| Il romanzo «Destini incrociati» di Teresa Rotolo è da apprezzarsi per un duplice motivo: primo, l’autrice è figlia della nostra terra, delle nostre genti, sensibile al fascino esercitato dal mondo dei ricordi che spesso si tingono di romanzesco; la sua scrittura è voce che si unisce al coro di quanti sanno far ben parlare delle nostre giovani generazioni e dei nostri luoghi. Secondo, la storia narrata è veramente bella, nel senso pieno del termine, ha i requisiti giusti per soddisfare il gusto della buona lettura, di quella lettura che parla al cuore ed alla mente, frutto di un lavoro che non si lascia tentare da astratti cerebralismi, né cade in banali surrogati per l’impiego del tempo libero. Intendo dire che l’opera proposta, pur nella sua agile dinamicità, è una valida fonte di spunti di riflessione. Una buona lettura è quella che lascia un segno e questo libro lo è.
Più che una storia romanzata, è il romanzo organico di una storia, in cui le vicende di tre donne si incontrano e si scontrano in varie situazioni e con vari esiti, fino ad inciampare per caso nella curiosità -prima - di una giovane discendente e nella sua ansia - poi - di conoscere e indagare sui perché di un percorso di vita che sin dalle prime righe si preannuncia drammatico. Soprattutto l’autrice è mossa dal desiderio di restituire alla giovanissima protagonista - Caterina - un palpito di vita, di risuscitarla da quel forzato oblio in cui il passato l’ha seppellita tristemente e crudamente.
È questa una storia d’amore, in cui l’amore è declinato nelle sue varie nature ed espressioni: è amore materno, è amore filiale, è amore parentale, ma è soprattutto amore nella sua accezione più piena ed avvertita: è amore tra Caterina e Lorenzo, che vivono il loro sentimento con l’ingenuità e l’entusiasmo propri della giovane età, i quali per un attimo assaporano l’ illusione del sogno d’amare, ignavi di un destino avverso e beffardo che incombe silenzioso sulle loro vite: così se è il caso che li fa incontrare, sarà poi il fato- quello temibile e immutabile - che li separerà per sempre e tragicamente.
La vicenda si svolge in un piccolo paese della nostra provincia (Salerno), dove la vita sembra scorrere nella tranquilla ripetitività dei riti quotidiani, ma nel cui sottofondo serpeggia un destino imprevedibile che tesse le sue trame, mentre le storie dei singoli s’intrecciano tra i silenzi delle nostre dolci colline, mute spettatrici di vicende ora liete ora tristi e di alterni destini. Il tutto è qui ambientato in un periodo particolare della storia d’Italia - e non solo: siamo ai primi anni del ‘900, quando i cambiamenti storico-sociali sono davvero cambiamenti epocali: dei 2 secoli ‘800 e ‘900 l’uno lancia ancora bagliori di vita, l’altro vuole entrare prepotentemente sul palcoscenico della grande storia. Da tale contesto si dipartono due canali: da un lato, il richiamo e il rispetto delle tradizioni, in un legame spesso forte con il passato; dall’altro, le menti sono protese in avanti, nell’aspettativa di un futuro migliore, da sperare in terra straniera, in una realtà nuova che si traduce, quale prezzo da pagare, nelle sofferenze e nelle difficoltà di chi sceglie la via dell’emigrazione. E mentre oltreoceano, in terra d’America, su cui tanto si era favoleggiato fino ad identificarla con la terra promessa, la “Little Italy”, cresce in nuove prospettive di benessere economico, pur tra nostalgia e sacrificio, la nostra Italia si avvia a cambiare la sua storia verso orizzonti più dolorosi. Ma la grande storia, quella perenne del destino dell’uomo, non cambia, ritorna - nei suoi corsi e ricorsi - per riemergere dai meandri più profondi dello spirito umano e per materializzarsi nell’intricato labirinto che è la vita; è la Storia, con la esse maiuscola che, a prescindere dalle epoche, dai protagonisti, dalle latitudini, si ripete nelle saghe familiari e nella forza dei sentimenti. La grande storia è fatta di piccole storie, ma entra in queste, sino a dirigerle e a condizionarle. Questa narrazione è appunto una piccola storia, ma è intessuta abilmente dall’autrice di quei fili e di quei colori che compongono l’affresco di un’epoca, di cui Teresa Rotolo sa mettere in luce aspetti vari, anche contraddittori. È anche questo libro un romanzo di formazione nel senso che nelle inquietudini e nella metamorfosi della giovanissima protagonista, nelle sue notti insonni, nelle sue scelte tormentate, individua il travaglio proprio di una giovane personalità, che può evolvere verso la felicità o verso il dramma. E qui la dialettica è EROS-THANATOS, amore e morte, come spesso accade nella grande tradizione del romanzo dell’800. In tutta la narrazione, l’io narrante, dopo una fugace apparizione iniziale, tanto quanto basta per catturare l’interesse del lettore, l’io narrante regredisce, si fa esterno per lasciare che i personaggi si rivelino da sé, per far sì che la storia sembri essersi fatta da sé, come accade secondo i moduli della narrativa veristica, anche se l’intreccio è vicino all’atmosfera proprio del Romanticismo. La narrazione procede con prevalenza di sequenze dinamiche, che avvincono il lettore e mai lo annoiano. La scrittura è fluida, lo stile sobrio, costruito su frequenti ricorsi al discorso diretto e si avvale di un linguaggio duttile, appropriato, essenziale. Il risultato è un libro che si legge con piacere, quasi con avidità, sotto la spinta di voler conoscere il cosiddetto “finale”.
A Teresa Rotolo va il nostro apprezzamento, anche sostenuto dalle positive recensioni che il testo ha riscosso.
A Teresa Rotolo chiediamo: a quando un altro suo lavoro, piacevole, interessante, intrigante?
(Recensione di Iris Pizza)
Diventa nostro amico su facebook
http://www.facebook.com/alettieditore
Seguici su twitter
http://www.twitter.com/alettieditore
|