| Nel libro, edito da Feltrinelli, si analizza la generazione cannibale, tra cui Aldo Nove, Scarpa, Ammaniti
«Questo è un (breve) viaggio tra la letteratura. Durante il viaggio faremo due volte toilette, a distanza di settant'anni tra loro, e poi altre due. Passeremo al supermercato, dove prenderemo un bagnoschiuma. Metteremo sul carrello un bel po' di libri cruenti, scritti al di là e al di qua dell'oceano… li faremo conversare tra loro: i nuovi arrivati coi grandi, i cannibali con gli immortali. A questo punto, vediamo gli arricciamenti di nasi. «Ancora cannibali! Non se ne può più. E poi, scomodare per loro le grandi ombre della letteratura! Come usare la bomba atomica per andare a caccia di lepri!»... Ma, niente paura! Le grandi ombre stanno lì ferme da anni, talora secoli: forse un po' di movimento non gli farà male, gli servirà a sgranchirsi le ossa».
Inizia così il libro di Francesco Dragosei («Letteratura e merci - Da Joyce a Cappuccetto Splatter», Feltrinelli) brillante e disincantato nell'evidenziare come le merci hanno prima iniziato ad affacciarsi timidamente, lateralmente, nelle pagine dei grandi romanzi. Quindi a insediarvisi. Infine a pretendere di dire la loro sul nuovo modo in cui le opere dovevano parlare ai lettori dell'era televisivo-consumistica.
Fin dalle prime righe si evidenziano due grandi pregi. L'utilizzo di un linguaggio dissacrante, positivamente visionario, spregiudicato e, come conseguenza, una discorsività piacevole che sorprende in un libro di critica letteraria. Gli autori che il libro tratta sono perlopiù quelli presenti nell'antologia «Gioventù cannibale» Ammaniti, Luttazzi, Aldo Nove, Pinketts - più Scarpa, Santacroce, Brizzi.
Dragosei rintraccia le matrici e i percorsi del fenomeno, individuando in esso tre modalità di esproprio della parola da parte delle merci: di primo, di secondo e di terzo grado. Ed è proprio di questi giorni l'esproprio conclusivo nel rapporto circolare tra autori e merci: quello di quarto grado. Da poco Castelvecchi ha pubblicato il libro di Aldo Dieci «Route 66» che contiene in copertina la fascetta “Aldo Nove compatibile” dove l'editore si riappropria della sua merce per farne una produzione in serie. È emblematico l'utilizzo dell'autore come un software così come dopo Windows '95 c'è stato Windows '98, così Aldo Dieci costituisce «l'ultima evoluzione della serie Aldo». Il racconto parodizza violentemente i testi degli scrittori cannibali, e in particolare di Aldo Nove. Per dirla come Dragosei chi di merce ferisce, di merce perisce.
È indubbio, comunque, che il rapporto fra letteratura e merci ha subìto un profondo mutamento. Una volta i marchi di fabbrica non solo non desideravano mettere piede nella casa della letteratura, ma neppure conoscevano l'indirizzo. Poi, a poco a poco, le cose sono cambiate. Di questa involuzione siamo andati a chiedere all'autore.
Domanda - Come sono stati scomodati, in questo libro, i grandi della letteratura e in che modo sono stati rapportati agli autori contemporanei?
DRAGOSEI - Mi rendo conto che è rischioso fare accostamenti di questo genere, perché quando metto a confronto Fleurissoire con Aldo Nove, con il personaggio di Nove, io offro un fianco, molto facilmente, alla ferita di chiunque.
Però, secondo me, ci sono delle condizioni che consentono un confronto tra il passato e il presente, inoltre molti critici lo hanno già fatto. Per cui in questo libro ho cercato di approfondire le connessioni tra autore ed autore, perché, come spesso avviene, a me non piace buttare la pietra e nascondere la mano.
Domanda - Il titolo «Letteratura e merci» è illuminante sul rapporto reale che esiste tra i letterati e l'industria editoriale. Nel libro individui tre modalità di esproprio della letteratura da parte delle merci: di primo, di secondo e di terzo grado. Come le merci si sono a poco a poco infiltrate nella letteratura, alterando le sue caratteristiche e imponendo gradualmente le proprie?
Il concetto di porre dei livelli nell'ingresso delle merci in letteratura è mutuato dalla mia passione per la montagna, anche arrampicandosi ci sono dei gradi di difficoltà, si parte dal primo, il più facile, al settimo, all'ottavo e così via. Per quel che concerne il libro, ho suddiviso in tre livelli l'ingresso delle merci nella letteratura. Il primo livello di esproprio è semplicemente una questione nominale, si passa dai nomi comuni che vengono apertamente espropriati dai nomi delle merci; ad esempio, il motorino non viene più chiamato motorino ma diventa «Solex», la «carta per asciugare» diventa «Scottex» o lo zainetto che diventa «Jolly Invicta». Il secondo è già un po' più subdolo e riguarda non solo la letteratura. Le chiamo parole donnola, perché svuotano le parole come un uovo e si succhiano l'interno, il contenuto. Così un'acqua minerale rinuncia volentieri al proprio marchio per appropriarsi indebitamente di un aggettivo qualificativo di valore altamente positivo (supponiamo, l'aggettivo «lieve»). Quindi si dà qualche ritocco cosmetico onde rendersi più appetibile, più sexy: ma con accortezza, mantenendo un astuto equilibrio tra l'iperbole del superlativo assoluto («-issimo») e la patina nostalgica dell'arcaismo («leve»). Infine chiama al suo seguito due insospettabili damigelle d'onore («altissima» e «purissima») nonché un famoso cavaliere senza paura e senza macchia merceologica (Reinhold Messner). Il gioco è fatto. Voilà, oggi è nata «Levissima». Ma il livello di esproprio più importante e più grave è il terzo, in quanto le parole prendono una pagina di letteratura e la svuotano da dentro, sembra letteratura ma invece è diventata qualcosa che somiglia di più alla merce.
Domanda - La metto al corrente che è proprio di questi giorni l' esproprio di quarto grado, quello definitivo. Castelvecchi che è l'editore che ha lanciato Aldo Nove, se ne è rimpossessato, e come una merce, lo ha aggiornato. Così è nato Aldo Dieci che è il primo autore della letteratura mondiale utilizzato come un software, infatti, come dopo Windows ’95 c'è stato Windows ’98, Aldo Dieci è solo l'ultima evoluzione della serie Aldo.
DRAGOSEI - Guarda caso, questi autori che sembravano così eversivi, subiscono, proprio dall’editore che li ha lanciati, un'operazione di completo riassorbimento merceologico. Allora, dov'era il messaggio eversivo di questi autori?
Domanda - Il libro denota fin dalle prime righe due grandi pregi. L'utilizzo di un linguaggio dissacrante, positivamente visionario, spregiudicato; e, come conseguenza di questa impostazione, una discorsività piacevole e sorprendente, se si pensa ad un libro di critica. È un atteggiamento voluto?
DRAGOSEI - È voluto, ma è anche il mio stile. Jacobson parlava di due assi del discorso, e di due modi di organizzarsi. Quello metonimico per contiguità e quello metaforico per somiglianza; a me, chiaramente, piace l'asse metaforico. Secondo me, il discorso inventivo è basato sulla metafora.
Domanda - La struttura complessiva del libro è non accademica o antiaccademica?
DRAGOSEI - Antiaccademico. Io odio l'accademia. Gli accademici sono delle mummie. A me le mummie sono pure simpatiche, anche io aspiro a mummificarmi, sono quelle metaforiche che mi stanno antipatiche. Bisogna dire che l'accademia è così barbosa qui in Italia, nel mondo anglosassone ci sono scrittori come Eagleton, Lodge che sono fior di saggisti; se leggi un loro libro ti diverti, ridi mentre leggi. I francesi sono meno divertenti ma purtroppo sempre più interessanti degli italiani. Nella saggistica italiana trovo bravissimo, anche divertente, Franco Moretti. Umberto Eco, una volta era un brillante, adesso si è imballato, oramai è diventato un monumento di se stesso. Leggevo ultimamente «Sei passeggiate nei boschi narrativi», mi ha impressionato. In una pagina lui diceva: «Io», oppure «il mio libro», oppure «in un mio articolo» trentasette volte.
Per concludere, sull'accademia italiana si può affermare, senza possibilità di smentita, che se uno fa un discorso serio sulla letteratura deve per forza ingessarsi.
Domanda - È strano però come tu critichi duramente proprio quegli autori che maggiormente si sono distinti per il loro atteggiamento di rottura nei confronti dell'accademia, mentre salvi di questa generazione di narratori italiani solo Culicchia che è quello più vicino ad un atteggiamento accademico.
DRAGOSEI - Questa è un'osservazione importante. Io non so che risposta dare. A me una cosa che non piace è che uno ha sempre le risposte.
Domanda - Lo prendiamo, allora, come un dato di fatto. Può essere una verità o una coincidenza.
DRAGOSEI - Pensandoci bene forse una risposta c'è. Credo che loro sembrano tanto iconoclastici, ma esserlo veramente non vuol dire solo avere una bella mazza, bisogna scegliere i mobili giusti. A mio avviso questi autori non lo sono tanto. L'esempio tipico è un Nove con un atteggiamento apparentemente molto di rottura, però guarda caso poi è uno che subito si è adagiato in strutture non di potere, perché la cultura non ha potere, ma di quel potere accademico dove lui si è subito infilato. Dico questo perché ci sono altri che non lo fanno, invece lui ha incominciato a farsi la sua collanuccia di poesia che dirige. Insomma sono ben pronti ad entrare nell'establishment, è un segno che questa vocazione di andare contro è più nominale che vera, ho questo sospetto.
Domanda - Alla fine fare lo scrittore diventa un lavoro come un altro.
DRAGOSEI - Ognuno ha diritto al lavoro, però se la sostanza è questa, bastava dire: «Ragazzi, mi date anche a me il mio posticino», io posso essere d'accordo, però dimmelo. Non c'è bisogno di spararla così grossa.
Domanda - Non ci sono poeti nel suo libro. È una conseguenza del fatto che la poesia non avendo un mercato, è separata dalle merci?
DRAGOSEI - I motivi per cui non c'è la poesia sono due. Il primo motivo è che il fenomeno delle merci riguarda soprattutto questi narratori; il secondo motivo è che alle merci, della poesia, non importa nulla. La poesia non serve alle merci. Il fenomeno del pulp è, in definitiva, da considerare un prodotto mercantile che in questo caso è stato timbrato, per essere vendibile, come rivoluzionario? Loro non sono tanto rivoluzionari, io non ci credo. Se tu fai letteratura è rivoluzionario sempre. Perché la letteratura per definizione è rivoluzione.
Domanda - Allora è come lei scrive: il cavaliere della letteratura si è avvicinato talmente al drago che ha finito per esserne divorato?
DRAGOSEI - Brizzi, con «Jack Frusciante», anche se risentiva tantissimo dell'ombra di Salinger, addirittura lui lo nomina, lo evoca continuamente, ha fatto un bel libro, perché ci sentivo dentro qualche passione, può piacere o non piacere, però c'era una sua anima.
Domanda - E tu pensi che Aldo Nove, Scarpa e gli altri autori che citi nel libro hanno questa forma soddisfacente?
DRAGOSEI - A loro manca l'anima.
Domanda - Meglio, a questo punto, ritornare ai classici. Si può fare a meno di questi autori per raggiungere una maturità culturale.
DRAGOSEI - Vorrei essere chiaro su una cosa. Il mio non è un atteggiamento passatista, nostalgico, tipo: “Viva i classici, abbasso la modernità”. Assolutamente. Lo scrittore di oggi deve occuparsi dell'oggi, la letteratura deve continuare ad essere alterità, ad essere utopia, ed è questo il modo giusto di occuparsene oggi e di fare grandissima letteratura. Il modo sbagliato è quello di questo gruppo di cannibali che è troppo invaso dalle merci.
Domanda - Secondo lei, per quale motivo dovremmo soffermarci su questi autori che sono imposti dal mercato editoriale, quando esiste un'altra letteratura, più sotterranea, che in defInitiva è molto più essenziale e molto più utopica, alla quale dovremmo dedicare più attenzione?
DRAGOSEI - Per un semplice motivo: per mancanza di forze. Questo sistema editoriale dei media parla solo di certi libri. Tu lettore medio, dovresti avere una forza tale... una capacità di andarti a pescare autori che valgono di più ma che non vengono divulgati o non se ne parla proprio. E questo è impossibile.
Domanda - Allora come riflessione conclusiva di questa interessante intervista osservo che anche tu strumentalmente, se non passivamente, utilizzi la merce facendo un libro che è di critica, ma che guarda alle esigenze del mercato, che è vendibile, con il linguaggio che utilizza e gli argomenti che tratta.
DRAGOSEI - E certo! Sono anch 'io immerso fino ai capelli, che non ci sono, fino alla barba, nella merce. E devo farlo. Una obiezione che mi si potrebbe dire è che parlo tanto di questo sangue facile e poi faccio da cassa di risonanza a questo fenomeno. Ma come diceva Herbert Marcuse la parola pornografica è: «il sistema».
C’è un sistema dal quale non si sfugge, se tu vuoi parlare devi farti dare il megafono che ti dàa il sistema, senza il quale la tua voce non si sente.
***
CANNIBALI IN PILLOLE
Abbiamo proposto a Francesco Dragosei di abbinare, scherzosamente, gli autori trattati nel libro «Letteratura e merci» ad una merce, e/o a una definizione.
ALDO NOVE. Merce: Bagnoschiuma. Definizione: il vibratore.
TIZIANO SCARPA. Merce:"Nuvole Volanti" che è un negozio di fumetti. Definizione:"Censure giapponesi", per la sua abitudine di parlare dei manga.
ENRICO BRIZZI. Merce: la Vespa. Definizione: Giovane Holden sanguinario.
ISABELLA SANTACROCE. Merce: un barbiturico, un ansiolitico. Definizione: Il giovane Salinger va in farmacia. Oppure: il giovane Salinger chimico.
CARLO LUCARELLI. Merce: lo zainetto drogato. Definizione: il castratore.
NICOLÒ AMMANITI. Merce: tramezzino col pesce pendulo.
DANIELE LUTTAZZI. Merce: Mulinex trita clitoridi. Definizione: il clitoride.
ANDREA G. PINKETTS. Merce: lo conosco poco ma lo abbinerei ad una motosega.
(Articolo di Edoardo Maria Lambertenghi, pubblicato su Orizzonti n. 11, nov.gen. 2000)
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