| “Per secoli gli storici hanno dipinto Isabella, la bellissima figlia di Cosimo de’ Medici, come una donna priva di freni morali e dedita a «illecite passioni», giustificate solo dalla scarsa considerazione che il marito Paolo Giordano Orsini avrebbe avuto per lei. Tanto che alla fine lui, dopo essersi macchiato di molti altri delitti, l’avrebbe uccisa, esasperato dai suoi tradimenti”.
Questo passo è tratto dalla copertina del saggio L’onore perduto di Isabella de’ Medici, scritto da Elisabetta Mori: un libro che, attraverso documenti originali, ci consegna l’affresco dell’Italia cinquecentesca, un’epoca di lotte di potere e giochi di alleanze, e ricostruisce la vera storia di Isabella e Paolo: una delle «leggende nere» del nostro Rinascimento.
In occasione della presentazione del libro, edito da Garzanti nella Collezione Storica, Michele Di Sivo, studioso e archivista storico dell’Archivio di Stato di Roma e sostenitore dell’importanza del restauro dei libri e dei manoscritti del ‘500 - poiché è l’inchiostro che veniva usato all’epoca, molto acido e con tanto ferro, la causa primaria del degrado di quelle carte - ha ricordato, come, nel periodo rinascimentale, così cruento, si sia formato il genio di Leonardo, di Michelangelo, di Machiavelli, e di tanti altri, mentre in situazioni di stallo politico e sociale, come è avvenuto in Svizzera, il maggior prodotto dell’intelligenza è stato l’orologio a cucù, come ricordava ironicamente Orson Welles nel film Il terzo uomo!
Che lo spirito pagano di questo Rinascimento fosse in netto contrasto con i principi morali da cui si giustificava la Riforma religiosa è vero soltanto in parte. In realtà la Riforma s’accordava col Rinascimento su un principio che l’una e l’altro rivendicavano di fronte alla chiesa cattolica, e cioè il libero esame. Ciò non era stato nelle intenzioni di Enrico VIII, il quale aveva inteso provocare non un’eresia ma uno scisma: costituire una Chiesa essenzialmente fondata sugli stessi dogmi cattolici, salvo un passaggio di autorità dal Papa al Re. Ma, una volta abbattuto un principio, crollarono gli altri; e sotto Elisabetta I si confermò il Protestantesimo, diviso in fazioni, in sette, ciascuna delle quali rivendicava la sua libertà. Ne derivò una situazione complessa, in un mondo che mentre proclamava d’aver ritrovato il puro insegnamento evangelico, difatto rinnegava sempre più gli ideali trascendenti del Medioevo, e sprofondava nell’esclusivo amore dell’esistenza terrena. Non c’è da stupirci se un mondo in così formidabile fermento trovò la sua espressione in una letteratura che pescava a piene mani da fatti di cronaca, dove il Dramma risultava essere l’arte del conflitto! E quale miglior terreno, per attingere storie, novelle, fatti di cronaca, se non quello italiano! I libri italiani, i poeti, i letterati e i cronisti italiani, i mimi, i comici dell’arte, gli artisti italiani alla corte di Elisabetta I Tudor (1533-1603) erano i messaggeri attesi del nostro Rinascimento, gli ambasciatori della Cultura dell’Italia. Però, questi “ambasciatori” erano lì per guadagnare soldi e cercavano in tutti i modi di assecondare i gusti della folla, nobile e plebea, che accorreva agli spettacoli. Le storie vengono così travisate, rese intriganti da omicidi che devono rispondere alle aspettative e allo stato d’animo degli spettatori.
Ecco che Elisabetta Mori, l’autrice di L’onore perduto di Isabella de’ Medici, ci riporta, dopo anni di studi sui documenti dell’epoca e ricerche accurate nella sala ovale dell’Archivio Storico Capitolino, la vera storia dei due “amanti maledetti”, Isabella de’ Medici e il coniuge, Paolo Giordano I Orsini.
In che modo l’amore per la verità e la fedeltà storica ha influenzato la sua ricerca e la scrittura del suo dossier sulla figura di Isabella de’ Medici?
«Devo confessare che all’inizio della mia ricerca non avevo nessuna intenzione di scrivere un libro. Ero stata colpita dalle incongruenze molto forti sulla figura dei due personaggi: tra come ce li ha tramandati la tradizione storiografica e letteraria e come invece si presentavano alla lettura della loro corrispondenza. Ho cominciato così a raccogliere dati. Per capire come si erano svolti realmente i fatti, per pura curiosità. Piano piano il sospetto che Paolo Giordano non avesse ucciso sua moglie è diventato certezza».
La sua accurata analisi, basata sui documenti originali della nobile famiglia romana degli Orsini, ci offre una realtà completamente diversa da quella che la tradizione britannica aveva diffuso; si pensi alla storia della Duchessa e del Cardinal Federico narrata da John Webster o all’altra sua tragedia, The white devil, sugli amori discinti di Vittoria Accoramboni ai tempi di Sisto V; ci illustra le sensazioni emotive e le difficoltà incontrate nel reperire così prestigiosi documenti e sfogliarli?
«Agli archivisti capita quotidianamente di incontrare documenti importanti. Non per questo perdiamo il gusto di stupirci. Quando mi sono imbattuta per la prima volta nella corrispondenza tra Paolo Giordano Orsini e Isabella de’ Medici avevo appena letto Stendhal e Tieck, per cui l’emozione è stata molto forte e ancora più emozionante è stato addentrarmi in quel loro lunghissimo, intenso e ininterrotto dialogo».
Gli eventi storici italiani, documentati dai testi antichi, quanto riscontro hanno con la civiltà attuale?
«Se intende il comportamento politico, quello è sempre uguale, oggi come ieri. La logica della politica segue sempre gli stessi meccanismi, che a volte sono feroci. È proprio da quella logica che Paolo Giordano e Isabella de’ Medici sono stati schiacciati».
Facendo il punto sulla ricerca storica e sul suo lavoro di archivista presso l’Archivio Storico Capitolino di Roma, quale è l’interrogativo imprescindibile per la ricerca storica oggi?
«Più che un interrogativo, la linea guida imprescindibile di qualsiasi ricerca (ma questo ogni storico lo sa) dovrebbe essere non dare mai nulla per scontato».
In futuro, pensa di rivalutare e poterci al fine «donare» il suo contributo storiografico su altre figure controverse, come quella di Lucrezia Borgia e Margherita di Valois, figlia di Caterina de’ Medici e di Enrico II di Francia?
«No, i miei percorsi sono altri. Per il momento sto lavorando alla seconda parte della vita di Paolo Giordano e al suo tragico incontro con Vittoria Accoramboni».
E un suo saggio su periodi storico-culturali diversi, come ad esempio il Risorgimento Italiano e su donne come Paolina Bonaparte, così tanto bistrattata dalla morale comune?
«Io non studio solo donne e non mi occupo solo di Rinascimento. Recentemente ho pubblicato il diario di viaggio in Congo di un esploratore italiano nella seconda metà dell’Ottocento: Giacomo Savorgnan di Brazzà».
(Articolo di Giuseppe Lorin, pubblicato su Orizzonti n. 40)
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