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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
 -

FABRIZIO DE ANDRČ, UN DIALOGO - Tra pause e silenzi, piccoli gesti e grandi sensazioni, un inedito ricordo del cantautore

di Rivista Orizzonti

Dicono che per trovare il posto giusto dove stare non basta una vita. Che sono pochi e fortunati quelli che, aiutati da sogni, da presagi, ritrovano la strada. Oppure piena di tante distrazioni consapevoli, di defezioni dalle cose che – chi più chi meno, ma comunque quasi tutti – crediamo importanti: il denaro, l’amore, il cielo, travestiti di volta in volta nella priorità del momento.
E probabilmente il suo posto giusto è davvero qui, in uno spiazzo di terra riportata in caduta su uno stagno che non è mai riuscito a riempire i pesci. Come una parte verde che scende da dietro e confonde chi guarda da lontano. Perché quelli che vede giù in fondo non sono più alberi, ma foglie di edera che ricoprono una casa di granito. Vive lì – in una parte di Sardegna che potrebbe essere indifferentemente Africa o Scozia – gran parte dell’anno. Dice che lo rigenera e gli dona quello che ama di più: la solitudine.
E infatti qualcuno lo aveva notato che c’era qualcosa di diverso, di inaspettato, di pericolosamente mistico, nel suo ultimo lavoro. già dal titolo: “Anime salve”, tradotto a scanso di equivoci dallo stesso autore con “spiriti liberi”. E quell’accenno alla solitudine, “così dolorosa, ma così consolante”, lasciato cadere nel mezzo di un discorso in quella fine di settembre, aveva il sapore e il suono di cui parla da lontano. Tranquillo. Come la pace dopo la litigata furibonda o lo spegnersi di un pianto lungo, di quelli che lasciano la gola secca.
Il cielo sopra l’Agnata – azienda agricola, agriturismo, casolare sperduto perfetto per sequestrare, ma anche nascondere le persone dalla furia dello spazio esterno – è estivo, ma pieno di segni che vengono da occidente, presentimenti dell’arrivo dell’inverno. Come il raffreddarsi del libeccio che qui soffia sempre, stacca pezzi di terra, li accompagna in mare, li porta lontano e li trasforma in isole solitarie. Non c’è il numero sull’elenco telefonico, non è facile da trovare, ma quando si dice all’azienda di promozione turistica di Tempio Pausania che si sta cercando un agriturismo di cui non si sa il nome, regolarmente si viene interrotti, lo sanno loro: è quello di Fabrizio De Andrè.
È arrivato prima di pranzo, insieme a Dori, in traghetto da Genova. Ci sono una decina di persone che hanno prenotato, e tutti, con discrezione, lo vanno a salutare appena finito di mangiare. Gli portano notizie, storie, consigli anche. Qualcuno si sente così in confidenza da non lasciarlo parlare. Altri, più emozionati, restano lì, e non sanno cosa dire. Fabrizio sta in cucina a dare una mano alle cuoche. Sbuccia cipolline e fuma. Infila le dita dentro, le sfoglia e le getta in una pentola. Alza lo sguardo meno spesso di quanto il lavoro richieda, come se quella piccola attività manuale lo aiutasse a trovare il filo dei pensieri.
“Se sono anarchico? (infila, ndr) E chi lo sa? Chi sa se lo sono mai stato (sfoglia, ndr). Io a questa consapevolezza, ammesso che adesso sia davvero convinto, ci sono arrivato tardi: avevo già trent’anni. Probabilmente sono stato molto più lento di quanto la gente pensi. (getta nella pentola, ndr). Ci sono gruppo di ragazzi e ragazze che vivono in comunità cercando di farsi bastare quello che coltivano o quel poco di soldi che arrivano da collanine o sacche che cuciono loro (alza gli occhi, ndr). Deve essere difficile… essere anarchici così… Per me lo sarebbe. Ma ognuno ha una strada che gli è congeniale”.
È in forma, Fabrizio. Dimagrito, tonico. “Ho nuotato tanto quest’estate, mi sono riposato e ho condotto quella che si dice una vita sana. Mi preparo alla tournée nei teatri. È dura, è una cosa che mi impegna moltissimo, mi toglie energie. Ne farei a meno, ma ho bisogno di pagarmi i lavori che sto facendo qui: delle camere per gli ospiti. Vorrei riappropriarmi di casa mia!”.
Casa sua. La stessa dove l’Anonima li aveva rapiti, lui e Dori. Sono entrati dalla porta di fronte al tavolo di pietra che sta sotto un pergolato e se li sono portati. Ora le vetrate sono aperte e bucano i rampicanti che partono dal prato tagliato di fresco, avvolgono la casa e la rendono parte integrante del tutto.
“Sì, il sequestro. Ne ho parlato così tanto, ho chiarito tante di quelle volte che io non ce l’ho con i miei carcerieri, dei poveracci che hanno rischiato tutto e hanno passato mesi di inferno. E alla fine, anche se fosse andata bene, quanto si sarebbero messi in tasca? Una miseria, in confronto a quella fatica. Tanto meno ce l’ho con i sardi… Addirittura ho l’impressione ogni tanto di marciarci anche un po’, su questa storia del rapimento. La gente di qui si sente così in colpa per quello che ho subito, che sente di doversene scusare in continuazione. Mi fanno favori, mi trattano come un eterno ospite d’onore. E questo fa sì che io continui a stupirmi del loro cuore straordinario”. Sigaretta. “Ho sofferto molto per quello che sta accadendo a Dori in questi giorni. Dopo tutto ero io quello ricco, era mio padre che aveva i soldi. Che cosa c’entrava lei? E poi mi faceva soffrire anche il fatto che io stavo vivendo quell’esperienza come un percorso di conoscenza. Voglio dire che al limite poteva anche starci per me quella cosa lì. Poteva rientrare in una mia visione personale, poetica in un certo senso. In certi momenti, ma soprattutto in seguito, l’ho vissuta quasi come una scelta intellettuale e consapevole. Durante la prigionia imparavo quanto fosse importante non avere freddo, non avere fame, poter dormire. E così si cresce. Inevitabilmente. Ma perché imporla a Dori? Perché doveva passare anche lei attraverso tutto questo?”.
Dalla casa arrivano le note di una canzone di Cristiano De Andrè. Si ha l’impressione che qui non si ascolti altro. “Lo so che per lui non è facile con questo cognome. Ma è bravo, è un musicista molto più preparato di me, deve solo stare più attento ai testi, ma con gli anni… D’altronde lo capisco, non ha tempo: le donne gli corrono dietro… per forza: è bello. Mia figlia Luvi invece ha una superiorità e un distacco che le sarà utilissimo nella vita: riesce dove vuole riuscire senza affezionarsi troppo alle cose che fa. Se ne frega. E fa bene”. Ride, ride di gusto.
Il mondo di far sera all’Agnata è così discreto che bisogna farci caso apposta. Anche se il sole non c’è già più, la luce rimane a lungo sulla terra che si rinfresca. Guarda verso la collina dietro la casa e dice più a chi lo ascolta che a se stesso, perché sarebbe inutile ripeterselo per l’ennesima volta: “Chi vive qui è costantemente in pericolo. Rischia di essere svuotato di ogni certezza. Ci si perde in questo paesaggio ipnotico, con questo profumo continuo, che c’è con sfumature diverse tutto l’anno, a metà strada tra la liquirizia e la marijuana. Restano ben pochi appigli in questa distesa di solitudine così dolorosa e così consolante”. E poi ultimo paradosso per lui che della musica ha sempre vissuto: “Importante è il silenzio”.
Di lì a poco incomincerà la tournée, la seconda fase dopo un primo assaggio di prova. Il programma è già stabilito: dopo due mesi, pausa termale per riposare la voce, e poi l’ultima fase. Di seguito, e questo lo impensierisce molto, dovrà rispettare delle scadenze per i prossimi album.
“Ora vado da Dori. Ha avuto un piccolo incidente domestico e si è tagliata con un vetro. Vado a vedere come sta”.
E se ne va con un sorriso trattenuto, quasi tutto con gli occhi. Le labbra, stringendosi, gli danno un’espressione a metà strada tra la timidezza e la furbizia. Ma tutto con dolcezza infinita.
Vai, spirito libero. Buon lavoro. E grazie, grazie di tutto.




Nota: L’incontro è avvenuto in Sardegna nel settembre 1997.
È evidente che, di tutto il dialogo, sono state riportate solo le cose pubblicabili. Le altre, insieme alle pause, ai silenzi e a tanti piccoli gesti e consigli che considero regali, ho deciso di tenerle per me. Come un tesoro, come un’offerta al grande spirito perché la sua partenza sia a me un po’ più dolce e a lui, forse, un po’ meno seriosa.

(Articolo di Dario Olivero, pubblicato su Orizzonti n.9, mar-apr 1999)

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