| «Voi che avete aspirato all’infinito, pregate per Poe che vede e che sa! Intercederà…per VOI…». (C. Baudelaire)
Edgar Allan Poe rappresenta un caso limite nella storia della letteratura d'ogni tempo. Gli avvenimenti che ruotano attorno alla sua figura, contribuiscono da quasi 150 anni a fare del poeta un'icona tragica della letteratura; ed è in questa tragedia del vivere che ogni anima sofferente riscopre un itinerario da percorrere.
Nato da una famiglia di attori girovaghi, alcolizzati, erediterà da entrambi l'incontenibile attrazione per i liquori, che nella sua persona assumerà le proporzioni della dipsomania (tendenza patologica all'assunzione di bevande alcoliche). Ancora in fasce, durante gli spettacoli cui i Poe partecipavano, veniva tranquillizzato con degli stracci imbevuti di gin, adagiati con cura sulla sua bocca. Erediterà dalla madre Elizabeth e dal padre David, anche quel misterioso istinto di vagabondaggio che lo porterà più volte, nel corso della sua esistenza, ad un indefinito girovagare. Morti entrambi i genitori verrà adottato dagli Allan, che per contro contribuiranno con il loro vivere equilibrato, a formare nella sua persona quell'antagonismo benevolo e razionale al lato oscuro e radicato trasmessogli dai Poe.
Questa dicotomia (tra l'altro rappresentata singolarmente nel William Wilson) costituirà la personalità di E. A. Poe scrittore e uomo, e può essere definita come una continua lotta tra bene e male che si svolgerà all'infinito nel poeta.
Il ricorso ai liquori e alle droghe (laudano, oppio...) rappresenta il veicolo che lo condurrà al di là di un'esistenza univoca e razionale, nelle viscere d'un abisso che solo lui poté sondare. Edgar odiava i liquori, ma la dipsomania lo costringeva periodicamente a farne uso. Odiava la vita, della quale aveva un indicibile orrore, cagione in lui d'ogni sorta di sofferenza; era attratto e nel contempo intimorito dalla donna, che considerava la più alta espressione della vita, incarnazione di platonica Beltà.
Se noi, comunque, volessimo pensare ad un ideale di poeta, dove la poesia è fine a se stessa, penseremmo a lui, E. A. Poe, candore unico e inimitabile d'onirica surrealtà, d'oscura e luttuosa veggenza, quasi incontestabile previsione delle tenebre che ci attendono.
La rottura definitiva con J. Allan (padre adottivo) segnerà per il giovane poeta l'inizio d'una vita altalenante tra velleitari tentativi d'affermazione come scrittore, e i primi autentici riconoscimenti cui seguivano lavori come redattore, giornalista e critico letterario; lui stesso diede vita ad una rivista, «The Stylus».
La morte della moglie bambina, Virginia, segnerà per Edgar uno dei periodi più difficili del suo percorso, caratterizzato da un estenuante girovagare, da conferenze burrascose, da periodi di totale abbandono all'oppio e all'alcool.
E il 3 ottobre del 1849, alla vigilia del suo matrimonio con una sua vecchia fiamma di gioventù, viene trovato riverso nel fango in stato di incoscienza. Morirà di delirium tremens il 7 ottobre, alle cinque del mattino. Si pensa che abbia trascorso la giornata con dei procacciatori di voti (essendo periodo di elezioni), che adescavano vagabondi, alcolizzati, diseredati, al solo scopo di condurli nei vari seggi, onde la firma a loro necessaria. E con Poe andarono sicuramente a nozze, offrendogli una quantità tale di liquori che lo ridussero in un pietoso stato di incoscienza. E di lì a poco venne la morte...
Asserisco che la bellezza in senso assoluto di questo poeta, risiede nella singolarità della sua esistenza, concentrata in un tentativo di quieto vivere reso impossibile dal lato oscuro della sua anima; quel lato oscuro che riempie d'estrema profondità i suoi versi, ricchi di atmosfere tenebrose e di angoli foschi che solo la sua mente poté concepire.
È lui il padre di tutti quei poeti che la gente comune definisce «dannati», «maledetti», in quanto deviano dal loro percorso di buoni tradizionali moralisti. Il padre d'ogni più cupa suggestione, dove la mente trova riparo da un vivere insignificante. E da qui l'ausilio dell'alcool e degli oppiacei,
nobili strumenti che mitigarono l'animo di un uomo non adatto per la vita.
Non guardate, quindi, Poe, e chi come lui, con malcelato disprezzo, né abbiatene pietà (sarebbe impietoso); ma amatelo per il suo modo unico di essere uomo, d'essere poeta, guardatelo come un martire dei sensi che ci ha reso partecipi del suo mondo, delle sue visioni; la sua opera è più di semplice poesia e pagine inchiostrate: è magia. Ed Edgar, irrimediabilmente poeta si considerò sempre, confessando di scrivere racconti e brani di varia natura solo per necessità. E non dimenticate che la letteratura d'ogni dove fu notevolmente arricchita e condizionata dalla sua opera, grazie a un «religioso» apostolato cui si dedicarono Baudelaire, Mallarmè e tanti altri in avvenire. Solamente in patria il grande Poe fu quasi misconosciuto e sempre considerato quale poeta di secondo rango, non appartenendo a nessuna «cerchia borghese» o Dio sa quale circolo di intellettuali, come un Franklin od un Brown. Edgar inseguiva esclusivamente le sue visioni. Inoltre resterà ancorato a motivi settecenteschi piuttosto che a tematiche e suggestioni romantiche.
«Pregate per Poe» sosterrà Baudelaire, innamorato come nessun altro del poeta americano; scaglierà inoltre un anatema all'indirizzo di Griswold, nemico di Poe e, per uno scherzo del destino, primo curatore delle sue opere. Lo stesso Griswold definì Poe «un maiale del genio»; ma la sua «attività» di denigratore non ebbe gli effetti da lui sperati, ma al contrario accrebbe nel tempo l'attrattiva ed il mistero che da sempre circondarono il poeta.
Se come sosteneva Rimbaud in una lettera a P.D., il poeta si fa veggente mediante un immenso e ragionato disordine di tutti i sensi, è il caso di dire che Poe li sconvolse proprio tutti, rendendo noi partecipi delle sue oniriche visioni, che solo lui poté definire in un assurdo gioco di «luci» e insolite atmosfere.
Poe uomo-poeta-scrittore-vagabondo, un tutt' uno che ci fa intuire i parametri che definiscono un poeta, il poeta per eccellenza. E voi tutti, che giornalmente riversate su carta gli orrori della vostra vita, che concepite l'arte quale mezzo d'evasione da un'anonima realtà, onde accomunarvi in un’assolutezza d'ortica bellezza, «voi tutti che avete aspirato all' infinito, pregate per Poe che vede e che sa! Intercederà per voi...».
E il suo funerale fu ancor più cupo delle oniriche immagini da lui create, un evento dove la realtà quasi si confondeva col surreale, completamento d'un percorso artistico autentico quanto inconsapevole di se stesso, nel senso che vizio, genio e solitudine si fusero nella sua persona senza alcun intento di sorta. Nessun amico, nessun parente a seguire il feretro, solo una decina di persone a rendere omaggio al grande poeta. E sulla sua lapide soltanto un numero: ultima testimonianza del suo inquieto vivere, d'una esistenza che inorridiva i benpensanti.
La sua unicità, amici miei, sta anche in questo: nessuna folla rumorosa al seguito della sua bara, non una lacrima versata, ma un commiato silenzioso dal mondo dei vivi, come ogni anima disperata e sola e inorridita dalla vita auspicherebbe per se stessa. Non importa, vi giuro non importa! Penseranno i posteri a celebrare il grande poeta dell'Ottocento, con gli omaggi e i riconoscimenti che solo secoli di unanime ammirazione hanno potuto raggiungere. Concludo rammentando l'unicità delle sue passioni, testimoniate dalla lirica «Solo», dove il poeta è consapevole della profonda solitudine cui versa la sua anima, della diversità delle sue emozioni, del tripudio del suo cuore che non ridestava in accordo con altri, dell'origine del mistero che l'avvolge:
«Fanciullo io già non ero come altri erano, né vedevo come gli altri vedevano. Mai derivai da una comune fonte le mie passioni - né mai, da quella stessa, i miei aspri affanni. Né il tripudio del mio cuore io ridestavo in accordo con altri. Tutto quel che amai, io l'amai da solo».
E solo, una piovosa mattina d'ottobre, andò via senza cenno alcuno, incamminandosi chissà in quale angolo d' universo...
Per lui, adesso, nessuna lacrima che disonori il suo nome, non canteremo requiem alcuno; ma nel suo elevarsi, lo seguiremo con una penna d'antichi giorni ...
Sia lode a Poe.
(Articolo di Luciano Micali, pubblicato sulla rivista Orizzonti)
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