| DOMANDA – Roberto Vecchioni le ha dedicato “Canzone per Alda Merini” (nel 1999, ndr), che racconta la sua travagliata esperienza umana e i lunghi anni trascorsi in manicomio, dimostrandole un affetto sincero al punto da dichiarare: “Mi ha insegnato tantissimo della vita, mi ha insegnato la sicurezza della propria esistenza”.
MERINI – «Sono molto contenta, anche se è da un po’ che non lo vedo. È stata una canzone che ha esplicitato quello che io ho vissuto in manicomio, che è stato il dramma più grosso della mia vita, dal quale non mi sono mai più ripresa. Sa, non è la malattia in sé che fa male, ma la perdita della libertà… le sevizie ricevute…. i tanti elettrochoc subiti e la perdita del contatto con le mie bambine, che sono state affidate qua e là, e hanno perso il rapporto con la madre, mai più recuperato.
Quando mi portarono in manicomio, mi dissero che andavamo a fare una gita e, quando ho scoperto dove mi trovavo, ho avuto una reazione delirante, che mi ha fatto diventare veramente pazza e da allora non mi sono più ripresa.
Sa, è come mettere una farfalla in un bicchiere».
DOMANDA – Come passava le giornate in una condizione così deprivante?
MERINI – «Ho vissuto per anni senza la cognizione del tempo. Un giorno era uguale ad un anno. Ho passato così dieci lunghi anni, senza scrivere né leggere nulla. Ad un certo punto una mattina mi sono chiesta: “ma io cosa ci sto a fare qui?” e da quel momento è cominciata la mia risalita.
La cosa più bella è stata che quando sono uscita ho preso la mia valigetta e sono tornata a piedi a casa, ho suonato il campanello e mio marito mi ha detto: “Finalmente sei tornata!. È stata una grande storia d’amore».
DOMANDA – La poesia ha avuto una funzione catartica in tutto questo?
MERINI – «La poesia può essere catartica e terapeutica per chi ce l’ha, io non l’avevo perché non ho mai scritto niente. Da questo punto di vista essere poeta non è servito».
DOMANDA – Quale forza l’ha fatta resistere, evitandole di separarsi definitivamente da se stessa?
MERINI – «La completa rassegnazione al male che fanno gli uomini».
DOMANDA – Sono passati tanti anni da quella reclusione coatta, oggi quale considerazione ha del genere umano?
MERINI – «Non mi fido degli uomini. Oggi sono molto diffidente verso l’uomo come mio simile, perché a causa sua ho dovuto subire anni di dolore».
DOMANDA – Se non agli uomini, a che cosa si affida?
MERINI – «Io credo in me stessa. Una volta mi hanno chiesto: “Se perdesse la poesia cosa le rimarrebbe?” Io ho risposto: “Alda Merini persona”».
DOMANDA – Crede in Dio o a qualcosa di trascendente che pervade le nostre esistenze?
MERINI – «Non credo in Dio. Credo in un destino che è predisposto per ognuno di noi, ed è quello che si avvererà».
DOMANDA – È una visione meccanicistica della vita.
MERINI – «Sì, anche se non escludo che ci possa essere qualcosa di superiore nell’esistenza di ognuno di noi».
DOMANDA – Crede almeno nell’amore come atto che libera l’uomo dal suo essere semplicemente - irrimediabilmente - individuo?
MERINI – «Sì, ci credo se si riesce a tenerlo in pugno; anche tra me e lei potrebbe nascere un amore, ma che tenga presente le cose essenziali, le diversità personali, altrimenti l’egoismo dell’uomo lo distruggerà. Anche tra i giovani di oggi penso che esista l’amore, ma è più dilaniato, autodistruttivo, perché i giovani non ne comprendono il senso».
DOMANDA – Il successo accolto dalla sua attività letteraria e il fatto di essere considerata la più grande Poetessa italiana l’hanno ripagata delle sofferenze che la sua vita ha dovuto incontrare?
MERINI – «Il successo non è una cosa che mi interessa molto, sono rimasta sempre molto umile. Dopo tutto quello che ho passato, nemmeno il successo mi ripaga per quello che ho vissuto. Il trauma del manicomio non lo dimenticherò mai. Certo, mi da piacere il calore che la gente dimostra ad Alda Merini poetessa, penso che la mia storia personale abbia avvicinato molto le persone a me, ma io come persona Alda Merini non mi sento ripagata».
DOMANDA – Allora lei crede nella divisione tra l’uomo e il poeta?
MERINI – «Sì, la condivido, perché sono una persona qualunque che vive tutti i giorni e questo non c’entra niente col fatto che scrivo poesie. Perché il poeta è un uomo comune: ha la luce da pagare, la bolletta del telefono, l’affitto… Ha i suoi grattacapi come chiunque.
Il fatto che poi scriva poesie è dovuto solo al fatto che è più sensibile e di conseguenza ci sono più cose che lo fanno stare male. Il mio vissuto non combacia mai con le mie poesie. Sa, mica bisogna avere una vita particolare per scrivere poesie.
Io non credo nei poeti maledetti così come li propongono, perché il poeta non è un mito. Per esempio, nel mio caso, mica bisogna andare in manicomio per scrivere poesie. Quando si legge la biografia di un poeta maledetto magari la gente si entusiasma per quel tipo di vissuto, ma lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. La biografia di un artista ne fa un mito per la gente, ma l’artista ha vissuto semplicemente un dramma».
DOMANDA – Allora per lei non è vero che più si soffre più l’arte diventa sublime?
MERINI – «No, non è vero. Perché io in manicomio non ho mai scritto nulla».
DOMANDA – Il ritorno nella vita sociale è stato difficoltoso, anche a causa delle difficoltà economiche.
MERINI – «Ho avuto problemi economici perché sono stata derubata. Le dico solo che erano dei tarantini».
DOMANDA – Dopo il manicomio è stato difficile ritornare a pubblicare?
MERINI – «Non ci ho pensato più. Poi mio marito si è ammalato e avevamo bisogno di soldi, così ho pensato che pubblicando il libro avrei dato una mano in famiglia e così è nata l’idea del diario sulla mia vita in manicomio. Ma ne ho scritto con tranquillità, senza provare rancore per quello che avevo vissuto».
DOMANDA – Non le ha creato dei problemi rivivere con la scritta parola quello che ha passato?
MERINI – «No, perché ho perdonato».
DOMANDA – La cosa che mi meraviglia molto è che lei, a differenza di tanti, troppo, pseudopoeti incensati dal mondo accademico, ha piena coscienza di quello che è e contemporaneamente se ne disinteressa…
MERINI – «Provo molto piacere dalle piccole cose quotidiane che vivo e che hanno un enorme valore per me. Il successo e la gloria non mi interessano».
DOMANDA – Cosa ne pensa del mondo accademico?
MERINI – «Mi stanno antipatici. Non mi ho mai frequentati».
DOMANDA – Per concludere: in questo mondo distruttivo che valore ha la poesia?
MERINI – «La poesia siamo noi. La poesia è ognuno di noi. Ogni persona è un poeta perché vive dei sentimenti, per cui la poesia sarà sempre presente negli uomini. Rimarrà sempre il sentimento della poesia».
(Intervista di Giuseppe Aletti, tratta da Orizzonti n. 9)
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