| «Non sono uno storico, un sociologo, un antropologo, niente di tutto questo. Sono soltanto un raccontastorie, un romanziere italiano particolarmente attento ai suoi connazionali».
Così scrive di sé Andrea Camilleri, autore che non ha certo bisogno di presentazioni. Parlare con lui è
come abbracciare un intero pezzo d’Italia; anni di letteratura e di serie televisive di grande successo hanno contribuito a farlo diventare uno dei personaggi più amati dal pubblico, eppure, incontrare Camilleri, lascia addosso una sensazione avvolgente che è difficile da dimenticare, una sensazione dettata dalla sua semplicità, dal suo essere un uomo disponibile, dal sorriso cordiale, e legato ai valori di tutti i giorni. La sua presenza si sente forte e positiva nel complesso.
A poco più di due mesi dalla pubblicazione della raccolta “Il diavolo, certamente”, classificata ai primi posti dei libri più venduti della narrativa italiana, il 15 marzo è uscito il suo ultimo libro, “La Regina di Pomerania e altre storie di Vigàta”, che contiene otto racconti: “La Regina di Pomerania”, “Di padre ignoto”, “L’uovo sbattuto”, “Romeo e Giulietta”, “I duellanti”, “Le scarpe nuove”, “La lettera anonima”, “La seduta spiritica”. Sono storie inedite, di fantasia, ma piuttosto verosimili, con personaggi realistici. Grande protagonista è la Sicilia, raccontata con stile inconfondibile, fatto di
divertimento, riflessione amara e commozione.
Pochissime domande, giusto il tempo di un caffè. E, converrete con me, nella scelta di optare per l’aspetto persona, tralasciando il personaggio che, da solo, sa così ben parlare di sé.
Domanda - Com’è la sua Sicilia oggi?
Camilleri: «Io non vivo in Sicilia da quasi cinquant’anni, quindi, mio malgrado, non posso rispondere alla sua domanda. Di certo ho sempre pensato che la Sicilia fosse il laboratorio d’Italia. Voglio dire che le prime avvisaglie dei malesseri o dei benesseri del nostro paese sono state evidenziate prima in Sicilia».
Domanda - Molte persone, come me, sono cresciute con i suoi libri e lei ad oggi è uno degli scrittori più amati e seguiti. Ogni volta che ascolto le sue interviste, in radio o in televisione, o leggo di lei, percepisco la grande positività di un uomo semplice che, nonostante la notorietà, non si è mai distanziato dal popolo e questo, credo, sia un ingrediente del suo successo. Lei che ne pensa?
Camilleri: «Io sono un uomo del popolo. Racconto spesso che una delle letture a me più care è “La condition humaine” di Malraux, proprio perché parla dell’uomo comune come eroe del nostro tempo. Lungi da me considerarmi un eroe, ma se lo fossi resterei di certo un uomo comune».
Domanda - Che consiglio si sentirebbe di dare ai giovani che stanno affrontando l’Italia oggi?
Camilleri: «Mia cara, io sono cresciuto durante il fascismo, so bene che cosa vuol dire vivere in un regime. Ora noi non stiamo vivendo in un regime, ma in una democrazia che però nasconde, e neanche tanto velatamente, una serie di barriere che difficilmente permettono all’uomo di esercitare le sue funzioni primarie. Parlo dell’impossibilità di avere un lavoro, di costruire una casa, di avere una famiglia, di sognare un futuro. Ecco, queste sono le cose che mi preoccupano maggiormente, però, avendo 87 anni, ho anche abbastanza esperienza per assicurarvi che questo periodo finirà».
Domanda - Qual è il senso della vita di Camilleri?
Camilleri: «Il senso della vita? Per Camilleri il senso della vita è la vita stessa».
(Articolo di Anna Biason, pubblicato sulla rivista Orizzonti n. 41)
Diventa nostro amico su facebook
www.facebook.com/rivistaorizzonti
Seguici su twitter
www.twitter.com/rorizzonti
|