| “De Granada a la luna” è il titolo del viaggio musicale e cinematografico , ispirato alla vita e all’opera di Federico Garcia Lorca, realizzato in Spagna nel centenario della nascita del grande poeta Andaluso. Un doppio cd, dodici piccoli film riuniti in un video di cento minuti e un cd-rom interattivo rappresentano la fatica di artisti di tutto il mondo (tra cui Robert Wyatt, John Cale, Neneh Cherry e Michael Nyman) che, sotto la guida del regista Josè Sanchez Montes, hanno voluto offrire quest’omaggio a Lorca, nato a Granada il 5 Giugno 1898 e assassinato a Viznar dai franchisti il 19 agosto 1936.
“De Granata a la luna” ripercorre le tappe principali della vicenda umana del poeta, la sua infanzia campagnola a Fluente Vaqueros, l’esperienza universitaria presto interrotta, il suo soggiorno madrileno presso la Residencia de Estudiantes dov’entra in contatto con Dalì, Bunuel, Moreno Villa, Jimenez, i viaggi in America, la prematura fine. Una lettura, insomma, “moderna” di un autore la cui attualità rimane sempre viva a dispetto degli anni, e in misura maggiore rispetto ai suoi pur grandi contemporanei (primi tra tutti Jimenez e Machado). Ma quali sono i motivi di questo primato? Non esistono dubbi sul fatto che la figura di Lorca, assassinato nel fiore degli anni e, soprattutto, nel pieno della sua stagione poetica, continui ad esercitare tutt’oggi un fortissimo richiamo romantico sul pubblico. Il suo successo straordinario ha finito “per far coincidere la sua poesia con l’immagine stessa della Spagna” (Carlo Bo) ed è proprio in questo senso che la sua morte suggella, di fatto, la chiusura di un periodo felice della lirica spagnola.
Il rumore della leggenda, tuttavia, rischia di far passare in second’ordine quelli che sono i veri pregi dell’opera di Federico Garcia Lorca, voce poetica tra le più originali di tutta la letteratura europea contemporanea. Un’originalità non costruita nel tempo ma insita già fin nei primi timidi componimenti, nelle impressioni ricavate dall’incontro con la realtà che lo circondava. Già da allora si delinea quel particolarissimo paesaggio dell’animo lorchiano, tracciato con linee semplici e innocenti, in cui il poeta ancora non dice, ma balbetta proprio come un bimbo che non sa ancora parlare.
Sorge spontaneo il confronto con la semplicità di Paul Eluard, il poeta francese a lui contemporaneo, e che però si rivela subito ben diversa in quanto espressione del rifiuto tout-court dello stile letterario dell’epoca, mentre la semplicità di Lorca è autentica, nativa. Proprio da questa semplicità, insieme alla facilità - e capacità- di sorprendersi continuamente, prende inizio l’avventura lirica del poeta granadino. Non a caso il primo libro, pubblicato all’età di vent’anni, si intitola “Impresiones y paisajes” ed è un libro di prose ricavate da alcuni suoi viaggi in Spagna. Vi è contenuto, “in nuce”, il principio dominante della poesia lorchiana, quell’osservazione istintiva delle cose a cui subito dopo segue, con altrettanta istintività, l’atto del prenderle e farne materia d’arte. “La poesia è un fuoco”, egli ebbe modo di dire più volte, per spiegare l’urgenza che sempre aveva di plasmare la sostanza incandescente che si ritrovava per le mai una volta catturata l’immagine esterna. Ed ancora, nella famosa conferenza su Gongora, egli afferma che il poeta che sta per fare una poesia ha la vaga sensazione di andare a una caccia notturna in un bosco lontanissimo. Un timore inspiegabile gli entra nel cuore. Per rasserenarsi conviene sempre bere un bicchiere d’acqua fresca e tracciare con la penna qualche segno nero senza significato.
Quant’è distante questa concezione da quella purista di Jimenez, ma anche da quella di Machado, i cui personaggi rimanevano distaccati dall’io narrante del poeta! Con Lorca entra in scena il poeta-personaggio, che si tuffa per intero nel mare delle sue evocazioni, create dal lavorio costante di trasformazione delle impressioni in poesia. Ben si vede come, se evoluzione in senso letterario c’è in Lorca, questa non viene mai subordinata all’acquisizione di uno stile particolare; in Lorca l’unico criterio possibile resta quello della funzione naturale che precede sempre le ragioni di ordine stilistico.
Così, quando sentì l’esigenza di passare dal componimento breve al poema (si pensi al Romancero gitano) egli ha avuto soltanto la necessità di individuare un recipiente adatto a contenere un’ispirazione che richiedeva un impegno stilistico non maggiore, ma soltanto diverso. La maturazione umana di Lorca rappresenta quindi, in definitiva, il solo metro possibile per poterne interpretare l’opera. È una maturazione sofferta, segnata dal suo graduale esportarsi dalla realtà provinciale in cui ha mosso i suoi primi passi alla vita della capitale, fervida di nuove esperienze culturali, e poi ancora ai viaggi oltreoceano che lo faranno incontrare con la grande realtà americana. È nel corso di questo incontro che Lorca, il quale in fasi successive ha fatto, sue, correnti come il titanismo, il modernismo e il surrealismo, ritrova le radici collettive della poesia. Animato da questo sentimento di cosmopolitismo, resogli più facile dal confronto simultaneo con un crogiolo di razze diverse qual è quello newyorchese, egli scopre l’uomo emarginato dentro la società del potere e del denaro. In quest’uomo Lorca, perduti ormai tutti i vincoli che lo apparentano alla propria nazione, al proprio mondo culturale, finisce con l’identificarsi, canalizzando in lui i migliori suoi spunti d’ispirazione e giungendo a dire che “non ci si può affidare alle reazioni liriche senza aver conosciuto le persone”. Egli punta adesso su una forma di evocazione generale, nella speranza, forse, di approdare un giorno a un’immagine naturale dell’uomo senza confini precisi, ove per questi si intendano barriere nazionali o, tanto meno, politiche.
“Sono uno spagnolo integrale” proclama infatti “e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici ma odio chi è spagnolo per essere soltanto spagnolo. Sono fratello di tutti ed esecro l’uomo che si sacrifica per un’idea nazionalista astratta per il solo fatto che ama la propria patria con gli occhi bendati. Il cinese buono mi è più vicino dello spagnolo cattivo. Canto la Spagna e la sento fin dentro le midolla, ma, prima di questo, sono uomo del mondo e fratello di tutti”.
È il periodo dell’impegno civile di Federico Garcia Lorca, il quale nel 1931 dà vita alla “Baracca”, un teatro del popolo gratuito che gira per far conoscere i capolavori letterari spagnoli. Ed è anche la fase finale della breve esistenza del poeta, che pagherà con la vita, e tra le cui ultime dichiarazioni, quasi un presentimento della morte imminente e, insieme, della catastrofe bellica che sta per abbattersi sul mondo, vi è la seguente: “Siamo chiamati al sacrificio. Accettiamolo. Nel mondo ormai lottano non più forze umane ma forze telluriche. Per me, se si mettono su una bilancia il risultato di questa lotta: da una parte il tuo dolore e il tuo sacrificio e dall’altra la giustizia per tutti, pur con l’angoscia del passaggio a un futuro che si preavverte ma si ignora, ebbene metto la mano con tutta la mia forza su quest’ultimo piatto”.
(Articolo di Giuseppe Ruggieri, pubblicato su Orizzonti n. 9 mar-apr 1999)
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