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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

Storie di sangue – Ivan il Terribile

di Rivista Orizzonti

Tormentava uomini e animali spiandone con gioia l’agonia, faceva sbranare dai cani gli avversari politici, divorare i monaci da orsi selvaggi. Un sovrano crudele e apocalittico.

Leggere la vita di Ivan il Terribile è come attraversare a piè pari un incubo multiforme ma con alla fine sempre la stessa tonalità di sentimento: il terrore. Per tutta la sua esistenza ebbe come unico obiettivo quello di perseguire il male: con una devozione, una fantasia, possibili solo in sogno.
A soli tre anni rimase orfano di padre, nel 1533, cinque anni più tardi perderà anche la madre. A causa di questa sua condizione, nell’infanzia conobbe diverse umiliazioni che pesarono sulla sua formazione e sul suo animo per tutta la vita, e che continuò a rinfacciare ai nemici e agli amici come se tutta la Russia ne fosse colpevole. Come ha scritto Piero Citati su “Repubblica”: «La sua crudeltà e il suo sadismo affiorano fin dalla prima infanzia; torturava gli animali, strappava le penne agli uccelli catturati, cavava loro gli occhi; li sventrava con un coltello, seguendo con un minuzioso piacere tutti i momenti della loro agonia; in piedi sui bastioni della fortezza prendeva in mano i suoi cagnolini, li faceva roteare sopra la testa, e li gettava nella corte perché si spezzassero le zampe.
Cominciò a regnare giovanissimo e comprese che regnare non è che una lunga tortura imposta al mondo: non esiste segno più diretto del potere. Faceva sbranare dai cani gli avversari, divorare i monaci ribelli da orsi selvaggi tenuti in gabbia, stuprava ragazze e donne sposate, e si vantava di aver abusato di più di mille vergini, massacrava chi si rifiutava di danzare con lui ad un ballo mascherato, fece arrostire i corpi degli abitanti di Novgorod, li fece legare alle mani e ai piedi, stringere i figli alle madri e gettarli nel fiume, mentre i suoi uomini in barca trapassavano con le lance coloro che risalivano a galla, tagliava a strisce la pelle degli interrogati».
Nonostante ciò, andava in pellegrinaggio in molti conventi inoltrandosi nelle zone più impervie della Russia per chiedere la benedizione di quei religiosi che erano avvolti da un’aura di fama e di santità; formò una guardia di seimila uomini che gli giurarono fedeltà, come se la giurassero a Dio, con le stesse parole del Vangelo: “Chi ama padre e madre più di me, non è degno di me; e chi ama figliolo e figliola più di me, non è degno di me”. Dio era, per Ivan il Terribile, solo il Giudice, il Persecutore: anche l’atto estremo della sua bontà, Gesù crocifisso per mondare i nostri peccati, non era un gesto di crudeltà sovrumana? L’imperatore, che era riflesso di Dio in terra, doveva imitarlo. Così scriveva: «Non vedi come l’apostolo ordina di salvare con la paura? Così anche tra i pietosi zar, nelle loro epoche, troverai molti crudelissimi castighi. Al governo dello zar, a motivo della follia degli uomini perfidi e malvagi, si addicono il terrore, la punizione, la repressione e il castigo supremo». Partendo da questi presupposti, breve è il passo che porta alla convinzione che chi non è capace di fermare e punire il male sulla terra non è degno di essere uno zar.
Fedele alla sua incredibile personalità, trasformò il palazzo reale in un convento e le sue guardie in monaci. Si svegliava ogni mattina alle tre per andare alla messa, durante la quale si prostrava davanti alle icone, pregava e cantava, sbattendo ripetutamente la testa sulle lastre del pavimento al punto che gli si formò una vistosa callosità sulla fronte. Durante la messa vestiva sempre di nero con in dosso una tunica nera, con una corda che gli cingeva forte la vita ed una croce di legno che gli scendeva sul petto.
Accompagnato dai suoi deliri religiosi, imponeva la sua moralità ai sudditi: era bandito chi ballava o batteva le mani durante le riunioni pubbliche, condannava alle pene dell’inferno, come se fosse lui stesso Dio in terra, i suonatori di tamburello e di tromba, chi si accompagnava a cani domestici, a uccelli o orsi ammaestrati, chi giocava a scacchi o tric-trac, chi indossava abiti a suo dire strani e chi aveva la bella idea di tagliarsi la barba o i capelli.
Ivan il Terribile fu eccelso in ogni sua manifestazione, senza estremi e, quindi, senza limiti alla sua forsennata idea di distruzione. Fedele alla sua personalità bizzarra ed apocalittica, aveva la passione per le lettere dove, anche lì, dimostrava la sua maestria e la sua competenza di uomo colto che conosceva la Bibbia.
Scriveva, come nessuno nella storia aveva mai fatto, agli altri sovrani, spesso per prendersi beffa di loro come nel caso del re di Svezia: «C’è noto che siete una famiglia di villan rifatti e non di sovrani perché quando i miei mercanti giungevano da voi con il lardo e la cera, tuo padre in persona, infilati i guantoni come un popolano, assaggiava il lardo ed esaminava la cera». O come quando propose il matrimonio, che fu respinto, alla regina Elisabetta d’Inghilterra: «Noi credevamo che tu fossi sovrana nel tuo Stato e governassi da te, e che tu stessa avessi cura del tuo prestigio di sovrano e degli interessi della tua terra. Ma, a quanto sembra, hai altre persone che governano in vece tua, e neanche si possono chiamare persone, bensì villani trafficanti, che non si curano delle nostre regali persone e del prestigio e degli interessi del paese, ma cercano unicamente il proprio tornaconto di mercanti. Tu invece rimani nella tua condizione di zitella, come una qualunque ragazza sempliciotta». Inaccettabile per il suo orgoglio, lui che “per volere di Dio era stato destinato al regno dalla nascita”. Amava dire: “Sono cresciuto per essere sovrano”.
Il suo simbolo del potere era un lungo bastone di legno con una punta d’acciaio che utilizzava pe colpire i torturati che affollavano i sotterranei. Le sue guardie a cavallo indossavano una tunica nera e sulle selle portavano una testa di cane e una scopa, perché i nemici dello zar dovevano sapere che sarebbero stati mangiati dai cani e i traditori spazzati via dall’impero.
Cosciente della sua terribile natura, ebbe a scrivere nel “Testamento”: «La mente mi si è coperta di croste, il corpo si è spossato, lo spirito soffre, si sono moltiplicate le piaghe corporee e spirituali e non v’è medico che le possa guarire. Per le mie infami azioni, sono fetido e immondo peggio d’un cadavere, tanto che un sacerdote, nel vedermi, mi oltrepassa con ribrezzo. Infatti i miei misfatti superano quelli di coloro che hanno peccato da Adamo in poi, e sono odiato da tutti. Sono stato insaziabile e dedito all’iracondia e al furore e molte altre incontinenze».
La fine fu spaventosa, come nemmeno la sua tremenda immaginazione avrebbe potuto sognare.
Un giorno del novembre del 1581 percosse la moglie incinta del figlio Ivan, le rimproverò di essere vestita in modo indecente; la picchiò così forte da farla abortire. Il figlio si lamentò con violenza e il padre accecato dal furore impugnò il suo lungo bastone e lo percosse selvaggiamente sulle spalle e sulla testa fino a ferirlo mortalmente. Prima di morire il figlio riprese coscienza e baciando la mano del padre mormorò: “Muoio da figlio devoto e da suddito sottomesso”. Quattro giorni dopo morì. Lo zar perse il senno, andava in giro urlando: “Oh me sciagurato, ho ucciso mio figlio! Ho ucciso mio figlio!". Per mesi non riuscì a dormire.
Tre vecchi ciechi gli raccontavano, ogni sera, favole e leggende, per far scendere il sonno sulla sua mente offuscata. Ma egli si alzava, girava nel palazzo parlando da solo.
Scriveva ai “famosissimi e santissimi monasteri”, e supplicava i monaci di “pregare, tutti insieme, o separatamente nelle proprie celle, affinché il Signore e la Santissima Vergine gli perdonassero la sua scelleratezza”.
Cominciò a scrivere gli elenchi di tutti coloro che aveva messo a morte, 3.148 in un elenco e 3.750 in un altro, annotando i supplizi. Ripercorse così in tutte le sue fattezze le bestialità e i crimini commessi facendo recitare preghiere di suffragio per i defunti, sperando di affievolire i sensi di colpa.
Il suo corpo si gonfiò, i testicoli doloravano, le pelle si lacerava a brandelli: emanava un fetore ripugnante. Quando gli annunciarono che una cometa con la coda a croce era apparsa nel cielo di Mosca, indossò una pelliccia e si fece accompagnare nella notte. Contemplò a lungo il cielo, fissò la cometa e mormorò: «Ecco il presagio della mia morte!».
Fece chiamare a Mosca astrologi, indovini, sciamani. Ne giunsero una sessantina, che furono rinchiusi in un palazzo. Stabilirono che la morte dello zar sarebbe avvenuta il 18 marzo 1584. Ivan il Terribile, tanto per non smentire la sua fama disse che, se la predizione non si fosse avverata, li avrebbe fatti bruciare vivi.
Negli ultimi giorni di esistenza si faceva trasportare nella sala del Tesoro, dove contemplava gli smeraldi, i diamanti, gli zaffiri, i rubini che faceva scivolare tra le dita. «Sono tutti doni di Dio, segreti nella loro natura – diceva – ma Dio li rivela perché l’uomo li usi e li contempli come amici della grazia».
Giocava a scacchi volentieri, si vantava, ma non poteva essere altrimenti, che per tutta la vita aveva sempre vinto.
Giocò a scacchi anche il 18 marzo, il giorno della morte prevista. Credeva di aver ingannato il destino, quando di colpo cadde morto con la testa sulla scacchiera, facendo rotolare a terra il re e la regina.
Quella lunga storia di delitti e di follie era finita come il romanzo di uno scrittore fantasioso. Non restava che un corpo gonfio e putrefatto; un corpo che, qualche giorno dopo, venne consacrato monaco e sepolto col nome di fratello Giona.

(Articolo di Mariangela Bentivoglio, pubblicato su Orizzonti n. 14)

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