| Riflessioni di Angelo Minerva
“Gocce di rugiada d’amore rubate al tempo” di Rolando Perri (Aletti Editore) afferma fin dal titolo la propria complessità, il proprio carattere mimetico. L’autore non poteva pensare ad un titolo più evocativo e “poetico”, che ha la sua diretta e calzante motivazione nella storia d’amore oggetto (anche se non esclusivo) della narrazione e nella sua collocazione temporale in un passato abbastanza distante dalla nostra realtà da poter essere osservato, o meglio ri-creato, con una nota di pacata, a tratti struggente, nostalgia. Ma il testo che si va svolgendo sotto gli occhi del lettore ha dall’inizio, e almeno per i primi quattro dei ventuno capitoli che lo compongono, un andamento esplicitamente descrittivo, così analitico e pregnante da un punto di vista lessicale e terminologico da rimandare ai modi più “scientifici” e tecnici del romanzo-saggio. La parola, spesso rafforzata, nel circuito perfettamente calibrato della frase, da sinonimi, più volte e meglio dosata in sapienti gradazioni semantiche, si piega efficacemente a rendere realistiche ed esaustive le parti descrittive.
Quindi, proprio grazie ad una perfetta e calzante coesione di forma e senso della frase e all’onda avvolgente e accattivante di un ben articolato e spesso ampio periodare, la descrizione affonda nel carattere dei personaggi, negli aspetti anche minimi del paesaggio e degli ambienti, nelle pieghe più riposte degli stati d’animo e direi nell’anima delle cose stesse, perché tutto “parla” alla sensibilità del lettore perfino le mura del borgo di Alimons (nome di pura fantasia) in cui abita Carola, le strade en plein air della Firenze in incognito del giovane Valerio, la dettagliata struttura geometrica del collegio in cui i due giovani studenti si incontrano e danno inizio alla loro storia d’amore.
Già, Carola e Valerio, i due protagonisti, descritti anch’essi con una precisione straordinaria, seguiti dall’autore e quindi dal lettore nei loro più reconditi pensieri, nei loro sentimenti più profondi, nelle sfumature più intime del loro animo. Ma se il lettore pensa a questo punto di trovarsi di fronte allo stereotipo letterario della vicenda amorosa, del romanzo d’amore tout court, ad un abusato cliché narrativo, sbaglia di grosso. Qui, infatti, le cose non stanno così come sembrano: ciò che affascina e attrae non è solo la storia d’amore in sé, del resto già così particolare e dagli inusitati sviluppi, bensì il suo epilogo. L’allontanarsi cosciente di Valerio, la sua improvvisa, imprevista e imprevedibile scelta sacerdotale, il suo optare per una dimensione non chiusa, familiare, ma collettiva, sulla spinta di una generosità tutta cristiana pronta a sacrificare gli affetti più cari per una missione più ampia, sociale, per un’assunzione di responsabilità morale nei confronti del prossimo, crea un vuoto turbine di sgomento nell’animo della donna che non riesce a comprendere un cambiamento così radicale, non riesce a capacitarsi dell’esclusione subita dall’universo sentimentale dell’uomo che profondamente, esclusivamente ama.
È questo il nodo cruciale della narrazione, che da una fase per lo più descrittiva, è passata ormai decisamente, anche stilisticamente, sui ben oleati binari di una narrazione più distesa, a tratti evocativa, che si fa sempre più asciutta e fluida fino al pacato scioglimento finale.
Qual è l’amore che vince sull’altro? Quello passionale e terreno che lega i due giovani come ad una rassicurante promessa di felicità e che si proietta tutto nell’alvo della dimensione familiare ovattata, culturalmente e socialmente privilegiata e ben definita? Oppure quello “spirituale” e missionario che spinge a farsi carico dei bisogni altrui e che riesce a vedere oltre il proprio destino individuale per protendersi verso quel “premio / che i desideri avanza”?
L’autore non fa apertamente la sua scelta o almeno non ce la comunica chiaramente, ci trasmette, però, il fascino attrattivo dell’una e dell’altra. Ci parla, in verità, ed efficacemente degli errori che spesso famiglie e istituzioni preposte alla formazione dei giovani fanno nell’affrontare il delicato compito di educare alla sessualità (“La sessualità è la condizione irrinunciabile della vita di ogni essere vivente, e ancora di più quando l’essere vivente umano attraversa l’epoca più critica, più delicata, più preziosa del cammino terreno, l’adolescenza.”). E nella vicenda narrata, comunque, l’amore terreno riesce ad avere una sua rivincita, a dettare e ad imporre le proprie regole: da un ultimo, estremo incontro tra i due giovani nascerà una nuova vita, un figlio, della cui esistenza Valerio, ormai da tempo prete, saprà solo poco prima di concludere prematuramente la sua esistenza terrena, eroicamente orientata alla promozione degli ultimi attraverso soprattutto la diffusione della cultura ai giovani delle classi più svantaggiate. Il frutto umano di quell’amore, mai dimenticato da Carola, fa già parte della comunità di cui Valerio è il motore trainante e spesso è in conflitto con lui come accade tra personalità troppo simili o ugualmente forti; anche qui, come in tanta narrativa moderna, si staglia in tutta la sua problematicità il rapporto tra padre e figlio.
E non si può certo trascurare l’analisi puntuale, proprio attraverso le vicende di Carola, della dimensione femminile e delle problematiche ancora attuali ad essa legate, perché la sua vicenda romanzesca di amore deluso e di maternità ostacolata e, fino ad un certo punto, negata dal perbenismo e dall’ottusità dei genitori, nelle pagine finali dell’opera, si fa desiderio di riscatto, lucida determinazione e tensione alla propria affermazione, se non di donna (la rinuncia a Valerio è ormai definitiva), almeno di madre.
Ma chi è il vero protagonista del romanzo? Valerio? Carola? Entrambi? Molto probabilmente è lo spirito di sacrificio! Sì, la rinuncia fatta per amore, sia esso l’amore per il prossimo in nome di una fede che accomuna e affratella, sia esso l’amore passionale e tutto terreno per un altro essere umano da cui, per rispettarne la libera scelta o per non ostacolarne la realizzazione dei desideri, bisogna staccarsi seppure con grande, inaudita sofferenza.
È palpabile, nel finale, anche se sapientemente schermata da un taglio netto che nessuno spazio sembra concedere alla tensione emotiva, la commozione dell’autore nel congedarsi dai suoi personaggi; quei personaggi che hanno via via acquistato una sorta di loro tridimensionalità così da risultare realmente vivi, animati dal possente respiro di una creazione letteraria, che nel calibrato mélange di realtà e invenzione, nell’alchimia sapiente di insegnamenti di vita e di distillati d’esperienza vissuta, da dietro i veli del mistero che avvolge la dimensione umana nel coacervo di sentimenti veri e di dissonanti contraddizioni, riesce ad esprimere una ricchezza e nobiltà di senso, una irrinunciabile verità solitamente inascoltata nell’assordante e rutilante mondo che ci accoglie.
La solida e ben sedimentata base culturale, e più specificatamente letteraria, costituita sul versante narrativo - ambito nel quale l’autore è un sorprendente esordiente - dal romanzo della migliore tradizione italiana, non solo novecentesca, dalla meditata e approfondita lettura dei romanzieri francesi dell’Ottocento, da Balzac a Flaubert (si pensi agli interventi dello scrittore in merito all’ “educazione sentimentale” e in senso lato alla proposta di un più adeguato modus vivendi nell’ottica di soluzioni non relegate all’insipienza della politica, bensì ad un sentire più ampio e cristianamente fondato e fondante, alla strutturazione di una più equilibrata personalità e ben definita identità morale e sociale), oltre che, per alcuni aspetti inerenti all’eleganza del fraseggio e alla ricerca di un equilibrato distacco dalla materia, dal romanzo dell’età vittoriana, permette allo scrittore di padroneggiare da perfetto demiurgo il materiale romanzesco e di farne un’opera organicamente e strutturalmente compiuta e, da più punti di vista, “esemplare”. Difatti l’esemplarità del romanzo, a ben vedere, risiede non solo nella convincente lezione di stile e di tecnica narrativa, ma anche e soprattutto nell’eticità e moralità dei contenuti; in tal senso è determinante il sotterraneo, a tratti sottinteso, fascinoso legame che si può cogliere, al di là della strategia mimetica messa puntualmente in atto dallo scrittore, con caratteri specifici, situazioni, scelte esistenziali e ideali che conducono inequivocabilmente alla figura e all’opera di Lorenzo Milani, oggetto privilegiato degli studi e delle ricerche di Rolando Perri già in due fortunati volumi (“Sulle tracce di Barbiana verso la scuola autonoma” Edizioni TIERRE e “Presenze femminili nella vita di don Lorenzo Milani” Società Editrice Fiorentina), un po’ come accade, anche se più scopertamente, alla Yourcenar per il suo “doppio”: l’imperatore Adriano.
Alla luce di tutto ciò, può essere definito questo, come qualche analisi critica ha già suggerito, un romanzo di formazione? Certamente assistiamo, nel dipanarsi della vicenda personale e generale, direi storica, ad un naturale, graduale processo di cambiamento. Valerio cresce. La sua vita, sulla scorta delle esperienze fatte, prende una inusitata direzione, ed anzi possiamo seguirne l’intera parabola esistenziale che cessa con l’esperienza estrema della morte. Anche Carola cresce. Acquista nuove consapevolezze, sperimenta sentimenti esaltanti, cocenti delusioni, pesanti ingiustizie che la cambiano e le fanno accettare, per amore, l’amaro sapore della rinuncia. Ma è la società stessa a cambiare. Mutano mentalità e mode. L’esperienza traumatica del secondo conflitto mondiale si allontana nel tempo sempre più ed urgono in Italia nuovi problemi d’ordine sociale e civile come la promozione culturale delle masse, mentre già si intravede all’orizzonte l’onda tanto incalzante quanto effimera del boom economico.
Ci sono, infine, gli interventi “educativi” dello stesso autore che, da riconosciuto esperto di pedagogia e di didattica, si “ritaglia” dei cantucci di manzoniana memoria, per esprimere direttamente, senza filtri o intermediari, al lettore autentiche “perle” di buonsenso e lungimirante saggezza. Ciò è così vero che “amore”, “fede”, “scuola” sono le parole più ricorrenti nelle riflessioni critiche finora fatte su questa importante opera di narrativa: l’amore come l’esperienza più esaltante della dimensione umana, la fede come speranza e fiducia nel prossimo e in Dio, la scuola come preziosa e irrinunciabile opportunità di crescita culturale e morale, come fonte di affermazione e promozione umana. Ma a queste parole-chiave se ne potrebbero aggiungere molte altre: ad esempio, “coerenza”, intesa come adesione ai principi e ai valori che dovrebbero improntare ogni esistenza umana, pur nella diversità dei caratteri e delle aspirazioni. In questo senso “Gocce di rugiada d’amore rubate al tempo” può essere considerato un “romanzo di formazione”, un testo di raffinato sentire, di uno spessore letterario al quale non siamo purtroppo più abituati, denso d’una vibrante e partecipe, calda umanità, da cui ogni lettore può trarre spunti di riflessione e insegnamenti utili ad un reale miglioramento personale e al tempo stesso globale della nostra tormentata realtà.
(Articolo pubblicato sul periodico “Confronto”, ANNO XXXVIII n. 5 – MAGGIO 2012)
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