| Chissà se il saper ascoltare l’armonia dell’universo possa farsi rientrare in una di quelle facoltà di cui ogni essere umano è potenzialmente dotato e che con un minimo sforzo di attenzione ciascuno possa diventare capace di esplicare e ri-conoscere, oppure se si possa semplicemente apprendere con un atteggiamento di disponibilità a seguire uno specifico insegnamento da chi ne abbia già fatto personale esperienza!?!
Ma in cosa consiste veramente questa armonia?
Se si comincia a porre l’attenzione su qualcosa della cui esistenza non si ha alcuna plausibile prova concreta, diventa difficile credere che altri possano essere giunti a sentirne la presenza intorno a sé così da divulgarne la realtà e da ritenersi testimoni di un ascolto paragonabile a un godimento del senso dell’udito come quando si ascolta un brano musicale, come ad esempio un Notturno di Schumann o una Serenade di Schubert o un Chiaro di luna di Beethoven o una Toccata e fuga di Bach.
Disporsi a raggiungere il centro dell’anima del mondo, saperne decodificare le note musicali, apprezzare la nitidezza dei suoni, cogliere il momento della loro fusione con la nostra stessa anima, girare insieme al tutto in una sorta di danza occulta, invisibile, ma pure tanto vibrante da farci venire le vertigini, sentirsi parte di questa armonia dell’universo, non credo possa ritenersi un’esperienza comune ai più.
Anche se molti possano sentirsi attratti da un’esperienza così individuale, spesso si ha la consapevolezza di non possedere gli strumenti adatti ad una pur minima prova in tal senso e presto se ne abbandona l’intento.
Tuttavia, a volte sono sufficienti delle letture particolari che evocano certe atmosfere quasi magiche per soffermarsi a coglierne gli effetti sensibili e gradevoli, sorta di toccasana e balsamo per l’anima, per cominciare ad intuire, se non ancora a comprendere pienamente, la reale esistenza di una tale armonia.
Infatti, se qualcuno ha saputo ascoltare quest’armonia in ciò che ci circonda riuscendo a darne un piccolo saggio attraverso una mirabile descrizione linguistica, allora non ci possono essere dubbi: tutto ciò che costituisce il nostro mondo visibile e, ancor più, invisibile, deve senz’altro possedere al proprio interno dei suoni, dalle relazioni tra i quali si compone un armonioso concerto che ci ingloba facendoci in qualche modo sentire parte integrante.
Ecco allora che, disposti in un atteggiamento di fiducia nel senso appena indicato, possiamo scoprire la caratteristica prevalente delle poesie che costituiscono la nuova silloge, Tra i solstizi, di Franca Canapini.
Sarebbe già sufficiente soffermarsi sul titolo della raccolta per rinvenire la volontà dell’autrice di captare i segnali più reconditi che il susseguirsi delle stagioni, estiva ed autunnale, e dell’incipiente inverno, portano in sé. Non è affatto strano porsi in ascolto di questi segnali, quando si svolge, seppure a volte inconsapevolmente, e certo sempre umilmente, il mestiere affascinante di poeta.
Diventa però abbastanza difficile, per chi voglia recensire un’opera poetica così connotata, riuscire a decriptare gli stessi segnali, se non possiede almeno una iniziale conoscenza del mondo emotivo del poeta, delle sue caratteristiche personali, dei suoi modelli letterari, fonti spesso latenti, ma fortemente incisive, per l’apertura della sua stessa espressione poetica.
Ma credo che, per la comprensione delle poesie di questa raccolta della Canapini, la mancanza di tali conoscenze anziché essere un ostacolo possa costituire un vantaggio, in quanto l’analisi che ne deriva è completamente priva di contaminazioni pre-giudizievoli, divenendo nello stesso tempo anche un esito, oltretutto fruttuoso e fecondo.
Fruttuoso, perché la conoscenza mancante si acquisisce (almeno in parte) nel procedere della lettura approfondita di ogni poesia; fecondo, perché tale acquisizione, ponendosi come una sorta di dialogo a distanza con l’autrice, diventa per chi legge e analizza le poesie, uno stimolo a provare a sua volta a disporsi all’ascolto dell’armonia di tutto quel che sta intorno. Si viene, cioè, spinti a seguire le vie privilegiate del poeta, che osserva con maggiore acutezza e obiettività la realtà dei più futili indizi nelle cose quotidiane, familiari, fino a farne una trasposizione artistica in versi.
Ogni poeta cerca nelle proprie esperienze la propria via artistico-espressiva, così che nel suo percorso artistico perviene a delle singolarità, a delle caratteristiche sue proprie che lo differenziano da ogni altro poeta del suo tempo e da ogni altro poeta tout court.
Franca Canapini è ancora all’inizio dell’esplorazione della sua poetica, ma credo che in queste poesie sia già possibile scorgere un sentiero che potrebbe condurla verso una “sua” meta.
So bene che non è possibile né utile azzardare ipotesi che nel lungo periodo potrebbero poi rivelarsi inesatte, ma mi piace seguire il pensiero di Aldo Giorgio Gargani il quale, nel suo libro “L’altra storia”- Ed. Il Saggiatore, sosteneva che ciascuno di noi racconta per tutta la vita una sua storia, girando in qualche modo sempre intorno agli stessi temi, senza esserne neppure consapevoli, soltanto perché ciò che affiora più spesso alla nostra percezione è soprattutto quella peculiarità che più nell’intimo ci riguarda.
Pongo questo assunto con le responsabilità connesse, pur sapendo di rischiare di poter essere smentita. Il motivo di ciò è presto detto: leggendo una ad una, con la necessaria calma, ma anche con l’intensità di coinvolgimento richiesta, le poesie scritte “tra i solstizi”, mi sono sentita a mia volta immersa nelle cose descritte dall’autrice con tanta e profonda partecipazione emotiva, che al termine di questa “immersione” ho sentito palpitare dentro di me il cuore di ogni poesia e l’esperienza mi si è presentata in tutta la sua significatività proprio nel modo qui indicato.
Mi sono sentita affiancata alla poetessa nell’ascolto dell’armonia dell’universo, ne ho percepito la dolcezza dei suoni, la melodia.
Ho ritrovato, in qualche modo, la poesia (in prosa) di Francis Ponge, ne’ Il partito preso delle cose: anche questo scrittore francese, infatti, sta dalla parte delle cose, ne prende le difese, parla per loro che non hanno voce, come fa Franca Canapini.
Mi sono sentita avvolta in una spirale di benessere psicofisico determinato dalla sensazione di comprensione del punto di vista delle cose, della natura, degli esseri che ci hanno preceduti in questa breve parentesi che è la vita e di quelli che seguiranno.
E questa comprensione profonda ha dei risvolti umanissimi di tale portata che il solo pensiero di non riuscire ad essere all’altezza del compito di cui siamo investiti, può perfino scoraggiare: saremo mai capaci di portare il rispetto dovuto a tutto ciò che sostiene la nostra stessa esistenza?
A questo punto, con questo pensiero un po’ assillante nella mente, penso che non sia neppure necessario convalidare le mie affermazioni riportando brevi passi di alcune poesie, poiché ritengo che ogni esperienza di lettura possa anche ritenersi unica, privata.
Pertanto, mi pongo semplicemente, e a mia volta umilmente, in attesa di scoprire se altre esperienze di lettura di questa silloge perverranno ad esiti simili e altrettanto soddisfacenti della mia e se, nel prosieguo del percorso poetico di Franca Canapini, la mia presente analisi potrà essere (o meno) confermata, pur nell’arricchimento espressivo che il tempo sempre produce nel “lavoro” dei poeti.
(M. Carmen Lama)
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