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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

La cineteca dimenticata: LEOPOLDO, anzi libero

di Rivista Orizzonti

Non molto tempo fa se ne è andato Leopoldo Trieste (1917-2003). E come si fa a raccontare la storia di Leopoldo (anzi Libero, conseguenza di patriottici furori paterni) così, in quattro e quattr’otto? Bisogna, credete a me, tirare giù tutta la storia del nostro cinema, almeno quello migliore, dalla fine della guerra fino quasi all’altro ieri.
Con i suoi occhi miopi e sgranati, vulcanico, logorroico, intellettuale fervido e inesauribile; è stato la presenza costante, buffa, grottesca, nevrotica di cinquant’anni di cinema nostro: una specie di inaffondabile “misirizzi”, l’anima di cento progetti, speranze, idee, di quel mondo chiassoso, cialtronesco e inaffidabile dell’italico spettacolo. E Leopoldo, venuto dalla natia Calabria, con l’eccitazione tipica dell’intellettuale di provincia, in quel mondo ci si trovava a meraviglia.
Il suo entusiasmo instancabile è stato l’entusiasmo di quegli anni avidi e ricchi. Ma per chi lo ricorda in tantissimi, strepitosi “caratteri”, nelle crudeli e taglienti “figure” imbastite dal nostro con umore e autoironia, bisogna subito dire che Leopoldo non è stato solo il “prezzemolo”, il sapore aggiunto, anzi il peperoncino, di tantissimi film. Pochi sanno che all’inizio si misurò come autore teatrale (“La frontiera”, “Cronaca”) usando tematiche forti e impietose (di “Cronaca” ne fecero anche un film nel ’53: “Febbre di vivere”). Ma fu poi, allora e anche dopo, ideatore e sceneggiatore di film, storie, intrecci.
Quanti, quanti progetti caro Leopoldo, amai, lasciati, ripresi; e poi l’incrociarsi con gli amici “eccellenti”, i compagni delle lunghe nottate, le idee nate sui tavolini dei caffè, magari rincorrendo l’ennesima attricetta speranzosa o il produttore meneghino da convincere (sono gli anni eroici e caotici di quella “dolce vita” poi raccontata!). E proprio uno dei suoi grandi amici, il Fellini giovane e geniale degli inizi, lo convince ad esordire come attore nel suo “Sceicco bianco” nel ’52. Il povero Leopoldo, da intellettuale impegnato in temi drammatici di cui crede di poter essere anche convinto interprete, è costretto da allora in poi ad abbandonare per sempre (o quasi) queste pretese e a proporsi in maschere (praticamente autobiografiche) di pretenziosi intellettuali di provincia, inserendo di volta in volta anche gustosi spaccati del tipico (anche di suo), infrenabile “gallismo” italico.
Lo spazio stringe: possiamo solo “carrellarvi” rapide e folgoranti apparizioni: lo scrittore timido e velleitario dei “Vitelloni” (1953), le due eccezionali “invenzioni” siciliane per “Divorzio all’italiana” (1961) e per “Sedotta e abbandonata” (1963) (primo nastro d’argento) di Pietro Germi. Scavalcando moltissimi anni ricordiamo l’altro nastro d’argento conquistato per “Enrico IV” (1984) di Belloccio, e ancora l’ingenuo censore d’un cinema di paese in “Nuovo cinema Paradiso” di Tornatore (1988). E con Tornatore riappare con “L’Uomo delle stelle” (1995), non ultima presenza ma quasi commovente congedo, il fantasma muto e carismatico che si anima davanti alla macchina da presa, il reduce della guerra di Spagna che rievoca il sangue e la pena di una rivoluzione perduta e poi ritorna nel silenzio per sempre (terzo nastro d’argento e David di Donatiello!).
E i suoi film? Perché fu anche regista e non indegno, anche se un po’ troppo velleitario, come i suoi personaggi: “Città di notte” (1958), “Il peccato degli anni verdi” (1960), ma non mi basta il fiato per raccontarveli.
Vorrei dirvi cento altre cose di Leopoldo Trieste, questa specie di coscienza nostra, arguta e convulsa, del nostro cinema andato ma anche di infinite speranze del nostro crescere e vivere in un paese ricco, troppo ricco di idee, vivace e contraddittorio, nel dramma e nella farsa di ogni giorno, di fervori e delle delusioni che hanno fatto di noi (poeti e ragionieri, avventurieri o padri di famiglia, faticatori o accidiosi che fossimo) la complicata, disordinata, preziosa umanità che (tu Leopoldo, i padri, io ed altri figli) siamo stati e che dobbiamo raccontare per dopo, in qualche modo.

(Articolo di Luigi M. Bruno, pubblicato sulla rivista Orizzonti)

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