| La discesa agli inferi. Il viaggio nell’universo degli zingari, raccontato dallo scrittore Antonio Moresco nel suo ultimo libro, “Zingari di merda”.
Esistono troppe storie minori nella storia ufficiale perché un solo libro le contenga tutte. Una di queste, è senz’altro la storia del popolo nomade. Cosa si sa, effettivamente, degli zingari?
Da dove proviene in origine l’indistinta massa migrante che “si sta spostando adesso verso il nostro piccolo e ottuso paese, muovendosi come all’interno di un mondo prenatale e collettivo inconscio?”
Sugli zingari non esistono in effetti carteggi, o testi sacri, che ne delineino una tradizione, una religione, una cultura, un’evoluzione. Ma Moresco ha ragione a definire il nostro mondo come “prenatale” e “inconscio”, perché, poste le debite eccezioni, è innegabile che l’opinione pubblica tenda a scagliarsi contro un’intera etnia appena una notizia in cronaca nera, al telegiornale, riguarda “qualcuno di loro”.
In un viaggio a bordo di uno scalcinato Bmw guidato dallo zingaro Dumitru, lo scrittore Antonio Moresco e il fotografo Giovanni Giovannetti decidono di entrare nella ferita, di guardarci dentro, ognuno mosso da esperienze e relazioni personali con la questione. Tuttavia “Zingari di merda” (Effigie,pp.94, Euro 15,00) non è un libro a f avore dei Rom. Tanto meno gli è contro. Nella sua narrazione pulita e perciò agghiacciante, per come chiaramente mostra la realtà degli zingari incontrati in Romania fra Slatina e Listava, Moresco tenta di capire la loro innata inafferrabilità, contraddistinta in primis dal nomadismo stesso. Ecco perché, forse, pur potendo associarsi alla malavita organizzata non l’hanno comunque mai fatto, senza per questo smettere di rubare, spacciare, prostituire: perché gli zingari non hanno uno Stato. Non sono “gestibili”. Neppure quando, ed è una scena autentica del libro, Moresco e Giovannetti sono accolti nella capanna di una famiglia Rom e un bambino viene costretto a restare nella tinozza, dove la madre lo stava lavando, un po’ troppo a lungo del tempo necessario.
DOMANDA – Da dove è nata l’esigenza di partire per un viaggio rivolto alla conoscenza del mondo nomade?
MORESCO – Giovanni Giovannetti, autore del reportage fotografico che accompagna il libro – nonché editore dello stesso – ha seguito per un paio d’anni le controversie sociali di un nutrito gruppo di zingari accampato fra le macerie della Snia Viscosa di Pavia, un complesso industriale da molto tempo dimesso. Per ordine della giunta comunale, gli zingari sono stati sgomberati: alcuni di loro sono rimasti in città, trovando qualche lavoro o degli appoggi presso la prefettura, altri non ce l’hanno fatta e sono tornati da dov’erano venuti. Ci è nato a questo punto il bisogno di comprendere come fosse possibile che persone già molto povere in partenza avessero accettato di vivere qui in condizioni così disperate: senza luce, senz’acqua, senza gas, in mezzo a topi lunghi mezzo metro da cui dovevano difendere i neonati. Da dove proveniva questa gente per sopportare tutto ciò? Da dove ha iniziato a sanguinare la ferita? Ci siamo posti queste domande e con uno zingaro che si è prestato a diventare il nostro Virgilio, abbiamo affrontato la discesa agli inferi.
DOMANDA – Descrive gli zingari in modo piuttosto forte: li vede come un sintomo della società benestante. Vuole dire che maggiore è il benessere di una società e maggiori sono i possibili tumori generati da questa?
MORESCO – Esiste un’enorme discrepanza economica fra la Romani e l’Italia, ma non mi riferisco al solo uso di una moneta diversa dall’Euro. Tanti imprenditori hanno aperto o traslocato in Romania alcune fabbriche dove gli stipendi elargiti ai lavoratori autoctoni sono un’autentica miseria se paragonati a quelli che pagherebbero qui. Basti dire che a Slatina, nel sud della Romania, ha sede la stessa Pirelli una volta allocata qui, a Milano, nel quartiere della Bicocca. Gli stipendi per singolo operaio non superano i 130 Euro, a impiego appena iniziato, e nemmeno sfiorano i 180 quando la persona lavora lì da molti anni. Ciononostante, una volta immesso sul mercato internazionale, il prodotto costa al consumatore una cifra che dovrebbe giustificare una manodopera invece ben stipendiata. Questa situazione economica consente ad alcuni di avere una sorta di Singapore dietro casa, ma non possiamo permetterci di affermare l’una cosa senza accettare che esista anche l’altra. Sarebbe troppo comodo percepire l’attuale sistema d’interessi ignorando un effetto boomerang. In Romania la povertà è condizione più generalizzata, rispetto all’Italia dove coesistono varie stratificazioni di benessere da cui è possibile prevedere una caduta di briciole maggiore per chi è povero. Se un operaio guadagna appunto le cifre che abbiamo detto, e una donna venuta in Italia intasca grazie al solo accattonaggio una media di venti Euro al giorno, i conti sono presto fatti.
DOMANDA – Nel libro c’è un altro momento molto forte. E riguarda i bambini.
MORESCO – Nell’intenzione di non dare vita a un libro manicheo, edificante, che facesse di ogni verità una propaganda, ho raccontato anche alcuni aspetti decisamente sconcertanti come quello, praticato da pochi genitori scellerati, di utilizzare il corpo dei propri figli ad uso e consumo dei pedofili. Gente che di giorno professa teorie religiose e xenofobe e di notte si aggira, attorno a questi ruderi abitati da persone disagiate, col portafogli imbottito di banconote. Contemporaneamente ho raccontato della lotta di una famiglia che tentava di difendere una figlia dal proprio fidanzato Rom intenzionato a portarla in strada per prostituirsi. Attraverso questi due esempi opposti ho cercato di offrire un’idea mossa, chiaroscuri presenti a mio avviso in tutti i gruppi umani, in tutti i popoli. Così come, raccontando delle violenze su donne zingare praticate dai mariti stessi, l’ho fatto senza omettere nulla, compreso il mio personale sbigottimento, ma ben sapendo che analoghe situazioni avvengono anche presso gli italiani, e dentro le mira domestiche; dunque non sono affatto prerogativa di alcune comunità arcaiche. Con l’assoluta mancanza di una qualsiasi reticenza abbiamo sopperito forse alla sommarietà criminalizzante della cronaca, che non mostra profondità, non permette di intuire delle diversità in un popolo che, tuttavia, incarna perfettamente lo spauracchio sacrificale su cui scaricare ogni pulsione.
DOMANDA – Questa “discesa agli inferi”, come lei stesso l’ha definita, non si pone per il linguaggio e pensiero accanto alla sua opera più monumentale e polifonica? Mi riferisco, naturalmente, ai “Canti del Caos”.
RISPOSTA – Potrei dire che il nostro viaggio nell’universo degli zingari è stato ed è un piccolo “canto del caos”. Una lettura degli zingari può risultare chiusa soltanto se non ci si intravede un tempo di narrazione lungo. Con questo libro ho tentato di aprire l’orizzonte della scrittura, mi sono impedito a priori di trattare quanto stavo osservando con un’interpretazione prettamente giornalistica. Anche perché, se l’avessi fatto, non avrei opposto alcuna resistenza alla semplificazione imperante verso certi popoli: vent’anni fa si screditavano i marocchini, più di recente si è commesso altrettanto con gli immigrati albanesi, adesso è la volta dei Rom. Trovo invece necessario e doveroso vedere il passaggio, vedere le migrazioni di un popolo che da diversi secoli attraversa la storia umana. Questo è stato il tentativo, oggi che si tende a credere che una volta raggiunto uno stato di benessere sufficiente a vivere in maniera decente, se non lussuosa, si mettono quattro paletti in terra e la storia deve fermarsi lì. Gli uomini si sono sempre mossi, invece – e sempre si muoveranno, alla ricerca di una qualche salvezza o nella speranza di migliorare comunque la propria condizione.
(Articolo di Gianluca Mercadante, pubblicato su Orizzonti n. 34 - nov.2008/feb 2009)
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