sono riuscito a farlo fuori e compare anche nelle ultime pagine, che di solito nei libri sono sempre tra le più importanti. E spero che, questa luce, sia una cosa che vi regalerà il libro.
Un’altra caratteristica del romanzo, che mi piace molto, è legata a Jasper Gwyn, il personaggio principale della storia. È uno scrittore che a un certo punto smette di fare il suo mestiere. C’è un tratto di lui che è molto importante, ai fini del libro: il modo particolare di camminare, ma soprattutto di vivere la quotidianità e se stesso: Jasper ha una specie di passo suo nel fare le cose, che si potrebbe definire lento.
C’è “lentezza” e “lentezza”, e la sua è per dare ascolto a tutto quello che c’è: ogni passo è pieno, e allora è lento.
Jasper si muove nella vita come questo libro (dove la forma, il colore e il gusto della storia, hanno una coerenza, sono un blocco unico) si muove nella scrittura. E questo romanzo, che non ho scritto con lentezza ma abbastanza velocemente, ha una lingua con un passo molto simile a quello di Mr Gwyn.
I libri ci consegnano idee, insegnamenti, suscitano divertimenti, risate, pianti, etc, ma ci danno anche, almeno i bei libri, un modo di stare nel tempo, decidono loro per te a che velocità devi leggere, pensare, emozionarti. Questa è una qualità che adoro, del leggere e dello scrivere libri, perché è una vendetta contro la vita quotidiana, che invece ti dice: c’è quel
tempo lì e non c’è niente da fare.
Ci sono tanti espedienti con cui noi freghiamo la vita, stabilendo temporalità diverse. Come quando amiamo, ad esempio: lì il tempo è diverso. C’è, a questo proposito, una frase di Proust di mostruosa esattezza: «Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico; le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l’abitudine lo riempie…». È la vita, in poche parole. Noi allarghiamo e restringiamo il tempo. E qualche volta qualcuno (uno scrittore, un regista) lo fa per noi. Come ad esempio al cinema, dove, se il regista è bravo, non sentiamo la differenza e scivoliamo sul tempo del film. Ricordo che una volta mi è successo, per non citare i grandissimi, con uno scrittore italiano che a me piace molto: Davide Longo (http://www.paroleinfuga.it/display-text.asp?IDopera=44724 ). La sera, dopo aver letto un capitolo del suo libro, “L’uomo verticale”, un romanzo molto angosciante, prima di addormentarmi leggevo qualcos’altro, perché altrimenti chissà cosa avrei sognato! E una volta mi è accaduto questo: finito il capitolo, prendo Tex e mi metto a leggere, ma dopo due pagine mi accorgo che lo leggevo con lentezza, la stessa di Longo. Questo perché da certi libri, dal loro passo, fai fatica persino a uscirne. E mi piacerebbe avere ottenuto questo effetto con “Mr Gwyn”, dove il passo è anche costruito a passi, nel senso che è un libro scritto con la forma di brevi capitoletti, anche molto simili per lunghezza, come fosse un ritmo regolare, e per quattro quinti del libro voi procedete nella lettura alla stessa velocità. Anche la storia, che prosegue come le mosse sulla scacchiera, è molto attenta e lenta, ma non noiosa, ed è costruita con l’idea di mettere un passo davanti all’altro: quel passo pieno, uno più lento e uno più veloce, verso la fine. L’ultima parte, infatti, prosegue di corsa, perché è legata a un altro personaggio, con un altro passo della vita».
(Testimonianza raccolta da Teresa Filomeno, durante la presentazione del libro a Milano, e pubblicata sulla rivista Orizzonti n.41)
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