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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Filosofia, musica, cinema, teatro, letteratura. Le mille sfaccettature di MANLIO SGALAMBRO(Intervista )

di Rivista Orizzonti

Uno dei più apprezzati filosofi contemporanei, che ha firmato grandi successi per Battiato, Milva, Celentano, Consoli


Un po’ la figura dell’Anarca, del ribelle ce l’ha, del filosofo tedesco orientato al nichilismo dei primi del Novecento, circondato da una biblioteca folta, come se i libri fossero gli alberi di un fitto bosco.
Eppure stretti, troppo stretti quegli scaffali per il suo sapere e per il suo pensiero abituati a non avere confini. E il suo rifugio è là, dove non te l’aspetti, nel cuore antico di Catania, in una piazza Vittorio Emanuele che, se ti ci fermi a conversare con lui, sembra anch’essa essere tornata agli inizi del secolo scorso, quando il fascino della città etnea era ancora giovane, come l’Italia postrisorgimentale, salutata da Verga, De Roberto, Capuana.
È proprio nelle vie antiche della vecchia “Katane” che vive e lavora Manlio Sgalambro, tra i più importanti filosofi contemporanei, eppure conosciuto al grande pubblico soprattutto per essere autore, paroliere, scrittore e collaboratore di giganti dello spettacolo, come Franco Battiato, con cui ha scritto vere e proprie opere musicali, oltre a interi album; e poi, Adriano Celentano, Milva, Alice, Fiorella Mannoia, Carmen Consoli, oltre ad essere egli stesso cantautore. Ed è anche questo che rende l’intervista esclusiva per “Orizzonti” ancora più affascinante, perché ai cantanti oggi osannati negli stadi e nei palasport possiamo accostare colossi della cultura mondiale, come Nietzsche, Heidegger, Jünger, Schopenhauer, Gentile, Croce. Il suo primo libro è stato “La morte del sole”, pubblicato nel 1982 con Adelphi; il suo ultimo lavoro, tra qualche settimana nelle librerie, sarà “Della misantropia”. Nel mezzo, decenni di una produzione immensa, fatta di trattati filosofici (“Trattato dell’empietà”; “Del metodo ipocondriaco”; “Dialogo teologico”; Dialogo sul comunismo, per citarne solo alcuni), di edizioni letterarie e filosofiche da lui curate (“Arthur Schopenhauer, La filosofia delle Università”; “Giovanni Gentile, L’atto del pensare come atto puro”; “Giuseppe Tornatore, Una pura formalità”), di canzoni indimenticabili (“L’ombrello e la macchina da cucire”; “Breve invito a rinviare il suicidio”; “Piccolo pub”; “Fornicazione”; “Amata solitudine”; “Il mantello e la spiga”) e di collaborazioni cinematografiche (“Perduto amor”, film di Franco Battiato; “Musikanten”, realizzato sempre dal cantautore catanese con L’ottava e Rai Cinema; Niente è come sembra, sempre di Battiato).

«Sto anche lavorando a una rivisitazione teatrale di Schopenhauer per una società messinese, che lo metterà in scena a Taormina e Gibellina - ci confessa Manlio Sgalambro durante l’intervista -. Poi, con Franco Battiato stiamo pubblicando un nuovo album, a breve in uscita, che considero eccellente. Una collaborazione, la nostra, che dura dal 1993 e che non si è mai spenta. Lui mi telefona, mi manda la musica, spesso con internet, e io ricambio con i testi».

Domanda - Un detto giapponese dice che l’amore più grande è quello più segreto. Sgalambro ha un amore segreto?

Sgalambro: «Non la mia vita, ma le sue mille sfaccettature, tutte le sue oggettivazioni. Ho avuto sempre riluttanza ad essere solo un soggetto. Ho sempre voluto oggettivarmi, essere semmai un oggetto cosciente, attraverso l’oggettivazione di me stesso. Essere un libro? Va bene, purché cosciente. Uno strumento musicale? D’accordo, ma sempre cosciente di se stesso».

Domanda - Il pensiero le ha consentito di giocare ruoli sempre importanti, nella filosofia, nella musica, nel teatro, nella letteratura, senza confini. Se fosse un pezzo degli scacchi, negli scacchi della vita, che pezzo sarebbe? Alfiere, re, cavallo, pedone…?

Sgalambro: «Non sarei il re. Preferirei un pezzo che osserva il modo di muoversi degli altri pezzi sulla scacchiera, concedendosi anche il piacere stesso del gioco e osservando ancor prima di giocare. Trasferirei in questo pezzo del gioco il controllo che ho di me stesso».

Domanda - Lei è credente? Si interroga sull’esistenza di Dio?

Sgalambro: «Sono un empio. Mi rifaccio a Sant’Agostino e penso alla frase: credo a Dio, non in Dio. Sono convinto che abbiamo nella nostra cultura un Nomen Dei che circola da secoli; so insomma di avere a che fare con Qualcosa. La civiltà occidentale ha certamente lavorato su questo concetto. Penso al Medioevo teologico, alla grandezza di una figura come Tommaso, allo splendore della Summa Teologica, a questo sapere di codici e libri antichi che mi ha sempre incantato, anche se si trattava del più povero ed umile dei manuali di teologia».

Sembra risuonino, durante la nostra conversazione con il professor Sgalambro, le parole pronunciate nel 1919 dal filosofo tedesco Martin Heidegger proprio sulla religione: «Convinzioni gnoseologiche coinvolgenti la teoria del conoscere storico hanno reso per me problematico ed inaccettabile il sistema del cattolicesimo, non però il Cristianesimo». E se citiamo Heidegger, non possiamo non sorridere alla «confessione» che, a distanza di decenni, ci fa Manlio Sgalambro, quando negli anni universitari decise di sottrarre dalla biblioteca dell’Ateneo l’opera “Sein und Zeit (Essere e Tempo)”, nell’edizione del 1933.

«Era un libro ancora intatto, le pagine incollate l’una all’altra - dice, sorridendo anche lui - e capii subito che nessuno lo aveva mai letto e che non lo avrebbero degnato di uno sguardo neanche in futuro e decisi di prenderlo!».

Amore indistruttibile per i libri e per il sapere, come per la sua terra, la Sicilia. Anche questo un aspetto che lo lega ai grandi filosofi tedeschi, legatissimi ai loro luoghi di origine, come la Foresta Nera.

Domanda - Come vive il suo essere siciliano?

Sgalambro: «Lo vivo pienamente, sento una grande passione per quest’Isola. Mi sono confrontato con le sue bellezze e con i suoi aspetti marci e quindi con i limiti di questo mondo, come la piaga della mafia.
Penso alle opere di Shakespeare: nel drammaturgo inglese un personaggio marcio può anche diventare re. È il rischio che si corre. Ne ho scritto parecchio di questo aspetto. Ricordo ancora la telefonata che mi fece Leonardo Sciascia per congratularsi con me, con il suo solito garbo, per il mio scritto “Trattato dell’empietà”, dove ho parlato proprio di questi problemi».

Domanda - Dal “Cogito ergo sum” di Cartesio al “Cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” di Kant, l’uomo oggi che consapevolezza ha di se stesso?

Sgalambro: «Questo voler sapere chi siamo è una domanda sempre vecchia e sempre nuova, allo stesso tempo. Non ci sarà mai un alt! definitivo. Io invece penso che si debba guardare soprattutto al concetto in sé. Vita e morte: e nel mezzo, il “tra”, l’uomo che agisce. È nel durante che si svolge l’azione».

Domanda - Dove va la scienza? Siamo ancora in grado di dominarla? Lo siamo mai stati?

Sgalambro: «Trovo la scienza triste. Ci dice che questo mondo, questi immensi spazi ci rimpiccioliscono ancora di più».

Domanda - Albrecht Dürer nel 1513 ci ha lasciato un’incisione significativa, oltre che bella: “Il cavaliere, la morte e il diavolo”. Quale di questi tre personaggi attira di più Manlio Sgalambro?

Sgalambro: «Il diavolo. Cercherei di conquistarlo, di sedurlo. Penso al Faust».

Già, una sfida insomma, non proprio indifferente. Ancor più significativa se si considera che le armi per vincerla, usate da questo filosofo dei nostri tempi, sono l’amore sconfinato per la cultura, la passione per le arti in tutte le loro sfaccettature e la sensazione di essere egli stesso vita concreta, ogni giorno e ancora giorno per giorno, nella sua Catania come nella Foresta Nera o in qualunque altro luogo magico.


(Articolo di Antonio Iacona, pubblicato su Orizzonti 41)

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