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Info sull'Opera
Autrice:
Rivista Orizzonti
Tipo:
Racconto
 
Notizie Presenti:
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TEATRO - LAURA BOMBONATO «Il teatro puņ essere un grande tramite, uno strumento importante di riflessione e di comunicazione».

di Rivista Orizzonti

Dintorni di Amburgo, 20 Aprile 1945.
Gli alleati inglesi premono contro i confini della città. Alcuni bambini, oggetto di esperimenti sulla tubercolosi nel lager di Neuengamme, sono prelevati e trasferiti con la massima urgenza dalle autorità del Reich nei sotterranei di una vicina scuola a Bullenhuser Damm. Lì, vengono tutti addormentati con un’iniezione di morfina, per essere infine soppressi nel sonno con un cappio al collo.
Forse è solo una delle storie minori che la Guerra ha prodotto, questa, una delle tante storie in una Storia più ampia e ufficiale, che spesso tendiamo a dimenticare appena abbandonati in cantina i libri di scuola. Del resto, a cosa serve la memoria? A cosa serve oggi, soprattutto, se bambini capaci di riconoscere ancora il corpo della propria madre, brutalizzato dalla sopravvivenza nei campi di concentramento, non ce ne sono più – e per fortuna. Ma a cosa serve una memoria, quindi? Sono soltanto alcune delle domande che Laura Bombonato pone a se stessa e allo spettatore nel toccante spettacolo teatrale, da lei stessa interpretato, «L’Ultima Notte». Scritto e diretto da Jochen Dehn, il monologo ha fatto parlare di sé in parecchie province italiane, dove è stato rappresentato finora con successo. «Orizzonti» ha incontrato l’attrice e regista Laura Bombonato, attualmente di scena in Germania, e l’ha intervistata.

DOMANDA - Perché attingere proprio in certe pagine della Storia ufficiale quegli episodi che solo il teatro, insieme alla letteratura e al cinema, osano raccontare? La Seconda Guerra Mondiale, in questo senso, sembra un pozzo senza fondo.

RISPOSTA - «La vicenda dei venti bambini di Bullenhuser Damm è accaduta vicinissimo a noi, non molto tempo fa. Ha coinvolto un bambino italiano, fa ancora parte del racconto dei nostri vecchi. Per questo, non va dimenticata. Per questo, può scuoterci più di altre vicende della Storia, che magari appartengono a tempi più lontani e che ci sembrano forse meno toccanti. I venti bambini di Bullenhuser Damm assomigliano ai tanti bambini vittime oggi, intorno a noi, di situazioni geo-politiche, di interessi economici, del disinteresse mondiale. Il teatro offre la possibilità di coinvolgere emotivamente le persone e quindi di lasciare segni più profondi. La storia che si studia a scuola spesso scivola via. Il teatro può essere un grande tramite, uno strumento importante di riflessione e di comunicazione».

DOMANDA - Non è la prima volta che tratti sul palco argomenti impegnati – basti citare lo spettacolo «Resistenza» con gli YoYo Mundi, di cui hai curato la regia. Cosa ti spinge verso questo tipo di tematiche?

RISPOSTA - «Sono dieci anni che lavoro in teatro e sento sempre di più l’importanza di dare un senso a quello che faccio. Fare teatro ha sempre senso, anche quando si interpreta una commedia. Ma nel momento in cui affronto temi come la resistenza o l’Olocausto, sento di essermi presa una responsabilità. Con il mio lavoro posso provocare. Posso ricordare. Posso essere un “ultimo testimone”, citando la bellissima canzone di Paolo Archetti Maestri e degli Yo Yo Mundi. Posso fare ciò che Amleto chiede prima di morire all’amico Orazio: vivi per raccontare la mia storia. Perché la memoria è importante, la memoria è una linea continua. E l’uomo non ha memoria. Interpretare “L’Ultima Notte” e vedere davanti a me 350 ragazzi in silenzio ad ascoltarmi sul serio, mi spinge sempre di più verso questa direzione. Vedere alla prima di “La banda Tom e altre storie partigiane” a Casale, nel teatro strapieno, i vecchi partigiani cantare insieme ai tantissimi giovani presenti “Bella Ciao”, mi mostra quanto la musica, il teatro, l’arte in generale possano essere importanti per condividere certi valori».

DOMANDA - Qual è stata la vera e propria genesi de «L’Ultima Notte»?

RISPOSTA - «Il testo è stato scritto dal regista Jochen Dehn appositamente per lo spettacolo. Nel 2004 l’allora Assessore alla Cultura della Provincia di Alessandria, Daniele Borioli, mi ha raccontato la storia dei venti bambini di Bullenhuser Damm, che io non conoscevo, chiedendomi se si poteva fare uno spettacolo su questo argomento. Sono stata ad Amburgo, ho visitato Bullenhuser Damm insieme a Jochen Dehn, che mi ha fatto da interprete, e ho iniziato seriamente a pensare al progetto. A quel punto, avevo bisogno di un regista e ho pensato a Jochen, che mai e poi mai si sarebbe sognato di creare uno spettacolo su un argomento così difficile come i bambini nella Shoah. Anzi: lo riteneva impossibile. Non ci interessava fare uno spettacolo commemorativo: volevamo uno spettacolo in cui la storia dei venti bambini di Bullehuser Damm non fosse soltanto una tragica vicenda da ricordare lì per lì e da dimenticare non appena usciti dal teatro. Volevamo che questa vicenda facesse pensare al presente, che provocasse negli spettatori una riflessione più profonda della compassione, che ponesse delle domande, senza dare delle risposte, anche se di risposte nel testo ce ne sono tante, ma rimangono implicite, indirette, insinuanti. Si è trattato di un lavoro in divenire, volto a cercare la giusta parola che esprimesse il giusto significato a seconda del contesto. Un testo in qualche modo “personale”, che si rivolge a ciascuno in particolare, che fa riferimento al vissuto di ciascuno perché si rivolge al pubblico singolarmente».

DOMANDA - Che difficoltà si incontrano in Italia per portare in scena, e soprattutto distribuire, spettacoli teatrali di questo spessore sociale e storico?

RISPOSTA - «In Italia, mi sembra evidente, la cultura mira sempre più verso il basso. Si dice che in Italia non ci sia un pubblico teatrale ed è assolutamente vero. Ma la colpa non è della televisione. Non solo. Manca una politica culturale. Una tradizione teatrale. Sono sempre colpita, quando vado in Germania, nel vedere quanta affluenza di pubblico ci sia nei teatri. Di ogni età. E dire che la Germania è il paese europeo che produce la maggiore quantità di telefilm. Dopo quelli americani, sono i telefilm tedeschi a godere della maggior distribuzione, almeno in Italia. Eppure, nonostante ciò, la gente in Germania esce per andare a teatro, malgrado il clima sia più rigido del nostro. E perché? Semplicemente perché in Germania c’è tantissima offerta: ogni città, anche quelle più piccole, ha un teatro che offre ogni giorno uno o due spettacoli teatrali, un’opera lirica, un balletto e un concerto. A prezzi accessibili, più bassi dei nostri. C’è solo l’imbarazzo della scelta. E, guarda caso, quando l’offerta c’è, c’è anche la domanda. La gente in Germania va a teatro abitualmente. In Italia invece sembra difficile trascinare il pubblico a teatro. E d’altra parte le stagioni a disposizione nei teatri italiani sono spesso fatte di spettacoli “commerciali”, senza qualità, con qualche personaggio televisivo che attiri… Chiaramente, in un contesto nazionale del genere, diventa difficile che la gente vada a vedere uno spettacolo sull’Olocausto. Se non esiste una consuetudine al teatro, ancor meno esiste una consuetudine rispetto a un certo tipo di teatro, che si ritiene troppo impegnativo, oltre che impegnato. Personalmente, sono molto grata all’Assessorato alla Cultura della Provincia di Alessandria per avermi offerto la possibilità di fare uno spettacolo di questo spessore. E all’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte per averlo sostenuto e avermi permesso di portarlo in giro. Sono state occasioni rare, in Italia».

DOMANDA - Al momento di questa intervista ti trovi per l’appunto in Germania, dove hai debuttato con un nuovo spettacolo. Ci parleresti a caldo di quest’esperienza?

RISPOSTA - «Ho messo in scena in qualità di regista il testo “Vita di un perdigiorno” di Eichendorff al Teatro Stabile di Darmstadt. Lo spettacolo consiste in un monologo interpretato da Volker Muthmann, un giovane attore tedesco del teatro. Lavorare in un’altra lingua, che adesso inizio a parlare e capire decentemente, è stato molto interessante. Avevo il testo in italiano, ma durante le prove non l’ho usato. Ho seguito le prove in tedesco. E ho dovuto esprimermi in tedesco anche con i tecnici del teatro. Fortunatamente, Volker parla italiano e durante le prove ho potuto usare la mia lingua madre. Lavorare in un teatro tedesco è stata una bellissima esperienza. Ciò che più mi ha colpito è l’efficienza tecnica; inizialmente ne ero quasi intimidita: bastava che esprimessi un’esigenza e immediatamente veniva esaudita! Ho percepito un grande rispetto per il mio lavoro da parte del teatro, nonostante le mie difficoltà a esprimermi o a capire. Sono molto soddisfatta dello spettacolo, anche perché è stato un successo di pubblico: inizialmente, erano state programmate 8 repliche, tra il primo giugno (data del debutto) e il 7 luglio. Poi però, poiché i biglietti erano esauriti e la gente continuava a telefonare, il teatro ha aggiunto altre due repliche. Il perdigiorno di Eichendorff (opera del tardo romanticismo tedesco) preferisce godere del contatto con la natura, della buona musica, delle belle donne, del buon cibo e del buon vino rosso, piuttosto che lavorare: una tematica se non altro suggestiva…»

DOMANDA - E dopo i successi in terra straniera, cos’hai in programma di fare?

RISPOSTA - «Porterò in giro a settembre lo spettacolo “Vennero donne con proteso il cuore”, melologo di Giorgio Penotti su testi di Guido Gozzano, nel quale interpreto interamente “La signorina Felicita”, accompagnata da quattro musicisti. Per il resto, a settembre mi occuperò della rassegna teatrale “Settembre” che la mia compagnia (www.maxaub.it) organizza ogni anno presso il Teatro Macallé di Castelceriolo, in provincia di Alessandria. Farò la regia del testo inedito “Altro che American’s Cup” di Massimo Brioschi, giovane autore teatrale di Valenza».


Note biografiche:
Laura Bombonato (Alessandria, 1972) ha frequentato la Scuola del Teatro Stabile di Torino diretta da Luca Ronconi nel biennio 1995-97. Ha debuttato al Teatro Franco Parenti di Milano nell’autunno del ’97 nello spettacolo: “La mite” di Dostoevskji, regia di Monica Conti. Tra le sue esperienze professionali più significative si ricordano: “Questa sera si recita Molière”, di e con Paolo Rossi; “Das Missverstaendnis” di Camus, regia di Jochen Dehn; “Alfieri! Alfieri!”, regia di Beppe Navello; “Dispetto d’amore” di Molière, regia di Monica Conti. Nel ’98 ha debuttato alla regia con lo spettacolo “Delitti esemplari” di Max Aub. Alcune delle sue messe in scena più importanti: “Le serve” di Jean Genet; “Una festa per Boris” di Thomas Berhnard; “Hamelin” di Fabrizio Bonci.


(Intervista di Gianluca Mercadante, pubblicata su Orizzonti n. 32, nov/feb 2008)

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