| Se la canzone d’autore italiana dà segni di un ritrovata vitalità, questo è anche merito dei “La Crus” da poco usciti col loro ultimo lavoro “Crocevia” (che è anche il titolo del libro pubblicato dal gruppo), un cd di cover che rappresenta un omaggio ai grandi autori della canzone italiana come Battisti, Gaber, Conte, De Andrè, Fossati, Tenco e Patty Pravo: frammenti di memoria non solo per i “La Crus”, ma per tutti i veri amanti della musica. Giunta al suo quarto album, la band si presenta ancora una volta in una fase sperimentale, che rifiuta di cristallizzarsi nella ricerca musicale, evolvendosi verso nuove sonorità.
I “La Crus”, il cui nome deriva dalla parola milanese “cròs”, vale a dire croce, che si pronuncia “cruz” appunto, sono legati principalmente ai nomi di Mauro Ermanno Giovanardi e Alessandro Cremonesi, le due vere anime della band. Il primo, conosciuto come Joe, è il cantante del gruppo e in passato ha fatto parte di band come “Unknown Scream”, “Sir Chime &The Lovers” e dei “The Carnival Of Fools”. Alessandro Cremonesi, invece, è l’elemento “nascosto” dei “La Crus”, ma è stato lui ad aver gettato il seme del progetto e ad avergli dato un nome. Raramente viene fotografato, non sale sul palco, non rilascia interviste, non ama mostrarsi: fortunatamente, per il lettori di “Orizzonti” ha fatto un’eccezione,
Ecco cosa ci hanno detto Joe e Alex.
Domanda – Qual è il genere che ha più influito nella vostra formazione musicale?
JOE – Noi siamo cresciuti con la generazione musicale del post-punk, per cui la nostra genesi è nata da lì. Verso i 17-18 anni abbiamo vissuto in pieno il fenomeno del punk, che ha fatto tabula rasa di tutto quello che c’era prima: ad esempio i “Sex Pistols” sono riusciti ad offuscare per un po’ di tempo i “Rolling Stones” e i “Led Zeppelin”. Noi fummo quindi affascinati da questo movimento di ribellione che voleva ricominciare tutto da capo. Anche perché per fare punk non c’era bisogno di essere dei grandi musicisti o avere un grande contratto discografico: bastava prendere gli strumenti e suonare.
Rimanemmo anche noi affascinati da queste ideologie a tal punto che volevamo annientare tutto ciò che c’era allora in Italia, come Guccini o la Pfm, perché ritenevamo che bisognava iniziare tutto da capo in campo musicale. Ad un certo punto della mia crescita artistica, però, sono passato dal punk ad autori come Nick Cave, per poi arrivare a sentire “Angela” di Luigi Tenco. A quel punto ho capito che in realtà la musica non era tutta da buttare, ed ho così iniziato un lavoro di recupero a ritroso d’autori che erano stati importanti per la musica italiana.
Fin dall’inizio, quindi, la sfida dei “La Crus” è stata quella di far convivere il nostro background, che era quello della musica con la quale eravamo cresciuti, con il meglio della canzone d’autore italiana.
Domanda – Cosa rappresenta per voi “Crocevia”?
JOE – “Crocevia” è un luogo magico di possibili incontri, dove strade diverse, vale a dire le poche diverse dalle quali arrivano le canzoni dell’album, s’incrociano nello stesso luogo e danno origine alla musica che è dentro di noi. Da questo progetto musicale è venuto fuori anche il libro, che ci rappresenta molto, perché al protagonista accadono una serie di vicende che sono un pretesto per fare un viaggio nella nostra memoria. Questo dà il via ad una serie di riflessioni, ragionamenti, ricordi su cose fondamentali per noi dal punto di vista esistenziale.
Domanda – Ci sono legami tra il libro e l’album?
ALEX – Il legame c’è solo in una parte del libro ed è esplicito, perché ci sono i testi delle canzoni contenute nel cd.
Domanda – Perché avete deciso di allegare al libro anche un cd-rom dov’è contenuto il vostro video?
JOE – L’idea del cd-rom ci è venuta perché la cassetta ci sapeva troppo di edicola, mentre il dvd non è ancora di largo uso. Alla base di questa scelta c’era la volontà di fare un mix d’esperienze artistiche diverse, facendo convivere insieme musica, scrittura e cinema.
Domanda – Quanto il libro è aderente alla vostra realtà?
ALEX – È un romanzo vero, nel senso che molti fatti e personaggi sono veri. Questo però non è importante, perché, come nelle canzoni, la cosa che noi volevamo mettere in evidenza era l’aspetto esistenziale e non quello materiale.
Domanda – Nell’album “Dietro la curva del cuore” c’è una poesia scritta da Claudio Galluzzi. Ci potete dire chi è e perché avete pensato di mettere una sua poesia nel disco?
JOE – Claudio Galluzzi era un amico carissimo, che tra l’altro era stato direttore di “Pulp”, la rivista di letteratura: è stato lui a spingermi a scrivere in italiano, perché io all’inizio cantavo solo in inglese. Purtroppo, è morto proprio nei giorni in cui avevamo iniziato il lavoro per “Dietro la curva del cuore” e pertanto mi è venuta l’idea di usare questa poesia per rendergli un ultimo omaggio che tra l’altro leggiamo anche prima di ogni concerto.
Domanda – Perché avete deciso di creare un forte connubio tra poesia e musica nelle vostre canzoni?
JOE – Semplicemente perché la poesia è la cosa che si avvicina di più alla canzone vera.
Domanda – Come si svolge il vostro rapporto di collaborazione?
JOE: Noi abbiamo una collaborazione specifica: Alex produce molte cose che poi viene a propormi. La maggior parte delle sue idee gliele boccio, mentre dal resto nascono le nostre canzoni. È un rapporto che funziona: non siamo mai andati in disaccordo, perché per entrambi la cosa fondamentale sono i risultati. A me non interessa che nei nostri dischi ci siano più cose mie o sue. L’importante è che quello che viene fuori ci soddisfi.
Domanda – Qual è il disco che vi ha dato più soddisfazione nella realizzazione?
JOE: Forse “Dietro la curva del cuore”, perché è un disco d’amore, che rappresenta un’altra nostra piccola sfida e che ha visto un qualcosa di nuovo nel nostro percorso musicale. Avremmo benissimo potuto fare altri dischi come “Dentro me”, però in questo caso saremmo stati designati definitivamente come gruppo “spleen” per eccellenza e quindi avevamo paura di non riuscire a staccarci più quest’etichetta di dosso. Magari non era figo parlare delle cose di ogni giorno, però per noi era importante andare in quella direzione, vale a dire verso una maggiore semplicità.
Molto spesso è più facile parlare di turbamenti esistenziali, dolore, sofferenza, che non parlare di felicità o di gioia. Per questo ci siamo chiesti: perché non parlare di qualcosa che facciamo tutti i giorni? Questa è la strada verso cui stiamo andando.
(Articolo di Giulio De Angelis, pubblicato su Orizzonti n. 17, sett-ott 2001)
Diventa nostro amico su facebook
http://www.facebook.com/rivistaorizzonti
Seguici su twitter
www.twitter.com/rorizzonti
|