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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Intervista allo scrittore SANTO GIOFFRÈ - Dall’intreccio dell’amore per la sua terra, la Calabria, e quello per la Storia, nascono i ritratti memorabili di personaggi storici, come quello di Artemisia Sanchez.

di Rivista Orizzonti

“Il mio mondo fu un mondo di dolore, per questo non so farne a meno.”

Affascinato dalla Storia e dai documenti antichi, studioso instancabile del mondo Greco e Bizantino, Santo Gioffrè ha riversato questa passione nei suoi romanzi, di genere storico, contraddistinti dalla riscoperta delle radici di una terra tanto imponente, da esserne intimamente e amorevolmente legato. Una terra, che è il cardine della sua attività letteraria e della sua ricerca: la Calabria.
Santo Gioffrè - che dopo gli studi classici, ha conseguito la Laurea in Medicina e attualmente lavora presso l’ospedale di Palmi - ha sempre portato avanti, in parallelo agli impegni lavorativi, la sua vocazione letteraria.
Autore di articoli giornalistici sulla storia e la cultura della Calabria, collaboratore di riviste specializzate, per i suoi contributi ha ottenuto diversi riconoscimenti: la medaglia d’oro per il Premio Nazionale alla Cultura nel 2002 e, cinque anni dopo, il Premio per la Personalità Europea per la Cultura.
Deve la notorietà ai suoi romanzi, tra cui “Leonzio Pilato” (edito da Rubbettino e vincitore del Premio Calabria) che racconta la vita del celebre monaco vissuto a Reggio Calabria nel XIV secolo. La storia ripercorre le tappe del viaggio umano e culturale del noto letterato - che fu uno dei promotori dello studio della lingua greca e traduttore di Omero - dalla natia Calabria ai maggiori centri culturali dell’epoca: dalla dura giovinezza a Seminara, dove Leonzio Pilato assiste allo sterminio della propria famiglia, agli incontri con il celebre monaco Barlaam e con Francesco Petrarca, con cui vivrà un rapporto difficile, sebbene tradurrà per primo in latino, per lui, l’Iliade e l’Odissea.
Il successo maggiore arriva con “Artemisia Sanchez”, romanzo storico sempre ambientato a Seminara (edito da Mondadori nel 2007). Ispirato ad una storia vera della Calabria di fine ‘700, da cui è stata realizzata la fiction televisiva trasmessa da Rai Uno nel 2008, il libro prende il via da un evento scatenante: l’uccisione, in un agguato, di un sacerdote di nobili origini, che però aveva dee illuministe, in un periodo di difficile transizione storica in Calabria, caratterizzato dal conflitto tra mondo feudale e nuovi fermenti ideologici. E, pagina dopo pagina, viene alla luce una verità, che incrocia amori e potere. Sì, perché don Angelo Falsetti, questo il nome del sacerdote, ha amato una donna bellissima e affascinante, appartenente alla più potente famiglia di Seminara: è lei la vera protagonista di questo racconto che, com’è nella tradizione del romanzo storico, fonde realtà e immaginazione.
La sua ultima fatica è il romanzo “La terra rossa”, ambientato nella Calabria di fine 800. Qui, le antiche problematiche storiche e sociali del Meridione, che pesano ancora negli anni attuali, vengono scandagliate attraverso il racconto di vite realmente esistite. Tra queste spiccano: da un lato, quella del dottor Ciccio d’Alessandro, giovane, bello ed esuberante rampollo di una nobile famiglia di un non precisato paese bagnato dal fiume Petrace, in Calabria, e dall’altra, quella del figlio illegittimo Saverio, avuto da una serva.

Medico, giornalista, scrittore: in quale di queste attività si identifica maggiormente?

«Forse la medicina. Scrivere romanzi è una passione che si è sviluppata nel corso degli ultimi dieci anni. È stato l’amore per la Storia ad avermi spinto a scrivere romanzi che avessero delle tracce storiche, che descrivessero i luoghi, i territori e le passioni della mia amata terra: la Calabria».

È stato vincitore di numerosi premi letterari, grazie alle sue pubblicazioni (ricordiamo “Le nobili famiglie di Seminara”, “Il terribile flagello”, “Leonzio Pilato”, “Artemisia Sanchez”). A quali di queste “creature” è maggiormente legato?

«Devo la mia notorietà ad “Artemisia Sanchez”, un romanzo pubblicato da Mondadori, che poi è stato sceneggiato e tramutato in una grande fiction televisiva, che è andata in onda nel 2008. Ma il personaggio al quale sono maggiormente legato è Leonzio Pilato. Ho scritto questo romanzo storico con mia enorme soddisfazione. È stato anche recensito all’estero ed è diventato oggetto di un corso monografico in alcune università. Leonzio Pilato, che era di Seminara, è un personaggio di ultima scoperta della letteratura italiana. È stato uomo di grandissimo spessore culturale, perché introdusse in Italia lo studio del greco. I rapporti che trattenne con Petrarca e Boccaccio furono talmente intensi che portarono, per la prima volta al mondo, la traduzione dell’Odissea. Per quanto riguarda la struttura del romanzo, mi sono lasciato guidare dall’immaginazione nella prima parte della sua vita, dalla fanciullezza alla giovinezza, mentre nel seguito, grazie alla lettura di documenti storici, ho descritto la situazione che si respirava in quel periodo in Calabria. Siamo nel 1300, lui Greco, nato nelle colonie dove ancora si parlava il greco, provò sulla propria pelle l’ostilità del mondo culturale di quel periodo, in cui dominava la lingua latina».

A proposito di “Artemisia Sanchez”, che cos’è che l’ha spinta a raccontare questa storia?

«Avevo letto dei documenti storici in cui veniva raccontata l’uccisione di un prete nel 1785, in un periodo particolarissimo della provincia di Reggio Calabria, devastata da un terribile terremoto. Dobbiamo considerare che il sisma per intensità è paragonabile a quello avvenuto in Giappone; si immagini la devastazione che fece, rapportata a quei tempi quando ancora non vi erano i mezzi per affrontare una simile catastrofe. Da quella tragedia in Calabria, iniziò una storia, tutta particolare, che si ripercuote, forse, ancora oggi.
Tornando alla nostra storia, cercai di capire perché quell’uomo di chiesa fosse stato assassinato dagli stessi paesani seminaresi. Approfondendo la questione, trovai delle notizie storiche sulle nobili famiglie che dimoravano a Seminara in quel periodo: in particolare su una nobildonna spagnola che si era perdutamente innamorata del prete, provocando gravissime conseguenze all’onorabilità del proprio casato. E così, da questa storia, è nato il personaggio di Artemisia Sanchez».

Nella sua vecchia carica di assessore alla cultura della provincia di Reggio Calabria, ha donato un suo terreno per far costruire la più grande chiesa ortodossa dell’Italia meridionale. Mi parla di questo progetto?

«Forse la soddisfazione maggiore per questo progetto l’ho avuta durante la celebrazione della Pasqua ortodossa, dove hanno partecipato circa 2000 persone appartenenti a tutto il mondo meridionale ortodosso. Ho sempre avuto una passione per il mondo orientale, per tutti i riti, per la cultura, soprattutto per quella bizantina e per quella legata all’impero romano d’oriente ed alla memoria di un mio antico paesano che si chiamava Barlaam da Seminara, il più grande teologo che la chiesa d’oriente ha avuto. Nato nelle terre delle colonie di Bisanzio nel 1300, fu teologo astronomo, matematico, musicologo ed un diplomatico di primissima fattura. Purtroppo, il suo personaggio non è ben visto né dagli ortodossi né dai cattolici per via delle sue capacità teologiche basate su discussioni non dogmatiche ma discorsive. Barlaam, conosciutissimo in oriente e poco conosciuto in occidente, fu l’unico scomunicato che la chiesa ortodossa ha fra i suoi teologi. Ho sempre difeso il personaggio, e per amore della sua memoria, circa due anni fa, il giorno di Sant’Elia, nel monastero di Bivongi promisi ad un monaco ortodosso di offrire un terreno che mio padre mi aveva lasciato in eredità per far costruire una grande chiesa ortodossa. Consegnai il terreno a titolo del tutto gratuito al catecumeno di Costantinopoli, di cui mi onoro di avere l’amicizia. La chiesa è molto bella e viene visitata ogni anno da migliaia di persone; è tutta dipinta ed affrescata secondo la teologia ortodossa. Ho fatto anche costruire un monastero femminile ortodosso, facendo restaurare una vecchia casa che era dei miei antenati».

Recentemente ha fatto realizzare un importante lavoro di restauro sulla Madonna Nera di Seminara.

«La Madonna Nera, il cui titolo è “Madonna dei Poveri”, è sicuramente la più antica statua di culto mariano che esiste nell’Italia meridionale. Le prime tracce storiche le troviamo intorno al 1200. Molto probabilmente, questa statua è una copia di un’antica statua bizantina che si trovava nella città di Tauriana, che è stata distrutta dai Saraceni nel 1551. Poiché Seminara è sorta dalle ceneri di Tauriana, la statua fu bruciata, ma scultori locali realizzarono una scultura simile alla precedente. Quest’opera, per colpa dell’incuria del tempo, è apparsa gravemente danneggiata sia per l’aggressione degli agenti chimici, sia per tutto l’oro che i fedeli appendevano per grazia ricevuta. Su indicazione della curia ho finanziato il restauro che ha portato alla luce il vero volto della Vergine. I tecnici restauratori del Vaticano (la ditta Sante Guido), grazie ad una delicata fase di pulitura hanno svelato, sotto vari strati di vernice, il viso dolcissimo di una fanciulla di circa 16 anni. La Madonna è datata 1154, è di fattura bizantina e le vesti sono ricoperte da una splendida indoratura con foglia d’oro zecchino. Il 12 Maggio scorso è stata presentata la pubblicazione del restauro che ha portato la statua al suo antico splendore. Ho voluto che la Madonna, durante le fasi di restauro, restasse a Seminara in modo da non subire ulteriori traumi, per cui ho fatto costruire all’interno della chiesa un piccolo laboratorio».

Per “La terra rossa”, il suo ultimo libro, a cosa si è ispirato?

« “La terra rossa” descrive una situazione che non è mai stata affrontata dagli scrittori calabresi. Si tratta di un mondo tristissimo popolato, nella metà dell’ ‘800 fino ai primi ‘900, di una nobiltà che disponeva della vita e della morte delle persone che vivevano nelle loro terre. Io racconto proprio la storia di uno di questi signorotti che abusavano delle giovanissime donne che stavano al loro servizio e con le quali avevano dei figli che tenevano con loro, ma che non avevano alcun diritto e non venivano riconosciuti, perché considerati esseri inferiori. Parlo di questa società degradata, che è esistita fino agli anni 50. Nella mia storia, che diventerà presto un film, ho voluto raccontare di un’epoca storica, completamente assente dai libri e dalle cronache, che va dal 1898 al 1910. È una storia che racconta la drammaticità di quelle terre, attraverso la vita di un nobile e ricco medico le cui azioni influenzeranno in modo tragico la vita di coloro che lo circondano, tra cui quella di una giovane donna al suo servizio e di suo figlio nato nella clandestinità».

Un’ultima domanda: cosa vuole fare da grande?

«Questa è una bella domanda! La mia passione è scrivere ed ho in cantiere un romanzo di affresco storico ma che tocca questa volta gli anni 70. È un romanzo autobiografico, qualcosa di mio e della mia terra; è un affresco di quel periodo magnifico che fu la mia maturazione dal punto di vista politico, sentimentale ma anche come uomo. Da grande invece tornerò ad essere bambino come diceva Leonzio quando Barlaam gli insegnava la retorica: “Io torno con te bambino perché solo da bambino posso capire quanto è importante il mondo dei grandi nella letteratura e nelle altre cose”».



(Articolo di Loredana Rizzo, pubblicato su Orizzonti n. 40)


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