| CORRADO CALABRÒ - «C’è un’affermazione bellissima che dice: “Le poesie crescono ai poeti come la barba sulla faccia dei morti”. Non si decide a tavolino quando scrivere dei versi (per la narrativa probabilmente è un po’ diverso, lì la materia richiede una struttura e la definizione di un progetto). La poesia, invece, è qualcosa di profondamente emotivo, che s’impossessa del poeta dettando le sue regole quando meno egli se lo aspetta. Bisogna soltanto avere la disponibilità di attendere e l’umiltà di abbandonarsi all’ispirazione.
Partiamo da un’osservazione di fondo. La poesia è una Musa ritrosa, che non ama indugiare. Ma quando viene, viene con una spinta tale per cui non posso assolutamente sottrarmi. Sul momento cerco di resistere, un po’ perché quel tipo di emozione mi stravolge la giornata, un po’ perché mi sono accorto che la poesia non vuole essere incalzata. Va corteggiata con misura, con intelligenza, con astuzia. Con garbo. Ama essere Lei a scegliere il momento giusto, e quando arriva, ti reclama con tutta la sua irresistibilità.
La poesia richiede indubbiamente un momento razionale di sistemazione e di ordine. Ma deve possedere anche quella qualità di sensitività e di stupore per cui, come dice Vico, non c’è vera arte se non c’è meraviglia. La poesia viene da un livello dell’essere che io definisco “pre-conscio”, che passa soltanto poi attraverso i filtri, pur restandone di natura completamente diversa. Da qui l’errore di alcuni critici quando fanno della poesia un discorso maieutico basato su riferimenti e citazioni. Quello è un discorso intorno alla poesia, non “dentro”, perché la poesia ha un’anima dionisiaca, ben lontana dalla razionalità socratica che vorrebbe invano definirla e catalogarla».
(Dalla rubrica "Consigli d'Autore", Orizzonti n. 40)
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