| Ferdinando Codognotto (San Donà di Piave, 1940), figlio di un giardiniere e nipote di un vivaista, cresce in un ambiente attraversato dal senso estetico e dal mondo naturale, che accompagneranno la sua arte per sempre. Comincia, da bambino, a fare i primi passi come scultore. «Una passione precoce - confessa Codognotto ai lettori di Orizzonti -. Già all’età di cinque anni, lavoravo il legno e modellavo la creta, per realizzare i pastori. Sono stato sempre curioso di tutto, e per me la curiosità è cultura. Da ragazzo, poi, ho frequentato la scuola d’Arte a Venezia ma contemporaneamente mi sono occupato di meccanica e per mantenermi agli studi ho lavorato nelle botteghe, dove ho imparato a lavorare il legno ed a restaurare gli oggetti antichi».
Nelle botteghe perfeziona la tecnica dell’intaglio del legno per il ripristino di antiche sculture ma, la sua vocazione per l’arte insieme ad una innata curiosità, lo spingeranno, nel 1963, lontano da Venezia, alla ricerca di un nuovo luogo, dove poter finalizzare le proprie aspettative d’artista. Si tratterà di Roma, dove aprirà la bottega di Via dei Pianellari 14, in cui tutt’ora opera.
Per le sue sculture affina una tecnica del tutto innovativa, con l’utilizzo della sega a nastro elettrica e la predilezione del legno di cirmolo della Val di Fiemme. Il legno diviene il mezzo con cui l’artista si esprime nel vasto repertorio che va dal mondo naturale (fiori, spighe, alberi), al fiabesco, di cui l’emblema è il Pinocchio tecnologico, al cosmico (sole, luna) al tecnologico (Totem tecnologici, sfere Armillari, cervelli con ingranaggi), al filone religioso (l’angelo, la maternità, la Crocifissione, la vita di Gesù).
Dalla sua bottega sono passati personaggi come Liz Taylor, Robert Redford, Julia Roberts. Ha donato due sue opere a Madre Teresa di Calcutta ed ha avuto l’emozione d’incontrare Papa Woityla. Le sue opere hanno raggiunto la Russia, l’America, il Giappone, e le collezioni pubbliche e private di mezza Europa.
Lo abbiamo incontrato a Palazzo Valentini a Roma, in occasione di una sua personale “Ferdinando Codognotto la magia del legno” che accoglie una trentina di opere tra burattini-robot, fiori, totem, alberi ed ingranaggi.
Domanda - A quale delle sue opere è maggiormente legato e dalla quale non si separerebbe mai?
«Non sono legato a nessuna della mie opere, anche perché devo separarmene: io vivo di questo! Con ciò non voglio dire che non mi affeziono a loro, ma chi si affeziona troppo ad un’opera non riesce a inventarne delle altre e io, che ho sempre tante idee, proietto continuamente la mia mente verso una nuova creazione».
Domanda - Cosa consiglierebbe ad un giovane che voglia intraprendere quest’arte?
«Molta umiltà nell’imparare. Purtroppo, oggi c’è così poca umiltà che questo è già per sé un grosso problema!».
Domanda - Gran parte delle sue opere sono realizzate in legno di cimolo; come mai questa scelta?
«Innanzitutto preferisco il legno, che definisco materia calorica, al marmo ed al bronzo, che sono materiali freddi. E poi sono cresciuto in mezzo alla natura in quanto mio padre faceva il giardiniere e mio nonno il vivaista. Il cimolo, o pino montano, l’ho scoperto a Cortina nelle mie vacanze estive. Da sessant’anni, un fornitore mio amico che si chiama Giorgio Dellantonio mi spedisce il legno dalla Val di Fiemme. Le confesso che ci parliamo da una vita al telefono ma non ci siamo mai incontrati».
Domanda - Tra le sue straordinarie opere, spicca la figura di Pinocchio. Cosa rappresenta per lei il personaggio di Collodi?
«Questo Pinocchio, in fondo, non è il personaggio della fiaba che noi tutti conosciamo. È semplicemente un robot-marionetta, ciò che l’uomo non dovrebbe essere!».
Domanda - Le sue opere hanno raggiunto vari paesi nel mondo, quindi si presuppone che viaggi spesso. Ma dove trova il tempo per lavorare?
«Veramente non amo viaggiare, perché non mi piace interrompere il mio lavoro. Mi piace stare nella mia bottega dove conosco tutti quelli che abitano lì accanto e con i quali mi piace intrattenermi mentre scolpisco».
Domanda - Durante la sua lunga e brillante carriera, ha conosciuto numerosi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. Mi vuole parlare di questi incontri?
«Duranti gli anni del mio lungo soggiorno romano, ho avuto l’occasione di incontrare numerosi personaggi famosi. Ho conosciuto Elisabeth Taylor quando venne a Roma per girare Cleopatra. In quel periodo facevo una mostra con le mie opere in un noto ristorante romano e lì conobbi la Taylor e suo marito, che mi invitarono a cena al loro tavolo. Ricordo che per l’occasione li omaggiai di due oggetti in legno che rappresentavano i loro segni zodiacali. Fu una serata indimenticabile. Ma un incontro che mi emozionò molto fu quello con Sua Santità Giovanni Paolo II; non lo dimenticherò mai. Avevo realizzato, per una commedia prodotta a livello mondiale, una cometa di cinque metri che fu esposta in Vaticano. La scultura, in scala, venne ospitata successivamente nello spettacolo Fantastico condotto da Pippo Baudo, mio grande estimatore, che spesso viene a trovarmi, soprattutto quando espongo. Sono stato ospite in molti dei suoi programmi televisivi.
Un’emozione forte l’ho provata anche quando incontrai, per ben due volte, Madre Teresa di Calcutta. A quel tempo realizzavo delle opere per una associazione culturale, che la premiò come “Donna d’Europa” con una delle mie opere che rappresentava un’arca. Successivamente in un programma della Rai, le fu donata una scultura della “Maternità”, sempre realizzata da me. E poi in altre occasioni ho incontrato divi del cinema, come Robert Redforth, Julia Roberts e tanti altri».
Domanda - Osservando con ammirazione le sue opere mi ha incuriosito la scultura della mano che incornicia una testa in biscuit. Mi vuole spiegare il perché dell’accostamento di materiali così diversi?
«Per questa scelta non c’è stato uno studio particolare. Tempo fa un mio amico mi ha regalato cinque teste in biscuit di bambola, che aveva acquistato da un antiquario in Francia. Ho pensato d’inserirle in cinque delle mie opere e, fra queste, la mano, vista in chiave tecnologica, in cui la testina di un bambino si affaccia su questo mondo tecnologico e drammatico. Oggi i ragazzi sono tutti figli della tecnologia».
Domanda - Sega a nastro, sgorbia, trapano. Di quale, di questi attrezzi, non potrebbe fare a meno per realizzare le sue opere?
«Li adopero tutti, sempre. La sega a nastro è quello predominante, che più mi identifica. È uno strumento che va preso seriamente e non ci si improvvisa nel manipolarla! Uso spesso anche lo scalpello, con il quale ho realizzato ben sette opere».
Domanda - Arte e natura, qual è il suo rapporto con gli animali?
«Il mio rapporto con loro è stato sempre bello perché li ho sempre molto amati. Comunque, preferisco i gatti ai cani, forse perché mi hanno fatto sempre compagnia e li ho tenuti con me anche nella mia bottega. Conservo un bel ricordo di tutti loro, in modo particolare di Bomba, un gatto bello e ciccione!»
Domanda - Attualmente cosa bolle in pentola?
«Ho fatto un’opera per l’Acea, un Totem che racconta i cento anni dell’azienda, che contiene i simboli che la rappresentano: il sole, la luna, l’acqua. Certamente è una scultura con elementi allegorici che devono essere intuiti da chi osserva.
Domanda - Un’ultima domanda, cosa vorrebbe fare da grande?
«Ho 70 anni, cos’altro dovrei fare? Continuerò a fare arte, perché penso sia molto importante per mantenersi giovani cerebralmente».
(Articolo di Loredana Rizzo, pubblicato su Orizzonti n. 41)
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