| “Cercasi con occhi di pianto”: la definizione che in modo tanto efficace racchiude l’intera filosofia umana e poetica di Atonia Pozzi, altrettanto fedelmente si attaglia agli strazianti versi di Eleonora Cogliati, sorella di dolore di Atonia, che con la nota poetessa ha delle sorprendenti, innegabili consonanze.
“Apro gli occhi ed e il buio,/ ascolto ed è il silenzio,/ tendo le mani ed è il vuoto./ Ti cerco… ed è la solitudine”. Questo flash del luglio 2009, a pagina 15 della sua raccolta poetica “Gocce di Emozioni”, richiama alla mente un altro “vuoto”, quello che da il titolo alla composizione di Atonia Pozzi, dedicata ad A.M.C., Milano, 30 maggio 1929 e, via leggendo, sempre più ci si conferma nela percezione iniziale. “Lacrime…/ cristalli di ghiaccio…/ dardi infuocati…/ roventi trapassano il cuore…” scrive Eleonora a pagina 16 e, più oltre: “Lacrime silenziose…/ rilucenti nell’ombra dei tuoi occhi spenti…/ accarezzano il tuo volto…/ muoiono sulle tue labbra…/ Ricordo di un viso…/ …di un uomo…/ …che più non vuole amare…”.
Inevitabile il raffronto con “Crollo” della Pozzi, che equipara se stessa, fisicamente sfibrata dal tanto piangere, ad un mucchio di fieno pesto e appiattito da una grandinata.
Ma è soprattutto l’ultima lirica della raccolta di Eleonora Cogliati, che recita: “un soffio…/ ...e affido questi petali al vento…/ …afferrali al volo,/ custodiscili…/ …hanno vinto l’inverno per te…/ …non lasciarli sfiorire…” – lirica giocata sul simbolismo petali-poesia – che trasporta l’attento lettore nel clima de “La porta che si chiude” di Atonia: “Oh, le parole prigioniere/ che battono battono/ furiosamente/ alla porta dell’anima…”.
Un divario lampante tra queste due fragili creature, purtuttavia, emerge: Eleonora disperatamente si aggrappa a un’energia vitale identificata nella natura, nell’incessante rinnovarsi delle stagioni, attinge una portentosa linfa rigeneratrice dal “sorgere del sole, che magicamente fuga gli spettri notturni. Eleonora dichiara d’essere interiormente morta, ma anche laddove si chiede “Potrà mai l’inferno essere peggiore di questa vita,/ le fiamme eterne bruciare più del gelo della solitudine,/ le pene infinite dolere più degli squarci del cuore” in realtà urla quell’attaccamento all’esistenza che Atonia, a dispetto della “troppa vita che le scorreva nel sangue” non ha mai avuto il bene di provare, e che per Eleonora – vivaddio – si rivelerà salvifico.
Garanti ne sono i versi sgorgati dalla sua anima il 4 dicembre 2010: “Chiudi gli occhi…/ abbandona il tuo corpo,/ e librati,/ nell’infinito senza tempo dei sensi…/ Ascolta il palpito del mio cuore…/ Inebriati del mio respiro…/ Assaggia il miele della mia pelle.../ Carpisci il mio profondo…/ … intimo e segreto…/ …custodisci la mia anima...”.
Altro formidabile alleato di Eleonora, onde distoglierla dai molteplici scadimenti del vivere, è il dono della scrittura. Di una poesia autobiografica e accorata, alla quale affida tutto lo scoramento e le angosce che questo patrigno, insensibile mondo è incapace di cogliere. E’ lei pertanto, che vigila a captare ogni interna voce, la ridda di conflitti, angosce, rimpianti che dentro le irrompe, puntualmente fissati nel diario dei giorni, ma annota altresì le sue aspirazioni più profonde, che lasciano trapelare quella solidità di fondo, quell’esplosivo desiderio di amare e di essere amata, anticipazione di una certa – da lei tanto vagheggiata- rinascita.
Del 22 novembre 2010 questo rivelatore, emblematico ritratto: “Due anime,/ e due corpi…/ …mutuo parlare dei sensi…/ …AMORE…/ indissolubile sigillo…/ estasi,/ e passione…”.
Recensione di Germana Marini, pubblicata sul trimestrale di Poesia Arte e Cultura "Il Convivio" (Anno XII N.4 Ottobre-Dicembre 2011)
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