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Domanda - Professor Tóibín, da chi ha ereditato l’amore per la lettura?
Tóibín – Mio padre s’interessava di storia e mia madre di poesia. Essi tenevano sempre separati i loro libri. Mia madre è stata felice di essere una scrittrice. La lettura è una cosa che hanno amato parecchio, per cui, all’età di nove o dieci anni, avevo già realizzato che leggere poteva essere un modo per fargli piacere, e quindi per richiamare la loro attenzione.
Domanda – La lettura era qualcosa che condivideva con gli altri?
Tóibín – Non mi piaceva lo sport, e non ho imparato a leggere fino all’età di otto anni. Ma da undici in poi ho divorato letteralmente i libri, e a dodici ero diventato un poeta e uno scrittore. Ma era una cosa assolutamente personale: nessun altro conosceva i miei veri interessi. Il piacere della lettura, così come la mia omosessualità, erano cose che tenevo segrete, che mi separavano dal resto del mondo. A quindici o sedici anni le due cose coincidevano, e non ero più in grado di riconoscerne la differenza.
Domanda – Quando ha scritto il suo primo romanzo?
Tóibín – Ho scritto il mio primo capitolo di “Sud” nel lontano 1982, lavorando poi lentamente su quel libro per almeno altri quattro anni. A dire il vero, la cosa più difficile era entrare nella mente di Katherine, pensare come lei, sentire la sua voce, vedere attraverso i suoi occhi. Tuttavia, parlare dell’Irlanda non comportò delle grosse difficoltà.
Domanda – Potremmo definire i suoi primi libri delle opere dotate di una notevole attenzione generazionale?
Tóibín – Sia “Sud” che “The Heather Blazing” idealizzano la generazione dei miei genitori, infatti non sono completamente espliciti circa la dimensione genitoriale. Gli altri due romanzi sono invece più vicini al mondo della mia generazione. Affrontano insomma temi e pensieri che appartengono più al mio mondo, che a quello di mia madre e di mio padre.
Domanda – Cosa mi dice dell’attuale situazione letteraria in Irlanda?
Tóibín – Io vivo qui ormai da tempo, e devo riconoscere che durante gli ultimi anni i narratori irlandesi sono diventati più visibili anche all’interno dello stesso Paese. Ci sono fiere in ogni luogo, e lettori e presentazioni e inviti dietro inviti. Tutto questo è sicuramente positivo e incoraggiante.
Domanda – I suoi libri sono caratterizzati da una sorta di potente realismo che li avvicina ai fatti del vivere quotidiano. È forse un atteggiamento da ex giornalista?
Tóibín – L’importante è trascorrere buona parte del proprio tempo a contatto con la vita della strada, non perdere mai di vista il rapporto diretto con i fatti. Io non ho più lavorato da giornalista, tuttavia, rimango ancora assai coinvolto negli eventi di tutti i giorni. Comunque, la maggior parte del mio tempo adesso la trascorro da solo.
Domanda – Ci parla del suo periodo spagnolo?
Tóibín – Sono stato a Barcellona esattamente nel 1975, quando avevo trent’anni, e ci sono rimasto per tre anni, trascorrendo un bel po’ di tempo sui Pirenei. Mi rendevo conto di quanto tutto fosse affascinante: il sapore, i colori, l’atmosfera del cambiamento politico. Fu un’esperienza unica.
Domanda – Il dolore rimane al centro di tutti i suoi libri. Quanto l’ha segnata come uomo e come artista?
Tóibín - Il rapporto con il dolore e con il tema della perdita è fondamentale. Mio padre si ammalò quando avevo appena otto anni, e morì quando ne avevo dodici. Credo ce tutto questo mi abbia toccato profondamente.
Domanda – I suoi sono libri sicuramente forti, che analizzano inquietudini e lacerazioni. Come sono stati accolti dal pubblico irlandese?
Tóibín – I miei libri si vendono molto bene in Irlanda, e sono generalmente rispettato, forse perfino troppo. Il fatto è che la gente non è facilmente scioccabile.
Domanda – “Sud” è un libro che ribadisce l’idea stessa della rivoluzione. Che rapporto crea con il suo lettore?
Tóibín – Sì, un libro è profondamente sovversivo anche quando si tratta di un libro di ordinario amore. Si stabilisce una sorta di relazione privata tra il lettore e lo scrittore, e questo tipo di sentimento può essere davvero forte. Alcune volte, anche più forte e più incisivo di una forma di pubblicità.
Domanda – Fare giornalismo l’ha aiutata nell’elaborazione di una scrittura personale?
Tóibín – Per un po’ ho provato a fare del giornalismo in modo possibilmente libero, anche perché studiare la scrittura attraverso il giornalismo fa bene al tuo stile. Tuttavia, scrivere in modo chiaro per un referente dopo un po’ ti fa diventare meno convincente, e ti obbliga a una fretta improduttiva.
Domanda – E adesso, come vive?
Tóibín – Sto lavorando per finire un altro libro. Qualche volta sono svogliato e certamente non ho orari d’ufficio precisi. Sento di aver fatto ancora poco. Se potessi scrivere alcune ore al giorno sarebbe bene. La disciplina è fondamentale.
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(Articolo di Luigi La Rosa, pubblicato su Orizzonti n. 19, ago.-ott. 2002)
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