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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Totò e Petrolini

di Rivista Orizzonti

Totò, come è noto, ammirava molto Petrolini e ciò perché lo conosceva bene come attore e come autore, attraverso il suo teatro di Varietà.
Da Petrolini, artista geniale nato a Roma il 13 Gennaio 1884, figlio di un fabbro e autodidatta (in gran parte come Totò), venne per moltissimi una grande lezione teatrale, nell’ambito di quella «temperie anarcoide» (come è stata definita) che fu tipica degli anni 10, soprattutto a Napoli e in parte a Roma. Nel 1918 Ettore Petrolini, che si interessò molto del Futurismo, aveva scritto con il futurista napoletano F. Cangiullo la famosa “Radioscopia”, da cui era stato arruolato al movimento d’Avanguardia fondato da F. T. Marinetti. Proprio a Napoli, dove Petrolini compose la sua parodia dell’ “Amleto”, come sostengono alcuni critici, le Avanguardie storiche (Futurismo, Dadaismo, Surrealismo) ebbero una notevole diffusione attraverso una sistematica propaganda e varie compagnie teatrali; che girarono anche nelle province più remote della Campania e altrove. In realtà ci fu un vero scambio tra il Varietà, la Commedia dell’Arte, il teatro popolare dei burattini, certe tradizioni come la festa di Piedigrotta a Napoli (rivisitata da Cangiullo in chiave futurista, dissacratoria e pirotecnica già nel 1914 anche a Roma) e il Teatro sintetico futurista proposto da Marinetti nel suo Manifesto e soprattutto dal Teatro della Sorpresa cangiulliano del ’21.
Lo stesso “maestro” di Totò, vale a dire Gustavo De Marco, risentì moltissimo (pur anticipando come Petrolini alcune tendenze della nuova comicità) nell’ambito del Varietà, dell’esaltazione del marionettismo e del grottesco tipica dei Futuristi, mescolando le arti di Pulcinella e le movenze snodate dei burattini/marionette in modo strano e irresistibile. Come Petrolini, anche Totò prese una strada di comicità astratta e assurda, diversa da quella più logora di altri comici del suo tempo, in un comune contesto culturale tendente al grottesco. Sicuramente il Petrolini migliore, quello veramente grande e originale, è in stretto rapporto con Totò, non il Petrolini “minore” che è invece presente nelle filastrocche di Rascel o in certe canzonette di Sordi degli inizi, come scrisse G. Fofi. Un’eco di alcuni numeri petroliniani è rintracciabile nel teatro di Totò, riproposti in seguito anche nel suo cinema.
Si pensi alla nota scena degli applausi al balcone, del “Nerone” del 1917 (che anticipa Mussolini e il suo rapporto con la folla osannante), ripresa nella rivista “La vergine di Budda” da Totò (e anche al cinema), ricreandola a suo modo: il comico napoletano non volle mai infatti essere solo un imitatore (come pure nei confronti di De Marco o di Charlot), ma un vero interprete originalissimo. Addirittura nella sua rivista (ne scrisse ben 12) “Totò”, “Charlot per amore” diventa un buffo pupazzetto surreale che fa la parodia di Petrolini (cioè “Pirolini”) nei panni di un comico acrobatico e quindi di Charlot stesso. Petroliniana è anche la parodia dell’ “Otello” (comune pure al repertorio di De Marco) riproposta al cinema: si pensi all’episodio pasoliniano “Che cosa sono le nuvole”, come nell’ultima rivista di Nelli e Mangini: “A prescindere”. Ma c’è di più. Tullio De Mauro ebbe a scrivere che la gag dell’aulicità (cioè l’uso di parole e costrutti aulici in un contesto prosaico e quotidiano per sorprendere e far ridere) risalirebbe proprio a Petrolini, ma che, dopo E. Macario nelle sue riviste, trovò nel napoletano Totò un eccellente interprete. Egli infatti ne fece un uso costante e molto personale nei suoi numerosi film. Basterebbe analizzare con cura le sue battute per cogliere tutte le sfaccettature del suo pirotecnico linguaggio.
Non sense, gag dell’aulicità, marionettismo acrobatico sono onnipresenti nell’arte davvero unica di Totò, sia in teatro, sia nel cinema (anche nei «brutti film» degli anni 60, che contengono comunque scene esilaranti e mai volgari come nei film dei comici degli anni a seguire...).
Antonio de Curtis (nobile da parte di padre, popolano da parte di madre) in arte Totò, riscoperto oggi anche come autore di testi teatrali, soggetti cinematografici, poesie, canzoni e fumetti, per non parlare delle sceneggiature, oltre che come grandissimo attore, dimostrò ottime doti di osservatore (in chiave grottesca) delle convenzioni sociali e in primis linguistiche.
Prendendo lo spunto da Petrolini (basti pensare all’uso comico di termini scientifici o burocratici o di parole o modi di dire non comuni come «a prescindere», che sarà uno dei suoi cavalli di battaglia, come pure «bazzecole») Totò seppe sempre cogliere, ricorrendo al vocabolario e studiando i neologismi di moda, le assurdità (o la duplicità) del linguaggio, disarticolando le frasi come faceva con il suo corpo di fachiro, snodatissimo.
Di fatto esistono vari punti di contatto tra Totò e Petrolini (anche se il comico napoletano si considerava più un comico di figura e apprezzava molto il lato dialettico petroliniano). Come non ricordare la gloriosa tradizione della Commedia dell’Arte di cui soro stati entrambi interpreti?
Ed ecco che antico e moderno si trovano a coesistere, anche se in modi diversi nei due attori comici. La maschera di Pulcinella ha avuto una importanza basilare per entrambi: come Totò è stato l’ultimo erede di Pulcinella a Napoli, Petrolini lo fu per Roma: basti ricordare l’improvvisazione, «a soggetto», il coinvolgimento diretto del pubblico (lo slittamento petroliniano e il contatto telepatico di Totò con gli spettatori in sintonia con la sua mimica facciale e non solo o la risata) caro alla Commedia dell’Arte. E ripresa ad esempio da Cangiullo e Marinetti, con tante trovate e scherzi memorabili.
Ma paradossalmente Totò era e restò sempre diverso da Petrolini. Come il suo legame con il Pulcinella/burattino (di cui eredita anche lo sproloquio onomatopeico) si tinge di grottesco, di macabro, di funereo con continui richiami al sesso e al cibo, così la sua faccia, a ben vedere era propriamente sua, quasi fatta di creta da plasmare e con una “sguessera”, (e una mascella “deragliata”), che non ha uguali. Anche il suo marionettismo è assai particolare, pur ricollegandosi ai numeri di G. De Marco, Totò tendeva in modo assai marcato alla vera e propria distorsione, alla disarticolazione completa del suo fisico (diversamente da Petrolini che pure esibiva un suo marionettismo meccanico, ammirato da Marinetti). Diverso anche il carattere, malgrado le origini popolari di entrambi. E la ricerca della nobiltà paterna inizialmente non riconosciuta che caratterizza Totò o meglio Antonio Clemente, poi Principe de Curtis. Pirandelliano binomio che lo ha segnato nella vita e nell’arte. C’è da dire poi che l’arte dell’attore (che si collega alle antiche maschere, da Pulcinella ad Arlecchino), cacciata dal teatro ufficiale d’autore (negli anni 30) si rifugiò, come sostengono gli storici del teatro, nella Rivista e nell’Avanspettacolo, di cui Totò fu considerato il «re».
Petrolini, ormai famoso nel mondo, ad un certo punto volle orientarsi verso il teatro di prosa «borghese», in cuor suo per diventare più bravo. Forse per un distorto concetto di cultura.
E fu così che l’attore romano, imboccando tale strada, secondo C. Zavattini, si rovinò, dopo la fase della Commedia dell’Arte, del teatro futurista e di tante parodie e macchiette straordinarie, (si pensi a “Fortunello”, a “Gastone” ecc. che comunque ripropose a Parigi).
Questo non capitò mai a Totò (pur recitando il teatro di Scarpetta e frequentando i fratelli De Filippo), che non fece questo presunto salto di qualità verso il teatro “alto” (e fu molto criticato per tale sua scelta).
Anzi portò anche nel cinema il suo teatro più caro: il Varietà e la Commedia dell’Arte, dando vita ad un «surreale con i piedi per terra» come è stato definito, cioè una sorta di Futurismo visto dal basso e portato a livello popolare (vedi il mio libro: “Totò partenopeo e parte-futurista”, Aletti Ed. 2009 Roma), superando certo populismo piccolo borghese della fase neorealistica. Per seguitare ad essere se stesso cioè un comico italiano non dialettale (pur napoletanissimo), capace di recitare con il corpo e le battute (non con logici discorsi), improvvisando in scena, non “ingessato” da testi altrui (l’unica eccezione nel cinema fu con Pasolini, che pure dovette tenere conto in ogni caso della sua «maschera») Totò aveva capito infatti che poteva esibirsi solo in certi ambiti considerati “minori” (a torto). Così egli è stato sicuramente qualcosa di più e di più universale come maschera, ed è entrato nel nostro immaginario collettivo di italiani. Grazie alla sua intelligenza (anche pratica) viva e controcorrente, intuì subito, forse già dal ’30, quando fece il suo primo fallimentare provino alla Cines (volevano che imitasse B. Keaton) l’importanza di perpetuare anche attraverso il cinema la tradizione teatrale cui era legatissimo e alla quale fu sempre fedele. Mentre il teatro di Varietà (o le sue forme moderne: la Rivista e l’Avanspettacolo) a poco a poco andavano perdendo colpi con il travolgente avanzare del cinema, Totò seppe farsi strada in tale ambito, a Cinecittà, per trent’anni (dal ‘37 al ‘67) dedicandosi ad esso totalmente negli ultimi dieci anni (tenendo conto anche della sua semicecità) con una puntualità da vero “impiegato” (assillato non poco dalla paura di non lavorare più e dai problemi fiscali). A differenza di Petrolini che solo “pro tempore” si dedicò al cinema (nel ’30 girò tre film), Totò, pur non abbandonando subito la Rivista con Galdieri, ma alternando teatro e cinema, riversò in tale moderna forma di spettacolo di massa la sua formidabile vis comica, superando la fama dello stesso Petrolini, la cui eredità teatrale è stata ripresa da M. Scaccia, da F. Fiorentini e da G. Proietti con rivisitazioni molto significative.
Aprendosi a platee immense di spettatori cinematografici e facendo del teatro a suo modo attraverso la macchina da presa (lasciata a sua disposizione), Totò, che tra l’altro recitò anche il petroliniano “47 morto che parla”, senza mai umanizzarsi del tutto in senso «borghese», ha saputo così percorrere una lunga strada nell’Arte, fino a “Uccellacci e uccellini” di Pasolini, sempre coerente con la sua vocazione iniziale di buffo astratto e surreale. Come Pinocchio anche Totò, infatti, era stato preso per mano dai burattini nell’infanzia e divenne uno di loro da bambino che era. Capovolgendo la storia narrata da Collodi. E fu la vera “supermarionetta” del ‘900.

(Articolo di Aldo Marzi, rubrica “Totò allo specchio”, Orizzonti)


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