| John Fante piace. Piace sempre di più e soprattutto in Italia. A indicarlo non è solo il report sulle vendite internazionali dei suoi libri che vede il nostro paese ai primi posti, ma anche l’entusiasmo coinvolgente dei suoi lettori sempre più numerosi. Ho avuto modo di rendermene conto soprattutto da quando dirigo il Festival letterario «Il Dio di mio padre» che il comune di Torricella Peligna organizza da qualche anno in omaggio alle origini abruzzesi di John Fante.
Origini che gli derivano dal padre Nick, un muratore che alla fine dell’Ottocento è costretto ad abbandonare il suo paesino arroccato sulla Maiella per emigrare negli Stati Uniti in cerca di lavoro. Un padre padrone dal temperamento focoso e particolarmente attaccato alle sue radici, che con i suoi problemi lavorativi e le sue rocambolesche avventure ispirerà profondamente il figlio scrittore. La Torricella Peligna di Nick Fante è oggi diventata meta di «pellegrinaggio» per molti «fantiani sfegatati» provenienti da ogni regione d’Italia, che si sentono in qualche modo parte di una confraternita non dissimile da quella del vecchio Molise. Una tappa obbligata è naturalmente anche il festival dedicato a John Fante, dove il pubblico, ma anche gli ospiti, nutrono il più delle volte una vera e propria venerazione per questo romanziere italoamericano così atipico, «borderline», geniale, sicuro della sua grandezza nonostante una carriera letteraria altalenante e un riconoscimento tardivo.
Questa sorta di culto pagano non ha risparmiato neanche il giovane ricercatore Alfonso Pierro, che ho avuto l’opportunità di conoscere alla IV edizione del Festival «Il Dio di mio padre», dove ha presentato la sua tesi «John Fante: uno scrittore maledettamente ironico», elaborata a conclusione dei suoi studi presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, nell’anno accademico 2006/2007. E non è un caso se anche lui sia diventato uno dei «confratelli», visto quanto afferma nel suo saggio: «Attraverso i romanzi e i racconti di Fante ho conosciuto l’onestà della scrittura e di conseguenza, la disperazione, la rabbia, la genuinità, la semplicità e così via, tutte cose che mi hanno portato inevitabilmente molto vicino all’autore, tanto che potrei affermare di riconoscerlo come amico». Lo scrittore diventa per lui un compagno con cui condividere emozioni e aspirazioni, e per questo finisce con denominarlo «Il mio Fante».
Come Pierro, anche altri neolaureati sono passati per Torricella deliziandoci con le loro ricerche. E ho avuto modo di realizzare che il «contagio fantiano» ha colpito da tempo anche le università del nostro paese. Ma se molte sono le tesi sull’autore di «Chiedi alla polvere », pochissimi invece risultano i corsi universitari in Italia dove si studia la sua opera, a parte qualche raro caso in Letterature comparate. Allora com’è possibile una tale quantità di elaborati? È semplice, il più delle volte sono gli studenti stessi, «inebriati» dalla loro scoperta letteraria, a chiedere ai loro docenti di poter lavorare su John Fante, magari «contagiandoli». E come scoprono i suoi romanzi? Grazie a un amico o attraverso autori amatissimi dai giovani, per esempio lo scrittore americano Charles Bukowski o il cantautore italiano Vinicio Capossela, entrambi grandi estimatori della scrittura fantiana.
A portare, quindi, Fante nelle università italiane è stato l’entusiasmo dei ragazzi, di quelli che si riconoscono nelle sue storie e che restano sbalorditi dalla verità e dall’urgenza della sua scrittura. È ciò di cui parla Pierro nel capitolo «La necessità di scrivere: parole come gocce di sangue». Verità e urgenza che colpirono a suo tempo anche Bukowski, il quale nella sua prefazione a «Chiedi alla polvere» dichiara che i romanzi del suo maestro sembrano scritti «con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore». E fu proprio Bukowski a dare inizio alla riscoperta di John Fante, insieme ad altri giovani artisti e scrittori californiani (tra cui anche Francis Ford Coppola e Robert Towne) invaghiti della sua opera. Ciò accadeva negli anni Settanta del Novecento, quando Fante era paradossalmente più conosciuto come sceneggiatore hollywoodiano che come scrittore. Le sue opere erano ormai fuori catalogo e reperibili solo in alcune biblioteche.
In una di queste, alla Los Angeles Public Library per essere precisi, Bukowski rimase folgorato da «Chiedi alla polvere», tanto da citare il suo autore nel romanzo «Donne» e incoraggiare il suo editore John Martin della Black Sparrow Press a ripubblicare tutte le sue opere. Il vecchio John fece appena in tempo ad assistere alla sua seconda stagione letteraria. Morì nel 1983, qualche mese dopo la pubblicazione del suo ultimo romanzo, «Sogni di Bunker Hill», che riuscì a dettare alla moglie nonostante fosse minato dal diabete e ridotto alla cecità.
Oggi Fante è amato e tradotto in tutto il mondo. Nel 2010 a Los Angeles, nella città che lo accolse quando era un giovane aspirante scrittore squattrinato del Colorado, è stata intitolata una piazza a suo nome. Si trova nei pressi della Los Angeles Public Library, a due passi da Bunker Hill, il quartiere dove sono ambientate diverse storie della saga Bandini. Nel 2009, l’anno del centenario della sua nascita, la celebre UCLA (University of California Los Angeles) ha istituito un archivio con tutti i suoi documenti e dattiloscritti. Un riconoscimento importante per Fante e per la sua opera.
Molte sono le qualità letterarie di questo romanziere. Non ultima la sua capacità di trasmettere emozioni con semplicità e immediatezza. Ed è per questo che probabilmente piace tanto agli artisti.
Ma a renderlo unico nel panorama degli scrittori americani della sua generazione è la sua ironia, di cui parla diffusamente anche Alfonso Pierro nel suo saggio. È un’ironia amara, apparentata all’umorismo pirandelliano. Irresistibile perché sa raccontare la complessità della vita con leggerezza. Sa commuovere e far riflettere.
(Giovanna Di Lello)
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Miseria, scrittura, stanze in affitto, lavori umili, fame, ego smisurato, sogni, coraggio, bestemmie, furore, humour sono cose vere. Fante scrive di cose vere perché il suo mondo è vero, in tutte le caratteristiche che lo compongono ed è proprio per questo motivo che lo scrittore è entrato educatamente nella mia intimità, grazie alla sua correttezza. Vivere una esperienza non è cosa facile. A volte si assiste ad una qualunque manifestazione, la si osserva, la si fugge, la si ottiene, in molti casi è possibile avere delle esperienze. Viverle è un'altra cosa.
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Alfonso Pierro è nato nel 1983. Pedagogista, poeta e performer, scrive e vive dovunque gli capiti. Ha pubblicato Svendendo Altrove il Bacio Bugiardo. Poesie (Il Filo, 2008). John Fante: uno scrittore maledettamente ironico è stata la sua tesi di laurea triennale in Scienze Pedagogiche all'Università degli Studi di Genova; ha scelto come relatore Raffaele Perrotta, docente di Metodologia e critica dello spettacolo nella Facoltà di Scienze della Formazione. Il saggio è stato presentato al Festival Letterario Il Dio di Mio Padre di Torricella Peligna nel 2009.
Collana "Gli Emersi - Narrativa"
pp.86 €14,00
ISBN 978-88-591-0018-8
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