| «Io e Luis non ci conosciamo da tantissimi anni, anche se abbiamo vissuto insieme dei momenti talmente intensi che mi sembra di aver trascorso con lui più di una vita. Mi ricordo ad esempio di quando facevamo le cinque del mattino a bere vino e il giorno dopo non riuscivamo ad alzarci, talmente eravamo cotti.
Posso dire che Sepulveda è una persona davvero fantastica sotto tutti i punti di vista, grazie soprattutto alle sue straordinarie esperienze di vita che gli hanno forgiato un carattere invidiabile.
Due anni fa, in uno di quei rari momenti in cui la televisione di stato compie il suo ruolo di servizio pubblico, sono riuscito a far venire tre volte Sepulveda a registrare una trasmissione chiamata “Storie”, dove lui raccontava tutta la sua esperienza umana. Durante queste interviste ho potuto scoprire non tanto lo scrittore, quanto l’uomo Sepulveda: un uomo che aveva dato tutto se stesso nell’affrontare situazioni estreme, che aveva solo accennato nei suoi libri. Questo mi dispiaceva perché sentivo dentro di lui una vita vissuta che non aveva ancora raccontato.
Quando, però, ho letto “Le rose di Atacama” ho notato che ha vinto un po’ del suo pudore e che qualcosa delle sue esperienze incomincia a venir fuori. Nel suo libro ci sono storie di persone marginali che non passeranno alla storia, che però hanno vissuto con coraggio, dignità e con un impegno che non è facile da trovare e che lui sentiva il bisogno di raccontare.
Pertanto “Le rose di Atacama” non è solo il libro di un grande scrittore, ma è soprattutto una pagina di vita vissuta e d’impegno, in un’epoca in cui questa parola sembra oscena e parlare di certi argomenti sembra non politicamente corretto. Ma se essere poco coraggiosi significa essere politicamente corretti, io preferisco essere politicamente scorretto e andare dietro a Luis Sepulveda e alla durezza con la quale lui propone le sue idee.
Tutto il libro è commovente, ma all’ultimo capitolo “La bruna e la bionda” sono particolarmente affezionato perché ad esso è connesso un episodio che voglio raccontarvi. Nel giorno dell’anniversario del golpe in Cile mi trovavo a Venezia, dove era presente anche Luis, come membro della giuria del festival del cinema. Gli ho proposto di ricordare l’avvenimento cileno, facendo una riunione alla facoltà d’architettura. In attesa del suo arrivo, ho proiettato la puntata di “Storie” dove lui parlava dell’esperienza di queste due bellissime ragazze, la bruna (che tra l’altro ora è sua moglie) e la bionda del libro, che avevano vissuto orrende torture in seguito al colpo di stato di Pinochet. Alla fine del documentario, con mia sorpresa e di tutti i presenti, Luis arriva con sua moglie Carmen e una giornalista, Marcia, la bionda della novella, che non si vedevano da quei tristi momenti. Si erano ritrovate a Venezia: una faceva la poetessa, Carmen, l’altra la critica cinematografica, Marcia.
Il presentare le protagoniste della storia ai cinquecento ragazzi, che avevano appena visto narrare da Luis tutta quella vicenda, fu un’esplosione di commozione incredibile, poiché era stato dato corpo a quel racconto. E mi ricordo che tutti i presenti si sono alzati in piedi e hanno incominciato ad applaudire senza fermarsi. Luis tentò di parlare, ma anche a lui che sicuramente era il più forte tra noi si ruppe la voce dall’emozione e così, non sapendo cosa fare, alzò il pugno per salutare. Incredibilmente tutti i ragazzi, senza distinzioni di parte, risposero alzando il pugno a loro volta per salutare la coppia di persone, che quella sera erano state testimoni della loro vita.
Ritrovare nel libro questo racconto, mi ha commosso e ho fatto una cosa che non si dovrebbe mai fare: ho letto subito l’ultimo capitolo del libro, “La bionda e la bruna” appunto.
Per concludere vi posso solo dire che il fascino di questo libro non sta solo nella bellezza della scrittura di un grande autore, ma sta soprattutto nell’inizio di un lungo racconto che Sepulveda ci farà sulle esperienze uniche della sua vita».
(Gianni Minà)
(Articolo pubblicato in Orizzonti n. 15, giu- sett. 2001)
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