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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
 -

Musica - «Sempre NOMADI». Un gruppo coraggioso, che ha saputo proseguire il proprio progetto musicale, anche dopo la morte del cantante, Augusto Daolio.

di Rivista Orizzonti

Intervista a Beppe Carletti – unico elemento della formazione originale nata nel 1963 – e al batterista Daniele Campani




Domanda – La vostra storia è stata raccontata in un libro, dal titolo «Sempre Nomadi».

B. CARLETTI – Questo libro, scritto da Massimo Cotto, racconta le vicende della nostra storia di Nomadi, ma anche, più in generale, della vita d’Italia, del mondo. Una storia di quasi quarant’anni: ci sono piccole cose, cose importanti, anche segreti, che ho sempre tenuto dentro e che poi ho creduto opportuno tirar fuori. Io non sono un critico, ma penso che sia un libro molto importante per i Nomadi, e per chi vorrà avere un’idea di quello che sono stati e sono i Nomadi.

Domanda – Come si fa a restare popolari tra la gente per tanto tempo?

B. CARLETTI – Basta vivere in tranquillità, essere semplici, coerenti. La semplicità, non intensa come una cosa da poco: tutte le persone più grandi sono sicuramente le più semplici.

Domanda – Avete pensato a come festeggiare questi quarant’anni?

D. CAMPANI – Con quaranta candeline sulla sorta…
B. CARLETTI – Noi non pianifichiamo molto; l’unica cosa che pianifichiamo sono i contratti discografici. Per il resto, quando ci propongono qualcosa, ci riflettiamo e poi decidiamo. Non abbiamo scadenze, poi manca ancora un anno. Però faremo sicuramente una grande festa, forse a Riccione.

Domanda – Tra gli obiettivi del gruppo, un posto importante lo detiene l’impegno sociale, realizzato concretamente, ancor prima che fosse un fenomeno di moda.

B. CARLETTI – Adesso, infatti, è facile fare solidarietà perché è di moda. Noi abbiamo iniziato nel novanta, e in tutti questi anni abbiamo promosso parecchi progetti, sempre spinti dalla volontà di far qualcosa per chi sta peggio di noi. Ma non abbiamo mai pubblicizzato in tv le nostre iniziative: utilizziamo il passaparola, tra tutti gli amici, i fans che vengono ai concerti. Noi lanciamo alcune proposte, ma il ruolo più importante è svolto dalla gente che le porta avanti.

Domanda – In più avete sempre manifestato la volontà di mantenere vivo il ricordo del cantante Augusto Daolio, anche attraverso un concerto che tenete ogni anno in sua memoria. Ci parli dell’ultimo tributo ad Augusto?

B. CARLETTI – A dieci anni dalla scomparsa, il ricordo di Augusto è vivo dentro di noi, e tra i fans è sempre inneggiato nei concerti con applausi. Se non lo menzioniamo noi, è sicuramente la gente che ci chiede di farlo, facendoci pervenire sul palco dei biglietti, che noi leggiamo. Augusto è diventata la nostra bandiera, anche se, a volte, solo ricordarlo sul palco, è per noi fonte d’imbarazzo, perché sembra di approfittare della situazione…
D. CAMPANI – La morte di Augusto è stata per noi un evento traumatico: continuare senza di lui è stato molto difficile: ci davano per spacciati. Quello dei Nomadi è l’unico caso, forse nel mondo, di band sopravvissuta alla morte del suo leader. Noi senza Augusto non eravamo niente, ma nonostante tutto dopo dieci anni siamo qui e siamo ben contenti di portare avanti anche la sua storia.
La cosa più grande che abbiamo fatto è stato proseguire il nostro cammino, rispettando quello che è stato il passato.

Domanda – Ad aprile 2002 è uscito «Amore che prendi amore che dai», che ha visto le partecipazioni di due nuovi artisti: il flautista Griminelli e la cantante tailandese May. Come sono nate queste collaborazioni?

B. CARLETTI – Durante un viaggio umanitario in Cambogia, ho deciso di passare dalla Tailandia: lì, mentre stavo consumando qualcosa in un locale, ho sentito May cantare e mi è subito piaciuta. Così, al ritorno, ho chiesto agli altri cosa pensavano dell’inserimento di una cantante nel disco, visto che era una cosa che non avevamo mai fatto.
Per quanto riguarda Griminelli, ha collaborato a «L’angelo caduto», una canzone dedicata alla sofferenza, alle ragazze che si devono prostituire per mangiare. Mi sembrava che in quel contesto ci potessero star bene dei flauti e così ho pensato ad Andrea, con cui sono anche vicino di casa. È uno dei più bravi flautisti di musica classica nel mondo… quindi non è l’ultimo arrivato.

Domanda – Un’altra caratteristica molto importante è la partecipazione di giovani autori a tutti i brani dell’album.

B. CARLETTI – Queste collaborazioni rappresentano un modo per dare la possibilità, a chi si affaccia al mondo della musica, di vedere un proprio sogno realizzarsi concretamente.
D. CAMPANI – È una cosa che facciamo già da qualche tempo. Veniamo contattati nei nostri concerti da ragazzi che ci consegnano delle musicassette. E noi le ascoltiamo e vediamo se c’è qualcosa che c’interessa…

Domanda – È facile rendere unitarie, partecipazioni così diverse?

D. CAMPANI – È più facile del previsto, perché chi ci segue sa già che tipo di canzone ci deve proporre.
B. CARLETTI – E poi la bellezza di questo album sta anche nelle sue diversità, che non è sinonimo di squilibrio.

Domanda – Ci sono delle tematiche, in quest’ultimo album, che rappresentano una continuità col passato?

B. CARLETTI – Molti hanno trovato delle attinenze fra «Trovare Dio», presente nell’ultimo album, e «Dio è morto». Ma eccetto il fatto che in entrambe si parla di Dio si tratta di sue canzoni diverse, di due modi differenti di andare a cercare Dio. Allora si cercava Dio per denunciare delle cose: lo spaccio della droga, l’abuso del sistema capitalistico. Adesso si arriva a parlare di Dio perché si avverte il bisogno di scoprire la spiritualità.

Domanda – «Trovare Dio» fa anche parte della colonna sonora del film «L’alba di Luca», diretto da Roberto Quagliano. Come hai preso parte a questo progetto?

B. CARLETTI – Il film racconta la storia di un bambino, Luca De Nigris, morto tre anni fa, dopo un lungo periodo di coma. Da allora i genitori, infaticabili, hanno creato un’associazione in memoria del figlio per poter aiutare tutti i bambini che vivono la stessa esperienza di Luca. È nata così l’idea di costruire “La Casa dei Risvegli” per i bambini in coma, con il contributo di personaggi dello spettacolo e di gente comune. Io sono stato contattato proprio dai genitori, perché Luca era un nostro fan, e cantava sempre la nostra canzone «Io vagabondo».
«Trovare Dio» è stata scelta come colonna sonora generale, che poi io stesso ho curato, perché è stata trovata in sintonia con quello che si voleva esprimere in questa storia.
D. CAMPANI – È una canzone molto spirituale, la più poetica di tutto l’album. L’avevamo proposta a Sanremo un anno e mezzo fa, ma non l’hanno presa per niente in considerazione, non perché fosse inadatta, ma perché non andavamo bene noi. Anche quest’anno sembrava che ci dovessero chiamare per il festival, ma poi non se ne è saputo nulla. Tuttavia, non sappiamo se sia un bene o un male andarci, soprattutto per la nostra storia, perché, tra i nostri fans, c’è anche chi non vede bene questa scelta.
Poi noi vendiamo abbastanza dischi, facciamo tanti concerti, non abbiamo problemi particolari di promozioni. Sanremo è una grande vetrina; però se poi vado a riascoltare le canzoni – al di là del casting, perché non ho pregiudizi con nessuno – a volte sono contento di non esserci andato. Bisognerebbe rivalutare il festival: poiché ha un’audience così elevata, si dovrebbe fare un salto di qualità che io non ho ancora visto.

Domanda – Chi è che fa musica di qualità in Italia?

D. CAMPANI – Io preferisco sempre i soliti, quelli che hanno fatto la canzone d’autore in Italia.Ho un’ammirazione particolare per Paolo Conte, ma trovo molto bravi anche Guccini, De Gregari, Vasco Rossi, Ligabue che è delle nostre parti ed è un nostro fan. È uno che dalla storia dei Nomadi ha preso molto. Non abbiamo problemi a riconoscere la bravura degli altri, ma terminiamo qui l’elenco, altrimenti va a finire che ne tralasciamo qualcuno.

Domanda – Anche la canzone d’esordio di Ligabue ricorda molto alcuni vostri vecchi brani…

D. CAMPANI – Lui, per Augusto, aveva una passione particolare. È uno di quei casi in cui l’allievo supera il maestro abbondantemente.

Domanda – E tra i più giovani chi si distingue?

D. CAMPANI – In genere io mi sforzo di ascoltare nuova musica, in questo sono aiutato da mio figlio che ha vent’anni e che mi insegna tante cose: lui ascolta poca musica italiana, preferisce gruppi tipo i Radiohead. Non vorrei risultare troppo chiuso, ma, secondo me, a volte i giovani si perdono in un’esasperata ricerca intellettuale. Noi, al contrario, siamo abituati a parlare semplicemente, tant’è che a volte ci rendiamo conto che nei nostri testi è possibile confondere la semplicità con la banalità.

Domanda – La semplicità è un vostro pregio e difetto allo stesso tempo?

D. CAMPANI – C’è chi ci apprezza e chi, invece, non accetta il nostro modo di comunicare. La simbologia non c’interessa, ci piace parlare direttamente.

Domanda – Si assiste ad un fenomeno di forte commercializzazione che vede protagonista anche la musica: ci sono cantanti che raggiungono un successo inaspettato con un paio di canzoni, e che poi si spengono altrettanto velocemente. Qual è il tuo parere a riguardo?

D. CAMPANI – La musica è al passo con i tempi; in questo particolare momento sociale, è trattata alla stregua di un qualsiasi prodotto di consumo. E i prodotti di consumo devono essere consumati in fretta e consumare in fretta significa che le cose che restano sono davvero poche. C’è molta offerta; e c’è più offerta che domanda. Adesso anche la tecnologia ci aiuta a fare delle cose, una volta impensabili (anche un ragazzino può prodursi il suo disco, con poche spese, e fare un buon prodotto dal punto di vista tecnologico). Tutto questo, però, non ha fatto di noi dei Mozart, ma ha abbassato il livello.
Il prodotto di qualità esiste, come in tutte le altre attività, ma per ottenerlo bisogna lavorare molto di scrematura.

(Intervista di Caterina Aletti, pubblicata su Orizzonti n. 19, ago-ott 2002)

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