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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

La cineteca dimenticata - Le quattro giornate di Napoli

di Rivista Orizzonti

Di Nanni Loy, ideatore di commedie di “costume” (come si diceva una volta) e di satira sociale di gusto piuttosto pungente, amante di certo realismo disadorno e disarmante (storiche le sue trasmissioni televisive con telecamera nascosta), si sapeva anche, lui sardo, profondo conoscitore e appassionato di “napoletanità”. Infatti brillano di Loy, nel corso degli anni, personaggi e storie intessute di umori partenopei, ora spassosi ora amari, che han reso quasi proverbiali quei fatti e quelle figure (“Mi manda Picone,” “Caffé express”, “Scugnizzi”). Tutto questo sempre nell’ambito, dicevamo, della commedia e del sorriso. Ma il nostro, felicemente adottato da Napoli e dalla sua gente, volle e seppe ad un certo punto rendere omaggio alla storia “seria” della città con un film che è rimasto perla unica e irripetibile. Parliamo delle “Quattro giornate di Napoli” (1962), resoconto tragico e appassionato della rivolta popolare contro l’occupazione tedesca che, attraverso mille episodi di anonimi e dimenticati eroi, arrivò a sconfiggere e a cacciare da Napoli le armatissime e feroci truppe naziste. Mai come in questa storia e in questo film è d’obbligo parlare di autentica epopea napoletana. Ma nel film di Loy, sulle tracce dell’eroismo e dei sacrifici di sangue di gente rimasta anonima (tranne il ricordo per il dodicenne Gennaro Capuozzo, medaglia d’oro, a cui è dedicato il film), non c’è traccia di trionfalismo o di retorica alcuna. I fatti, gli episodi, la rabbia e il coraggio di alcuni eroi improvvisati (uomini, donne, ragazzi e financo bambini) sono rievocati con la verità la schiettezza e lo spirito che è il tributo doveroso verso un popolo, una collettività intera (che si disse sempre indolente e pigra) che miracolosamente cercò e conquistò la sua libertà con la spontaneità di una rivolta generale, non indotta né politicamente manovrata e senza aiuti esterni, col disperato sorprendente valore di chi finalmente dice basta ai soprusi e alla crudeltà. E questo spirito, di tutta una collettività insorta, Loy seppe far suo e vivacemente rievocare in un film che è reale e autentico quasi come un documentario eppure frammentato da un mosaico umanissimo di piccoli fatti e figure poi amorosamente ricomposti in un affresco intenso, serrato. Giustamente il regista, d’accordo con gli attori (una moltitudine!), decise che ognuno partecipasse in anonimo al film perché il protagonista assoluto era la città, la gente, Napoli. Naturalmente nello svolgersi degli episodi gli attori che si alternano sono riconoscibilissimi (Jean Sorel, Gian Maria Volonté, Lea Massari, George Wilson, Frank Wolff ecc.), ma ancor più commovente è la folla di attori e caratteristi napoletani, alcuni più celebri, altri molto meno, confusi alla gente in rivolta che qui voglio e debbo ricordare (impossibile elencarli tutti!): Pupella e Rosalia Maggio, Aldo Giuffré, Enzo Cannavale, Enzo Turco, Luigi de Filippo, Eduardo Passarelli, Carlo Taranto, Franco Sportelli, Regina Bianchi e tanti altri ancora... Una folla di nobilissimi commedianti che verosimilmente seppero incarnare, come sulla scena, sangue e umori della loro città e della sua antica umanissima storia.

(Articolo di Luigi M. Bruno, pubblicato su Orizzonti n. 38)

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