| Bolognese, classe 1960, Carlo Lucarelli ha dovuto scrivere ben 12 libri in 7 anni prima di trasformarsi da autore cult per gli appassionati del genere noir in vero e proprio caso letterario. Scintilla della metamorfosi è il suo penultimo romanzo, «Almost blue», storia di un ragazzo cieco e una poliziotta che danno la caccia a un serial killer, l’Iguana.
Domanda – Romanzo che presto approderà sul grande schermo.
LUCARELLI – Sì, la Primex del regista Alex Infascelli ha comprato i diritti cinematografici, e stiamo lavorando alla sceneggiatura. Inoltre, ho venduto alla Fandango i diritti di un altro mio libro, “Lupo mannaro”. Anche questa è la storia di un poliziotto che cerca di scoprire l’assassino di una serie di prostitute ed è tratto da un caso realmente accaduto a Modena e tuttora irrisolto.
Domanda – Il giovane ispettore Grazia Negro in «Almost blue», la trilogia del commissario De Luca («Carta bianca», il suo libro d’esordio, «L’estate torbida» e «Via delle Oche») e poi altri. I suoi eroi sono sempre poliziotti?
LUCARELLI – Sì, mi piace la figura del poliziotto: è un personaggio ambiguo, un anti-eroe molto intrigante. De Luca, per esempio, è sì quello che scopre la verità, ma è un organo della polizia politica del regime fascista. «Falange armata»(pubblicato in Francia da Gallimard, ndr), invece, è una rivisitazione del caso della Uno bianca. E poi mi piacciono i lupi, cui ho dedicato due libri: «Lupo mannaro» e «Il giorno del lupo».
Domanda – Perché ha scelto di far muovere De Luca durante il fascismo, un periodo storico che certo non le appartiene?
LUCARELLI – Lo trovo un’epoca molto interessante da raccontare, una specie di far-west italiano. La mia tesi di laurea era sul fascismo, ma documentarmi non è stato facile: ci ho messo un anno, parlando con i testimoni sopravvissuti e rovistando nelle biblioteche. Temevo di dover affrontare lo stesso calvario quando ho cominciato «Guernica» (1996), sulla guerra civile in Spagna, ma ho avuto fortuna: ho incontrato uno storico spagnolo che in due settimane mi ha raccontato tutto.
Domanda – Quasi tutte le sue storie si svolgono a Bologna, ma è una Bologna che cambia…
LUCARELLI – Certo, perché la città non è uno sfondo: è un personaggio con la sua psicologia, e come tale va trattata. La Bologna di «Almost blue» è contemporanea, schizzata, strana, mentre la Bologna di De Luca è quella dura e chiusa della guerra e del dopoguerra. E poi anche il diverso stile narrativo influisce: in «Almost blue» è più sperimentale, sfumato, suggestionato dalla musica piuttosto che dalla letteratura o dai documenti storici.
Domanda – Come le è venuto in mente il racconto di un cieco, Simone, chiuso nella sua mansarda con uno scanner?
LUCARELLI –Volevo scrivere una storia diversa sui suoni e le voci di Bologna. Un cieco era il personaggio adatto, ma per uno che cieco non è, dimenticare i riferimenti visivi è difficilissimo. Così, mi sono focalizzato sulla musica: e Simone, malinconico nella sua solitudine, ascolta «Almost blue» di Chet Baker che è la canzone più triste del mondo. Per Simone i colori hanno un altro significato: il blu è triste ma bellissimo, il giallo è il colore di uno strillo, il nero è il nulla e il vuoto. Il verde invece raschia e sibila: è il colore della cattiveria, della morte.
Domanda – Qual è il suo genere letterario: il poliziesco? Il thriller psicologico? L’orrore puro?
LUCARELLI – Io lo chiamo noir: una detective story incentrata su un mistero (che non deve essere per forza un delitto: il mistero più complesso è l’anima umana) e movimentata da un colpo di scena. I miei maestri sono Scerbanenco, Raymond Chandler e James Ellroy.
Domanda – Sta già lavorando al seguito di «Amost blue»?
LUCARELLI – Ci sto pensando. Vorrei scriverlo con gli stessi personaggi. Ma ambientato su un’autostrada, perché negli autogrill succede di tutto. Il problema è scegliere la musica: la poliziotta ascolterà Carmen Consoli, e l’assassino i Prodigy…
(Articolo di Federica Fantozzi, pubblicato su Orizzonti n. 9, mar-apr 1999)
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