| Il 27 giugno si è spenta la voce di Bruno Tolentino, il più illustre e prolifico poeta brasiliano contemporaneo, per diversi anni direttore della prestigiosa rivista «Bravo», attorno alla quale era riuscito a raccogliere i più significativi fermenti del mondo intellettuale di quella immensa e feconda nazione.
Amico personale di Giuseppe Ungaretti, presso il quale soggiornò durante un breve periodo durante gli anni di esilio in Europa seguiti al colpo di stato in Brasile nel 1964, nel corso delle sue lunghe peregrinazioni ebbe il privilegio di frequentare i nomi di Sartre, Serao, Montale, Bishop, Auden, Pasolini, Levi e Quasimodo.
Bruno Tolentino deve la sua fama al conseguimento nel 1995 e nel 2006 del premio Jabuti, il più importante riconoscimento letterario del Suo Paese, a vent’anni di onorato insegnamento ad Oxford ma anche a due anni di soggiorno in carcere sotto le pesanti accuse di spaccio e contrabbando.
Ma in Italia, ove tornava periodicamente essendovi strettamente legato dalle antiche radici famigliari e da un sentimento di profondo affetto, negli ultimi anni era noto soprattutto per lo stretto sodalizio con Don Giussani e con l’ambiente culturale cattolico, a seguito della sua radicale conversione religiosa.
Tra le sue opere più prestigiose ricordiamo «O mundo como Idéia», in cui il poeta manifesta il bisogno di varcare le anguste sembianze della prefigurazione concettuale, che privano l’uomo della necessità di infinitarsi nell’ampio respiro della totalità dell’essere.
L’arte, ebbe a dire una volta, è una menzogna che dice la verità; ma il varco di montaliana memoria attraverso cui raggiungerla – e che lo ha condotto dapprima nei bassifondi di Varsavia, quindi sul teatro di guerra libanese ed infine nelle segrete delle carceri – si è materializzato infine nell’incanto dolente di una notte stellata sotto le sembianze inattese di una conversione alla fede cattolica. E pur consegnando alla storia la parabola esistenziale di un poeta che ha lambito tutte le correnti culturali del Novecento, pur resistendo stoicamente al richiamo del senso di appartenenza, si congeda da questo mondo nella convinzione che il poeta sia un uomo inutile e che il problema non stia nella ricerca di una rettitudine morale ma nella possibilità di una piena realizzazione dell’essere attraverso il calvario di un’estenuante ricerca anche tra gli anfratti più oscuri.
O MUNDO COMO IDÉIA
O mundo como idéia (ou pensamento).
Entre a gnose e o real (talvez) o acordo.
Mas no ramo (imperene) cantão tordo
(provisório) e invisível vem o vento
e leva o canto e deixa um desalento,
a queixa dos sentidos... Não recordo
se sonhei tudo isso ou não: um tordo
e a noite em meus ouvidos um momento,
outro rapto no vento... Mas supor
que o triunfo moral do cognitivo
restitua-me o ser menos a dor,
é resignar-me a um perfume tão rápido
que não existe quase, insubstantivo
como a Idéia... Não: o mundo como rapto!
IL MONDO COME IDEA
Il mondo come idea (o pensiero)
Tra la gnosi e la realtà (forse) l’accordo.
Ma nel ramoscello (imminente) canta il tordo
(inatteso) e invisibile sopraggiunge il vento
portandosi via il canto e lasciando una malinconia,
a lagnarsi dei sensi.... Non ricordo
se ho sognato tutto questo oppure no: un tordo
e la notte nei miei orecchi un istante,
un altro raptus nel vento... Ma supporre
che il trionfo morale della consapevolezza
possa ridarmi meno dolore,
è abbandonarmi rapito ad un profumo
che quasi non esiste, infondato
come l'idea... Non: il mondo come raptus!
(Traduzione di Suerda Maria Alves)
(Articolo di Gian Paolo Grattarola, pubblicato su Orizzonti n. 32, nov-feb 2008)
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