| Poesia metaforica quella di Antonio Iacona, e pertanto a volte di difficile interpretazione: tenteremo comunque di farne un’analisi alla luce delle emozioni e dei pensieri che emergono dalla lettura dell’opera. Diciamo subito che si tratta di una raccolta di trentotto poesie che vede la luce dopo la pubblicazione di un romanzo, di racconti, di saggi letterari e di un’altra opera poetica; si tratta peraltro di una raccolta sofferta, così come sono sofferte tutte le opere di poesia: anche per questo, avverte l’autore nella presentazione dell’opera, le raccolte poetiche impiegano più tempo a nascere rispetto agli scritti in prosa. E questa sofferenza è, s’intende, tutta interiore, perché va alla ricerca di una risposta: perché, simile alla preghiera, chiede che siano risolti i punti interrogativi che travagliano l’esistenza dell’uomo. Nella presentazione l’autore spiega anche il significato del titolo della raccolta. La Vandea è quella regione della Francia che, in seguito alla Rivoluzione del 1789, è diventata simbolo di una particolare resistenza: quella dei conservatori, dei cattolici e di chi crede di salvare il proprio mondo e i propri valori, erigendo barricate a difesa dei propri ideali. Una tendenza, aggiunge ancora l’autore, controcorrente e disperata, ma ad un tempo coraggiosa. Il suo inchiostro assomiglia allora a quelle barricate, mentre lui intraprende un “viaggio perenne oltre le distese di ghiaccio e il mare artico, dove finisce la terra e comincia il cielo…per raggiungere quelle valli e quelle vandee che chiunque voglia difendere il proprio mondo possiede”. Questo suo intendimento egli lo precisa fin dalla prima poesia, laddove dice che deve correggere altre trame, scrivere altre poesie, e invece è impegnato tra vecchie valli e nuove vandee (da conservare): è una controrivoluzione interna, la sua, “con nuovi gemiti / su antichi pentagrammi.” Su questa falsariga egli esprime le sue tematiche. Una, quella dell’amore, già balza evidente nella seconda poesia, Aspetto: aspetta il poeta la sua donna, che è pensiero, sogno, che resterà nei secoli tempesta, che spazia in paesaggi sperduti, identificati nel mare nordico, in romantici porti, in calotte polari che hanno le sembianze dell’infinito. L’amore, che è connotato, pertanto, d’eternità, e lo fa sospirare, fino a fargli dire che se il suo cuore è cantina la sua donna è “Lambrusco / d’Appennino antico, / frizzante / odoroso.” In un’altra poesia è l’amore per la terra natia a manifestarsi: la Sicilia, con i suoi “fili d’erba pendenti / da finestre sul mondo che fischiano al vento, / solleticano il vulcano”; la Sicilia che è Poesia, quaderno di vita, filosofia di storie. Subito dopo vediamo il poeta di nuovo in viaggio, varcare la terra a “passi di cielo” nel canto di “sirene ulissidi”, ma anche tra i rumori della civiltà d’oggi, verso orizzonti antichi. Lo vediamo soffermarsi nelle città, vibranti di macchine, di palazzi, di piste di cemento, di sampietrini divelti e di caos, ma sempre descritte con tocchi di sogno; sostare in angoli di vie, tra squallidi pub dove stanno a servire ragazze “ballerine / di fumo e di boccali” e dove impazza il rock che però non riesce a penetrare nei silenzi interni dell’anima; ed anche in mezzo a prostitute che “vendono l’orgasmo.” In questo suo viaggiare egli incontra il male (identificato nell’Africa Korps di nefasta memoria), è consapevole della sua solitudine, di cui è geloso, (tanto da invitare le farfalle a non violarla con i loro voli e con i loro colori simili a sgargianti arcobaleni), ma riesce a trovare il sorriso di Dio, che è “Grande, Immenso Amore, /…dolcezza eterna, immensa / alba del mondo”; Dio, o, meglio, l’Assoluto, che è desiderio e aspirazione continua dell’anima. È un continuo andare, il suo, nello spazio come nel tempo, un andare connotato di sensazioni, emozioni, ricordi, che egli affida alla Poesia, che è come “clessidra sospesa sui secoli, / nel Tempo, / vera grande preghiera / che ci conduce all’Infinito”: Poesia che, pertanto, va oltre la morte; che, foscolianamente, vince il silenzio di mille secoli riuscendo a superare l’effimero e a condurre l’uomo alla sua vandea: alla certezza e all’eternità. Per quanto riguarda lo stile, abbiamo già anticipato che esso spesso si connota d’ermetismo, ma che si potrebbe benissimo definire di un’oscura chiarezza, sempre pulito e scorrevole nell’eleganza del verso e nella felice scelta delle parole: siamo pertanto in presenza di un autore in possesso di un ottimo livello di capacità artistica, a cui rivolgiamo il nostro plauso e i migliori auguri per il prosieguo della sua attività.
(Il Convivio Anno XII n. 4 Ottobre – Dicembre 2011 n. 47)
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