| ENRICO BRIZZI: «Se l’idea della scrittura è quella di un bacio mistico che raggiunge soltanto alcuni geni benedetti dal cielo, è fatale pensare che anche questi geni alternino momenti di assoluta creatività, a momenti in cui sono uomini comuni, senza nessuna particolarità in più di altri. Si accetta quindi l’idea che esista tanto la grande ispirazione quanto il blocco. Per me, che da molto presto ho vissuto la scrittura come una pratica quotidiana, credo che questa visione sia un po’ malata, rispetto alla mia esperienza e a quello che in generale vedo succedere. Più lavori, più è facile portare in qua quello che ti interessa portare in qua. Mi spiego meglio: esiste oggettivamente un punto in cui il libro è finito. Quando senti che la lava ormai si è raffreddata… beh, la statua è quella. Se hai lavorato male, si raffredda uguale. Questa è in sintesi l’ansia buona che io avverto in me tutti i giorni e mi porta a pensare che la questione non sia non riuscire a scrivere. Gli umori sono cose umane, noi non possiamo in nessun caso farci nulla se variano. Bisogna abbandonare le visioni mistiche dell’artista da una parte e l’artigiano dall’altra: il primo disegna i fiori a puntini, l’altro è un imbecille con la pialla. Io credo che perfino il musicista più innovativo sulla piazza, al di là di cosa racconti poi al suo ufficio stampa, faccia quello che fa l’artigiano con la pialla. L’arte e la bellezza che ne può nascere derivano dai muscoli che lavorano una data materia. Nella fattispecie, la materia per assurdo è immateriale, i muscoli invece non hanno nulla a che fare con quelli veri, delle braccia e delle gambe, piuttosto sono la capacità di restare concentrati su quello che si sta facendo – e di restarlo per tutto il tempo necessario. Dentro questa cosa, dentro questo impegno, le verità affiorano alla superficie, ma soltanto a forza di duro lavoro. Questa è l’unica mia certezza».
(Dalla rubrica "Consigli d'Autore", Orizzonti n. 40)
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