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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Poesia
 
Notizie Presenti:
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Ryszard Kapuscinski, l’ultimo reporter

di Rivista Orizzonti

«Solo la condivisione consente di comprendere la vita vissuta negli altri continenti, le loro storie, la realtà e fa risaltare, pur nelle innumerevoli diversità, i connotati che sono comuni a tutti gli uomini».




In un sistema mediatico, sempre più ad alta specializzazione, non c’è posto per la figura del reporter. Ma Ryszard Kapuscinski impone la sua presenza attraverso resoconti di viaggi, talmente minuziosi nelle informazioni da far evincere come solo l’esperienza diretta possa portare alla vera conoscenza. Infatti, il metodo lavorativo di questo giornalista polacco è incentrato su quella che, in antropologia culturale, è definita “osservazione partecipante”, ossia la raccolta di dati e notizie attraverso l’interazione con le popolazioni che si intendono esaminare. Questa concezione guida tutti i suoi libri, tra cui «Ebano», un diario-reportage pubblicato da Feltrinelli, in cui si narrano quarant’anni di viaggi tra i Paese del terzo mondo e le difficoltà che ha incontrato in un territorio che non era il suo (ha persino contratto la malaria!).
Proprio in occasione della presentazione del libro lo abbiamo incontrato a Roma e abbiamo ascoltato tutto ciò che aveva da dirci sulla stampa e l’editoria, la situazione africana e quella occidentale, il destino dell’umanità, e infine anche sulla differenza tra scrittore e giornalista, argomento quest’ultimo trattato ampiamente in un altro libro, sempre scritto da lui e dal titolo «Il cinico non è adatto a questo mestiere».

DOMANDA – Lei che è abituato a viaggiare e a descrivere i posti con cui viene a contatto, che immagine ha avuto quando ha conosciuto il nostro Paese?

Kapuscinski «Questo viaggio in Italia mi riporta al mio primo viaggio, del ’56, quando stavo recandomi in India. Era la prima volta che mi allontanavo dal mio Paese, un Paese comunista e in un periodo alquanto difficile, quello post-staliniano. Ricordo benissimo quando l’aereo è atterrato su Roma – si trattava di un DC3 della seconda guerra mondiale – e ho visto questo paesaggio e questi colori di notte. È stato un vero e proprio choc: un insieme di luci e negozi in queste strade romane. A quell’ora le città del mio Paese, le sole che avessi modo di conoscere, erano immerse nell’oscurità. L’altra osservazione che feci è di carattere atmosferico: il cielo blu non è così luminoso al nord».

DOMANDA – E in quest’ultimo viaggio cosa ha notato?

Kapuscinski «Durante il volo che mi ha portato da Milano fino a Roma, ho notato che quasi tutti i passeggeri leggevano un giornale e ciò mi ha fatto pensare che qui la stampa gode di ottima salute».

DOMANDA – Da profondo conoscitore dell’ambito giornalistico, che futuro prevede per la stampa in questa era, caratterizzata dalle nuove tecnologie?

Kapuscinski «Sono ottimista. Un mezzo di comunicazione nuovo non può eliminarne un altro, piuttosto è vero il contrario. La cultura è un feudo molto vasto, dove i mezzi di comunicazione convivono».

DOMANDA – Cosa obietta a chi predice la “morte del libro”?

Kapuscinski «Questo timore più volte espresso, con l’avvento del cinema, della radio, della televisione e ultimamente di internet, è del tutto infondato. Di libri se ne continuano a scrivere sempre più e vengono divulgati. Il che è sinonimo di una grande flessibilità e di comunione di più forme di espressione».

DOMANDA – Ha condiviso la febbre malarica, una sete spaventosa e ha creduto di morire più volte, ma non ha desistito dal vivere in mezzo agli africani. Perché?

Kapuscinski «Solo la condivisione consente di comprendere la vita vissuta negli altri continenti, le loro storie, la realtà e fa risaltare, pur nelle innumerevoli diversità, i connotati che sono comuni a tutti gli uomini».

DOMANDA – E dell’efficacia di questo suo modo di operare ne sono consapevoli anche i “proprietari” del mondo, che hanno avuto bisogno di farsi raccontare da un viandante quello che succedeva nel mondo. Il re di Svezia, infatti, ha invitato a corte – nel novembre del 1999 – una dozzina di persone potenti, perché ascoltassero ciò che lei avesse da dire.

Kapuscinski «Quella è stata la prima volta che mi sono trovato di fronte ai “potenti”, coloro che hanno in mano la capacità di regolare i destini del mondo. C’erano anche il Direttore della Banca Mondiale, quello del Fondo Monetario… Da questa esperienza ho tratto l’amare consapevolezza che viviamo sempre meno in una società e sempre più in un’economia. La nostra vita è regolata dalle leggi dell’economia che ne influenzano ogni ambito».

DOMANDA – Può fare qualche esempio?

Kapuscinski «In questi giorni si è parlato di un aspetto particolare, quello del mondo farmaceutico. Nel corso degli ultimi quindici anni le industrie farmaceutiche, dominate da quella americana, hanno creato più di 300 prodotti, di cui soltanto 14 destinati alla cura delle malattie tropicali, che rappresentano l’80% delle malattie che colpiscono l’umanità. Tra queste c’è la malaria, che decima ogni anno dai due ai tre milioni di persone. Ma su questa malattia così devastante non si investe neanche un dollaro, perché sono i poveri a soffrirne e le società farmaceutiche non ne trarrebbero nessun profitto. Dopo aver sentito questi commenti, il direttore di un giornale ha tirato fuori un assegno di 50.000.000 di lire, dicendo: “Questi sono cinquanta milioni che io offro per la ricerca».

DOMANDA – In base a quanto ha potuto constatare, qual è la conoscenza che i “potenti” hanno veramente del mondo?

Kapuscinski «Questi governanti non conoscono il mondo, non si curano di un possibile benessere generale, badano soltanto ai propri interessi. Sono una classe sociale. Non hanno alcun contatto con la vita reale: si spostano da un albergo di lusso ad un altro, da una riunione di palazzo ad un’altra. Tra loro ci sono anche i leader dei media, che influenzano la nostra conoscenza del mondo».

DOMANDA – E la sua visione del mondo?

Kapuscinski «L’uomo da sempre ha vissuto in povertà. Non aveva il problema delle scarpe o della camicia – che non esistevano – così come per lo stesso motivo non aveva quello legato ai mezzi di comunicazione. Aveva, però, il problema della mancanza di cibo e della malattia con cui era costretto a confrontarsi. La nostra storia è fatta di povertà, e i re e l’aristocrazia rappresentano soltanto delle eccezioni. Dal medioevo, fino all’età moderna e ai nostri giorni, una parte della popolazione, più ampia rispetto al passato, è riuscita a evolversi e a migliorare le sue condizioni di vita. Ma anche questo rappresenta l’eccezione e non la regola».

DOMANDA – Questo per il passato. E per il presente?

Kapuscinski «Oggi viviamo in due realtà perfettamente separate: quella occidentale e quella africana. Allo sviluppo del nostro mondo industrializzato, che ci ha concesso di vivere più a lungo – si calcola sui 25 anni in più – si contrappone la realtà africana, ancora legata ai problemi primari della sussistenza. La maggioranza vive il problema, per noi remoto, della lotta per la sopravvivenza. È incapace di sviluppare nuove tecnologie, impegnata com’è a risolvere questa situazione. C’è un paradosso nello sviluppo del nostro pianeta: più ci evolveremo e maggiori saranno le differenze. I ricchi saranno più ricchi e i poveri più poveri, mostrando quando questo mondo sia iniquo».

DOMANDA – E il futuro?

Kapuscinski «Credo che solo la condivisione di alcuni valori potrà portare le società ad un arricchimento e indirizzarle verso un futuro migliore».

DOMANDA – Infine, un’ultima domanda su un argomento che traccia i rapporti tra giornalismo e letteratura. Qual è la differenza tra uno scrittore e un giornalista nel viaggiare l’Africa?

Kapuscinski «Io sono un corrispondente ed è quindi l’agenzia che sceglie per me il luogo in cui devo giungere e mi devo attenere a queste direttive. Ricevo degli incarichi. Poi, il giornalista è costretto a lavorare ogni giorno, per fornire notizie utili alla propria agenzia. Per ultimo, anche il modo di scrivere libri è completamente differente. Ogni libro che ho scritto non è altro che un secondo volume di uno stesso primo libro, quello costituito dalla mia attività in qualità di corrispondente».

(Articolo di Caterina Aletti, del 2002, e ripubblicato su Orizzonti n.31, lug.-ott 2007.

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