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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Dalla rubrica “Il messaggio nella bottiglia”: UNICORNI, IMMAGINI E PAROLE

di Rivista Orizzonti

Sono d’accordo con Meinong il quale sosteneva che nel modo consueto di pensare gli oggetti è in vigore un certo «pregiudizio a favore del reale» (“Teoria dell’oggetto”, par. 2). Ciò significa che tendiamo a screditare l’oggettività di ciò che non risulta immediatamente riconducibile a sostanze e qualità del mondo fisico. Il che è deleterio per chiunque intenda sviluppare una comprensione efficace dei fenomeni artistici, in primo luogo di quelli letterari.
Mi spiego subito con un esempio. Nel romanzo “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, si viene a sapere, fra le varie stranezze, che in una certa foresta vivono alcuni unicorni: creature magiche, pure ed indifese, molto veloci, soggette alla morte come i cavalli cui assomigliano in tutto e per tutto, se non fosse per il corno che hanno sulla fronte. Stando al racconto della Rowling, gli unicorni hanno un manto bianco brillante ed il sangue color argento. Questo sangue, inoltre, pare che abbia il potere di conservare in vita chiunque lo beva, a prezzo però di una grave maledizione. In un testo del 1918 che ha fatto scuola (“Introduzione alla filosofia matematica”, cap. 16), Russell si è espresso con decisione contro la possibilità di attribuire una qualche forma di esistenza agli unicorni. «La logica - ha detto - non deve ammettere gli unicorni più della zoologia; infatti la logica tratta del mondo reale come la zoologia, anche se in termini più astratti e generali. Dire che gli unicorni hanno una loro esistenza in araldica, o in letteratura, o nell’immaginazione, è una scappatoia pietosa. Quello che esiste nell’araldica non è un animale in carne ed ossa, che si muove e respira di sua iniziativa. Quello che esiste è una figura o rappresentazione a parole». Questa censura degli unicorni fa parte di una più generale inammissibilità di tutti gli oggetti di finzione, inclusi i personaggi letterari, come per esempio Amleto. «Esiste un solo mondo - insiste Russell - il mondo ‘reale’: l’immaginazione di Shakespeare è parte di esso e i pensieri che aveva scrivendo l’Amleto sono reali. Come sono reali i pensieri nostri quando ne leggiamo la tragedia. Ma fa parte dell’essenza vera della tragedia che solo i pensieri, i sentimenti, in Shakespeare e nei suoi lettori, siano reali e che non esista, oltre questi, un Amleto oggettivamente reale». Ma siamo sicuri che quello che dice Russell sia giusto? Proviamo a chiederci se faccia effettivamente parte dell’essenza vera della tragedia di Shakespeare che il suo protagonista sia solo un giro di parole del tutto vuoto («il principe di Danimarca, figlio di Gertrude»), o un nome che non designa assolutamente nulla («Hamlet» chi?). Io non credo che le cose stiano in questi termini, perché così facendo non si spiega l’esperienza viva del testo letterario, ossia quel forte coinvolgimento emotivo che spinge più di una persona ad atti e reazioni che hanno senso solo nel quadro di un’attribuzione d’essere (“paradosso della finzione”). Perché mai commuoversi o addirittura piangere per la morte di un personaggio letterario, se è vero che quest’ultimo è un nulla e che noi lettori lo sappiamo bene? Ma alcuni logici insistono: la letteratura molto spesso tratta realtà che non sono tali, quindi è simile ad una specie di trompe-l’oeil linguistico. In linea di massima sono d’accordo con l’assimilazione del fenomeno letterario all’inganno percettivo, ma per me ciò non significa che l’illusione che il testo produce sia vana.
Torniamo agli unicorni. Sin dagli anni Settanta, Kripke ha ribadito che «non possiamo dire in quali circostanze ci sarebbero degli unicorni» (“Naming and Necessity”, cap. 1), per cui anche se un giorno si dovessero trovare i resti fossili di animali di tal fatta, neanche questo ci autorizzerebbe a trattare gli unicorni come enti esistenti, o almeno esistiti. L’argomentazione sembra piuttosto strampalata ed irrazionale, invece è stringente e lucida. Poiché infatti le fonti non ci forniscono informazioni sufficienti per decidere quale dovrebbe essere la struttura interna degli unicorni, nessun essere vivente del passato o del presente o del futuro potrà mai venire identificato come un unicorno, nonostante l’eventuale somiglianza esteriore o strutturale (ivi, Addenda). Riprendendo ed integrando Russell, la conclusione sembrerebbe essere che lo studio dei prodotti del pensiero e del linguaggio non può ammettere ciò che la fisica e l’episteme naturalistica rifiutano. Ma la fisica contemporanea è decisamente contro-intuitiva ed ammette più cose di quante di solito possa sottoscrivere una persona ragionevole: la meccanica quantistica, per esempio, afferma che qualcosa può trovarsi contemporaneamente in due configurazioni contrarie, in assenza di interferenze. È nota, a tal proposito, la storiella del gatto di Schrödinger, che in verità non nasce come racconto, ma in principio era un vero e proprio esperimento mentale. Un gatto viene chiuso in una scatola ermetica con un dispositivo velenifero collegato ad un contatore Geiger, a sua volta collegato ad un atomo di materiale radioattivo. Se l’atomo decade, liberando radiazioni, il dispositivo si aziona ed il gatto muore. Per farla breve, il gatto chiuso nella scatola ad un certo punto non sarà né vivo né morto, poiché solo l’ingerenza dell’osservatore può far sì che la compresenza quantistica originaria dei due stati opposti dell’atomo (cioè decaduto e non-decaduto) collassi, dando origine ad una realtà in cui è vero solo uno di essi. Non basta. Sviluppando la conoscenza fisica con l’obiettivo di riconciliare la meccanica quantistica e la teoria della relatività einsteiniana (che infatti così come sono risultano incompatibili), si giunge infine alla teoria delle super-stringhe, in cui figurano oggetti teorici di cui molti scienziati dubitano: le super-stringhe, appunto. Tra i critici, i più condiscendenti dicono che si tratterebbe di strumenti matematici raffinatissimi ma vacui, la qual cosa mi ricorda da vicino il declassamento intellettuale delle opere di immaginazione, come per esempio avviene in Odifreddi sulla scia di Schlick e Carnap («solo gli schizofrenici e gli artisti possono sostenere di sentire le voci […] l’Iliade e l’Odissea si aprono con due versi, ‘Cantami, o Diva’ e ‘Parlami, o Musa’, che rivelano come il poeta si sentisse uno scriba della divinità», “Le menzogne di Ulisse”, cap. 1). Nei dipartimenti di fisica pura qualcuno, però, prende sul serio anche le super-stringhe, accanto ai ben più accreditati elettroni, fotoni e compagnia bella. E ciò sembra avvenire proprio perché, in modo simile a quanto accade in letteratura, quando si gioca secondo gli schemi della ricerca scientifica occorre “credere nell’esistenza” dei protagonisti delle nostre “narrazioni” causali.
È dunque plausibile, anche da un punto di vista scientifico, che si prendano sul serio entità della cui esistenza si è magari in dubbio, qualora le si consideri alla luce del senso comune. In fondo nell’ambito della matematica già da tempo sappiamo che ci sono cose che di fatto non esistono, e questo non ci preoccupa. Non parlo solo di ogni realtà geometrica in quanto struttura ideale (giusto per fare un esempio, non ci sono punti in natura, visto che il punto ha dimensione zero), ma persino dei numeri in quanto tali. Certo, c’è chi crede che i numeri esitano realmente come una specie di oggetti platonici, dotati cioè di una forma d’esistenza di tipo spirituale o qualcosa del genere, ma mi pare più sensato concepirli invece come enti di costruzione, seguendo in qualche modo Brouwer. In fondo, il caso di i (radice quadrata di -1) non sembra concedere molto margine ai sostenitori del realismo matematico, ma questi sono problemi loro. Torniamo alla letteratura, quindi, e concludiamo. Gli unicorni non sono solo “unicorni”, ma animali fantastici. Amleto è un vero e proprio uomo di finzione, non un nome privo di riferimento. Durendal (cfr. “Canzone di Orlando”) è una spada, non un’espressione linguistica insensata. E così via.


(Articolo di Giuseppe Bomprezzi, pubblicato sulla rivista Orizzonti n. 40)


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