| Daniele Luttazzi è uno dei comici attualmente più discussi sulla scena italiana. Ma mi rendo conto appena lo incontro che definirlo “comico” è troppo azzardato, nel suo caso. Luttazzi è soprattutto un osservatore naturale, un maturo critico sociale che, a forza di fagocitare la stessa realtà che esibisce poi sul palco, ha bisogno di muoversi con un veicolo diretto, qualcosa di rapido ed efficace. Proprio per questo, di fronte al suo charme, alla sua gentilezza schietta e mai servile, mi sembra impossibile dare del tutto retta alle polemiche nate dopo un suo spettacolo a Genova, relativamente recente. Ha recitato in teatro per intero un suo testo inedito, un racconto. Ed è questo a colpirmi. Se di fronte a tanto orrore serio, consapevole, eppure serenamente sparso per le case attraverso i telegiornali e i programmi cosiddetti “di cultura”, un racconto può ancora sollevare sdegno, denuncie, raccapriccio o affascinata ritrosia, allora è il caso di pensare a quanta paura la letteratura faccia ancora, nonostante tutto. Per il suo essere libera, incisiva, e quindi paradossalmente soggetta a ripuliture da parte di editori “politically correct”. Ma perché? La letteratura obbedisce forse a una politica?
LUTTAZZI: «Scrissi quel racconto per il primo numero della rivista “Pulp”. Ero stato contattato per via di una mia parodia splatter di “Cappuccetto rosso” che Daniele Brolli aveva incluso nell’antologia “Gioventù Cannibale” dell’Einaudi. La redazione di “Pulp” si divise: il grosso dei redattori voleva pubblicarmi, ma il direttore temeva querele e non se ne fece niente. È stata una fortuna. Avevo la sensazione che a quel racconto mancasse un tasello; e in effetti il tassello è venuto fuori solo due anni fa. In un’intervista al “Messaggero”, Rosanna Fratello a proposito di Aldo Moro disse: “Ebbe per me un sincero interessamento».
DOMANDA: Rosanna Fratello?!…
LUTTAZZI: «Proprio lei. Nel racconto, Andreotti viene accompagnato dalle Br nel garage dov’è conservata la Renault rossa col cadavere di Moro. Lasciato da solo, Andreotti penetra sessualmente i fori di proiettile nel corpo di Aldo Moro. Ma l’amplesso è raccontato usando gli stilemi dei paperblack Harmony: questa è l’ambiguità che scatena l’elemento grottesco della cosa. A tre quarti dalla fine, dove prima sentivo il testo zoppicare, arriva la trovata: Moro non è ancora del tutto morto e nel suo deliquio semicosciente si rivolge ad Andreotti come se fosse Rosanna Fratello! È un piccolo capolavoro, dài, c’è poco da fare!» (ride).
DOMANDA: Quando l’hai portato in scena il pubblico come ha reagito?
LUTTAZZI: «Il pubblico ha reagito con orrore, come deve fare, dato che il grottesco è per eccellenza quel genere letterario che ha come unico scopo veicolare orrore. Nelle arti plastiche e visive è forse più facile realizzarlo che non in letteratura, penso ai fratelli Chapman o a Hirst, ma in ogni caso è questo che succede, sempre. Orrore e fascinazione. Quando a Genova è stato letto in teatro, qualcuno ha usato lo scandalo come pretesto per attaccare me e la satira. L’agenzia Ansa ha immediatamente diramato comunicati falsi del tipo “A Genova, Luttazzi vestito da Andreotti sodomizza il cadavere di Moro”. Si è scatenato il delirio in tutta Italia e…».
DOMANDA:…è c’è stata la denuncia da parte della vedova Moro…
LUTTAZZI: «Sì, certo, era naturale che succedesse quando il Messaggero, il Giornale, il Corriere della Sera e il direttore del Tg2 Mauro Mazza, invece di dare correttamente la notizia, spacciano come vera la balla dell’Ansa, inveendo contro lo spettacolo e contro di me personalmente, per giorni e giorni, su pagine e pagine. Gli unici quotidiani a sincerarsi con me dell’accaduto sono stati l’Unità e il Manifesto. Ci ho messo tre giorni per poter spiegare all’agenzia AdnKronos come sono andate realmente le cose. L’Ordine dei giornalisti ha aperto un’indagine e l’ha archiviata per insussistenza dopo aver visto la prova: un video della serata incriminata. Lo stesso video che ho consegnato alla Procura di Genova, dove è aperto un procedimento per oscenità. Siccome so come funzionano le cose in Italia, per lo meno quelle che riguardano il mio lavoro, filmo sempre tutto quello che faccio. Così, non appena scatta il caso ad arte, io prendo la cassetta e dico: - Guardate, qui c’è veramente quello che è successo. – E in questo caso, nel video si vede un attore seduto in proscenio che legge questo racconto. Basta. Nessuno si è travestito da Andreotti, nessuno ha sodomizzato nessuno. Il pubblico ascolta, prima orripilato poi affascinato, e alla fine applaude. Questo perché? Perché ha provato brividi. E ha provato brividi semplicemente per un attore che legge un racconto. Forse non è facile da capire, ma in teatro è già complicato trasmettere orrore recitando, figurati leggendo un puro testo di prosa!».
DOMANDA: Per forza. Con tutto l’orrore che ci sbattono in faccia i telegiornali!…
LUTTAZZI: «L’orrore visto al tg genera una specie di anestesia. Il grottesco invece evoca in te l’orrore che hai dentro, per questo diventa insopportabile. A differenza della realtà, il grottesco ti consegna elementi reali e ti seduce con la lusinga particolare che sta nell’illusione di poter dominare gli elementi in gioco: le Brigate Rosse le conosci. Andreotti sai chi è, Aldo Moro pure, la vicenda sai già benissimo com’è andata; ma poi cominci a poco a poco a capire che stavolta le cose non andranno esattamente come te le aspetteresti. Potresti averne paura, eppure continui a leggere, o ad ascoltare; e lo fai perché quella paura fa già parte di te. È la forza dell’arte».
DOMANDA: Suppongo quindi che questo sia stato il tuo primo esperimento in fatto di letteratura a teatro…
LUTTAZZI: «In realtà avevo già scritto in passato qualche cosa sul genere, due piccole commedie. La storia del teatro c’insegna che il teatro parte come monologo, poi diventa dialogo e infine narrazione per scene; ed è bellissimo scoprire che si ripercorre con la propria ontogenesi di autore la filogenesi del genere. Cominci coi monologhi, poi fai dialoghi, poi scrivi cose più complesse. Mi piace il monologo perché in qualche modo attiva molto di più la fantasia dell’attore e quella del pubblico. Nell’antica Grecia, i testi erano colmi di descrizioni, relative alle scenografie inesistenti. “Qui, accanto a questa pietra…” Non c’era nessuna pietra! Il pubblico, aiutato dal testo, doveva immaginarsi tutto. Sono per un ritorno al primitivo!…».
DOMANDA: Se dovessi farmi un esempio del grottesco in letteratura?
LUTTAZZI: «Te lo farei prima nell’opera. Un esempio classico si trova nel “Rigoletto” di Verdi, durante il dialogo fra Rigoletto e Sparafucile, nel quale si evince che il secondo sarà il filler del primo. Il testo è ovviamente molto drammatico, ma la musica che commenta la scena è invece allegra, in maggiore. Questo è tipico del grottesco. Il tono utilizzato è allegro, il contenuto è drammatico. Da un tale contrasto deriva tutto l’effetto.
Gadda è un maestro dei toni grotteschi. In molte sue pagine riesce a ottenerlo. Il grottesco è un gusto: ti riesce se ce l’hai. È impossibile ricrearlo artificialmente, non funziona e si sente».
DOMANDA: Quali autori ti piace leggere?
LUTTAZZI: «Mi piace soprattutto Nabòkov. Le sue metafore sono iridescenti, hanno una grazia sovrannaturale, mi fanno pensare a Mozart. È conosciuto soprattutto per “Lolita”, ma il romanzo che rappresenta meglio il suo mondo, la sua abilità tecnica e la sua poetica è “Il Dono”. Non a caso, in Russia è il suo libro più amato. Mi piacciono poi molto gli autori postmoderni americani, Barth e Barthelme. Inoltre Pynchon, Vonnegut e Philip Roth. Poeti: Herbert, Szymborska e Pessoa. Il libro che mi ha cambiato letteralmente la vita però fu “Tropico del Cancro” di Henry Miller. Lo lessi e decisi che da quel momento avrei vissuto secondo la mia indole. Smisi di fare medicina e cominciai a portare sulle scene i monologhetti umoristici che da tempo, in segreto, scrivevo. Mi è andata bene».
DOMANDA: Altri autori italiani preferiti, oltre a Gadda?
LUTTAZZI: «Manganelli, Buzzi, Arbasino e Flaiano. Non sopporto invece quelli che usano la pagina per mettere il proprio IO in mostra. Un IO in prosa».
DOMANDA: Scommetto che leggi tutti i romanzi di Baricco, allora!
LUTTAZZI: «Ecco, bravo, Baricco non lo sopporto proprio! “Castelli di rabbia”! Già solo il titolo mi faceva accapponare la pelle. Apro il libro, leggo la prima frase e mi sono trattenuto dal lanciarlo solo perché ero in una libreria! Troppo lezioso. Troppo. Non a caso, la sua vera attività è fare corsi di scrittura creativa».
(Intervista di Gianluca Mercadante, pubblicata su Orizzonti n. 25, dic-gen 2005)
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